Dopo una lunga assenza, voglio tornare con un articolo assolutamente contemporaneo o, almeno per il momento, riguardante un argomento ancora poco noto al grande pubblico.
Partiamo dall’inizio, come sapete, la storia del nucleare in Italia, a parte le scintille di qualche anno fa su una nuova consultazione, si è conclusa nel 1987 a seguito del referedum che, per volontà popolare, ha sancito una netta vittoria dei contrari allo sfruttamento di questa energia. Ora, non voglio tornare su questo argomento specifico anche se tutti voi sapete cosa penso. Purtroppo però, anche se molti fanno finta di non saperlo, un referendum non cancella dall’oggi al domani gli impianti nucleari costruiti. In particolare, in Italia avevamo 5 centrali a fissione, ancora oggi al loro posto. Queste costruzioni contengono decine di tonnellate di materiale attivato e che non può certo essere smaltito come un rifiuto qualsiasi.
Cosa succede a questi materiali?
Per quanto riguarda il combustibile nucleare, le barre di materiale fissile per intenderci, queste sono state rimosse dopo un lungo periodo all’interno do piscine di acqua. Questo passaggio è necessario per far si che il calore accumulato dai materiali venga dissipato. A partire dal 2000, le barre sono state finalmente rimosse. Dove sono finite? Come potete immaginare, le nostre barre sono state portate in due depositi geologici presenti a Le Hauge in Francia e a Sellafield in Gran Bretagna. Come tutti sapete, si tratta di depositi sotterranei, individuati rispettando stringenti criteri, in cui il materiale viene depositato per centinaia di anni in attesa che smaltisca la sua attività, cioè che il numero di atomi radioattivi decada in qualcosa di meno attivo o, in alcuni casi, compleamente inerte.
Dunque, storia finita?
Assolutamente, per prima cosa, noi tutti paghiamo altri per mantenere le nostre scorie. Quanto ci costa questa operazione? Più o meno 50-60 milioni di euro all’anno che tutti noi paghiamo con una tassa in bolletta (circa 2-2.5 euro annui per utente). Purtroppo però, questa operazione è relativa solo alle barre di combustibile, la parte attiva del reattore. Tutto il resto? Tutto il resto è al suo posto nei reattori che nel frattempo sono stati sigillati all’interno di un sarcofago di cemento armato per contenere la radioattività. Anche questo processo prevede un costo notevole, sempre pagato da noi, più che altro per la continua manutenzione necessaria ai reattori e alle strutture di contenimento.
Bene, perchè proprio ora tiro fuori questi argomenti? Cosa è cambiato?
Arriviamo ai giorni nostri. Tutti sicuramente ricordate quando nel 2003 il governo decise di costruire un deposito di scorie nucleari a Scanzano Jonico in Calabria. La decisione, ovviamente imposta dal governo e senza un preavviso, scatenò le rivolte della popolazione locale capitanata da sindaci e amministratori che si opposero fino a far desistere il governo.
Cosa si voleve costruire precisamente in Calabria? Un deposito superficiale per scorie di bassa e media attività. Perchè il governo voleva costruirlo? In realtà, non era il governo italiano a chiederne la costruzione ma l’Europa. Europa che ancora oggi ci impone la costruzione di una struttura del genere e, oggi, con tempi assolutamente ristretti.
Prima di parlare di questo deposito, credo sia necessario dare qualche numero. Molti infatti, ignorano completamente la quantità di sostanze di cui stiamo parlando. Più o meno, cifra approssimativa, parliamo di 90000 metri cubi di materiale a bassa e media attività. Dunque, non le barre di combustibile dei reattori ma le parti stesse dei reattori che si sono attivate durante il funzionamento. In questo totale rientrano poi le scorie prodotte dalla sanità e dall’industria. Eh si, anche se oggi noi abbiamo detto NO al nucleare, le nostre attività continuano a produrre grandi quantitativi di scorie, circa 500 metri cubi ogni anno. Qui rientrano i rifiuti ospedalieri di medicina nucleare, le lastre fotografiche utilizzate, ad esempio, per i controlli delle saldature, materiali attivati dai centri di ricerca, ecc. Dove mettiamo questi materiali? L’Europa ci impone di tenerceli in casa realizzando un Deposito Superficiale per scorie di bassa e media attività.
A livello pratico, chi deve occuparsi di studiare e realizzare questo deposito? Ruolo fondamentale nell’operazione è quello della SOGIN. Questa società è stata appositamente creata proprio per il decommissioning dei nostri impianti. Negli anni scorsi, la SOGIN è stata al centro di numerosi scandali per una gestione, definiamola, “allegra” dei fondi statali con subappalti milionari, oltre a relazioni con imprenditori non proprio limpidi. Negli ultimi anni però, la SOGIN stessa ha fatto un’operazione molto approfondita di pulizia interna con un bilancio di esercizio che negli ultimi anni ha segnato una vera inversione di rotta.
Proprio in questi giorni, la SOGIN ha consegnato all’ISPRA, Istituto Superiore per la protezione e la ricerca ambientale, la cosiddetta CNAPI, cioè la Carta Nazionale delle Aree Potenzialmente Idonee. Cosa contiene questo documento? In soldoni, una lista di macro-aree che potrebbero essere adatte ad ospitare il deposito superficiale. Attenzione, per la definizione di queste zone la SOGIN ha dovuto fare un attento lavoro seguendo le indicazioni dell’ISPRA. Un sito, infatti, per poter essere classificato come idoneo deve soddisfare stringenti criteri. Alcuni esempi? Non deve essere ad un’altitudine maggiore di 700 metri o inferiore ai 20, non deve essere in zona sismica o vulcanica, anche in quiescenza, non deve essere a meno di 5 Km dalla costa, non deve essere a meno di 1 Km da strade, autostrade o ferrovie, non deve avere una pendenza superiore al 10%, ecc.. Bene, la CNAPI contiene una lista di zone che, secondo la SOGIN, soddisfano questi criteri. Ora, l’ISPRA avrà due mesi per valutare il lavoro e approvare tutto o alcune di queste zone, prima di inviare il documento al governo. Quest’ultimo avrà poi un mese di tempo per una valutazione indipendente e per pubblicare la lista che, come potete immaginare, al momento non è pubblica. Attenzione, altra osservazione importante, al momento, come detto, la CNAPI contiene una lista di macro-aree, in alcuni casi si arriva anche a mezze province, dunque non sono presenti nomi specifici di comuni italiani.
Cosa succederà al momento della pubblicazione della lista? Se non facciamo nulla, un gran casino molto simile a quello del 2003 a Scanzano Jonico cioè popolazione in rivolta. Cosa deve fare la SOGIN, il governo e l’ISPRA? Parlare, pubblicare, dialogare al fine di rendere tutti informati. Nel nostro piccolo, lo stiamo già facendo con questo post. Una volta ricevuta l’approvazione dal governo, la SOGIN ha già preventivato una conferenza in cui saranno invitate tutte le parti coinvolte per spiegare nei dettagli cosa intende fare e, soprattutto, come lo vuole realizzare.
Faccio una piccola digressione. In Europa sono già presenti altri depositi superficiali di questo tipo e, in molti casi, queste strutture sono state realizate anche in paesi fortemente ambientalisti o che hanno da sempre rinunciato al nucleare. Un esempio su tutti è quello della Svezia dove, addirittura, due comuni si sono battuti per avere il deposito nel loro territorio. Perchè questo? Semplice, una struttura del genere produce lavoro ed è assolutamente innocua. Da un calcolo molto preliminare, possiamo parlare di circa 1000 posti di lavoro tra impianto e indotto. Costo della realizzazione dell’opera? Circa 1.5 miliardi di euro.
Come vengono stoccate queste scorie che, vi ripeto, hanno bassa e media attività? Con un sistema già sperimentato in tanti altri siti che prevede una struttura a matrioska con shell di cemento con all’interno contenitori di acciaio. Strutture ovviamente in grado di contenere la radioattività dei materiali all’interno.
Tutto qui? Assolutamente no. Oltre al deposito superficiale, la struttura pensata dalla SOGIN prevede anche la realizzazione di un Parco Tecnologico, ovvero di un centro ricerche specifico per lo studio sulle scorie radioattive. Come potete immaginare, fare ricerca su questi materiali è l’unico modo per studiare eventuali nuovi sistemi di decommissioning per poter arrivare, magari, a tecnologie in grado di “disattivare” le scorie rendendole inerti in tempi più rapidi di quelli attuali. Nel parco tecnologico entreranno dunque enti di ricerca da sempre impegnati in questo settore e che avranno finalmente la possibilità di lavorare direttamente sulle sostanze in questione.
Cosa penso io? Come potete immaginare, penso che questa struttura sia un’opportunità assolutamente unica. Per prima cosa, non possiamo tirarci indietro per quanto riguarda il deposito superficiale, visto che è l’Europa che ce lo chiede. In secundis, la realizzazione del Parco Tecnologico è il valore aggiunto che rende questa opportunità irrinunciabile. Per anni abbiamo discusso di scorie radioattive e di come smaltirle tra poco, forse, potremo avere un laboratorio dedicato in casa su cui lavorarci.
Prima di chiudere, vorrei spingere tutti a dire la loro prima che possa scattare il solito problema NIMBY, not in my back-yard, non nel mio cortile. Cioè? Così come avviene spesso, quando si parla di queste tematiche tutti sono favorevoli purchè il tutto non sia realizzato sotto casa mia. Oggi, non abbiamo ancora la lista delle macro-aree. Discutiamo di questa opportunità per poi arrivare a discutere, sotto tutti i punti di vista, quando ne avremo la possibilità, di quali zone verranno scelte.
Ancora sulla fusione fredda
4 AgoEccoci qui, tornati dalle vacanze, e pronti a ricominciare di nuovo con il blog. In questo contesto, il “ricominciare” suona quanto mai azzeccato, proprio per l’argomento che vogliamo andare a trattare in questo post.
In una discussione del forum, che per chi lo avesse perso e’ sempre disponibile a questo indirizzo:
– Psicosi, forum
e’ stato richiamato in causa il discorso E-Cat di Rossi ed i relativi fenomeni LENR, cioe’ le reazioni nucleari a bassa energia.
Di questo argomento avevamo parlato in dettaglio in questo articolo:
– E-cat meraviglia o grande bufala?
Come visto, l’occasione per parlare di questo argomento era venuta quando molti siti internet avevano parlato finalmente della prova indipendente fatta da scienziati. Come sapete bene, non per essere fondamentalista della scienza ne’ tantomeno per denigrare qualcuno senza i presupposti, ad oggi, non vi e’ nessun test indipendente, ma soprattutto fatto seguendo i criteri del metodo scientifico, che mostri la veridicita’ di quanto affermato dall’inventore dell’E-Cat.
Nel post precedente, avevamo visto come la presunta prova indipendente, in realta’ tanto indipendente non lo era. Prima di tutto, dobbiamo rimarcare il fatto che l’articolo successivamente pubblicato non aveva passato nessuna procedura di “peer review”, essendo un paper pubblicato su ArXiv, cioe’ sul database della Cornell University. Come evidenziato, non voglio criticare gli scienziati intervenuti alla dimostrazione, conoscendone personalmente due, ma le tante voci apparse su internet non sono in realta’ veritiere rispetto a quanto accaduto.
L’aspetto fondamentale da tenere a mente e’ che gli scienziati dell’Universita’ di Uppsala in Svezia, non hanno eseguito personalmente il test sull’E-Cat, ma si sono limitati al ruolo di spettatori. Il sistema, cosi’ come era preparato, presentava molte parti oscure paragonabili a scatole nere. Anche la misurazione del calore eseguita mediante termocamera, presenta delle incertezze della misura non facilmente preventivabili e che possono falsare notevolmente il risultato finale.
Detto questo, nell’articolo di ArXix, che potete leggere a questo link gia’ riportato nel precedente articolo:
– ArXiV Uppsala
si evidenzia come, “dai dati osservati”, la quantita’ di calore prodotta dal macchinario fosse notevolmente superiore a quella di una qualsiasi reazione chimica, cosa che farebbe pensare ad una reazione di tipo nucleare.
Come visto nel precedente post, quali sono le critiche che avevamo mosso? Se si trattasse di reazione nucleare, ci dovrebbe essere emissione di una qualche forma di radiazione, in realta’ non osservata. I ricercatori non hanno assistito alla preparazione del combustibile, cioe’ della miscela Idrogeno-Nichel piu’ catalizzatore, preparata in precedenza da Rossi. Il rame prodotto, che e’ quello che farebbe pensare ad una fusione, non presentava percentuali di isotopi diversi rispetto al rame comunemente commerciale. Detto con un po’ di malignita’, quel rame potrebbe essere stato comprato e messo nella camera solo per far pensare ad un fenomeno di fusione.
Senza ripercorrere le conclusioni che abbiamo raggiunto nel precedente articolo, il nostro punto di vista e’ abbastanza scettico. Non voglio demonizzare i fenomeni LENR pero’, in assenza di prove scientifiche che dimostrino l’esistenza di queste reazioni, e’ difficile da mandare giu’, o megio credere, a questo risultato. Ovviamente, molti alzano gli scudi e parlano di segreto industriale da mantenere. Proprio in virtu’ di questo aspetto, viene mantenuto il segreto sulla preparazione del combustibile e su alcune parti fondamentale dell’apparato. Bene, se anche fosse vero questo, allora non si puo’ pretendere di “credere” all’E-Cat. Quando ci sara’ questa fantomatica versione comerciale, che vi ricordo aspettiamo da anni, allora diremo che la cosa e’ possibile. Scientificamente, non possiamo “credere” a qualcosa, c’e’ bisogno di prove.
Detto questo, solo pochi giorni fa, la greca Defkalion, un tempo ditta collaboratrice di Rossi, ha mandato in diretta streaming una nuova dimostrazione di un dispositivo molto simile all’E-Cat, l’R5. Le differenze fondamentali tra i due sistemi sarebbero nella temperatura di esercizio e nella pressione richiesta in camera. Per il resto, il principio di “funzionamento” sarebbe lo stesso.
Potete vedere lo streaming a questo indirizzo:
– Streaming Defkalion
Vi premetto subito che lo streaming e’ stato seguito anche da una platea di addetti ai lavori della conferenza ICCF-18 sulla fusione fredda. Come al solito, nell’esperimento si mostrava un sistema in grado di produrre molta piu’ energia di quella assorbita. Come potete facilmente immaginare pero’, in seguito alla diretta, sono piovute decine di domande dagli esperti della conferenza sui metodi di misurazione del calore, sulle parti, come al solito, tenute nascoste, sul combustibile utilizzato, ecc. Ovviamente, domande che non hanno avuto una risposta. Per essere sinceri, la Defkalion ha dato delle risposte sommarie tramite un’intervista, ma poi si e’ limitata a dire che l’esperimento non era un vero test di funzionamento, bensi’ una mera dimostrazione sul sistema utilizzato. Al solito, tanto fumo e assolutamente niente arrosto.
Prima di concludere, vorrei pero’ tornare sul discorso E-Cat e Universita’ di Uppsala. Sulla rete gira la notizia, assolutamente non confermata, che Rossi sarebbe pronto a costruire una centrale da 1MW utilizzando il suo E-Cat. Personalmente, la cosa mi farebbe immensamente piacere. Come detto in precedenza, capisco molto bene, anche da scienziato, l’anima commerciale della cosa. Proprio per questo motivo, aspetto ansiosamente, ormai da troppo tempo, un qualcosa di commerciale da vedere, studiare e, ovviamente, comprare.
A seguito dell’articolo di ArXiv, ne e’ stato pubblicato un altro, sempre nello stesso archivio, di risposta alle osservazioni sul test di Rossi. Ecco il link all’articolo:
– ArXiv, commento
Questi articoli sono tutti liberamente scaricabili e leggibili anche senza abbonamento. Come potete vedere, anche questo articolo e’ a firma di due ricercatori dell’Universita’ di Uppsala,i professori Ericsson e Pomp. Mentre nel primo articolo i ricercatori coinvolti erano esperti di campi diversi, fisica sperimentale, teorica, radioprotezione, ecc, Ericsson e Pomp sono due professori di fisica nucleare.
Nell’articolo vengono mosse pesanti critiche al primo report, non solo per la preparazione specifica dei ricercatori coinvolti nel primo test ma anche per il fatto che due di questi scienziati conoscono personalmente Rossi, hanno partecipato a diversi test e in passato hanno espresso apprezzamenti sull’E-cat. Certo, se vogliamo parlare di “risultato indipendente”, queste evidenze farebbero mal pensare pero’, ragionandoci su, immaginate questo scenario: avete costruito una macchina strabiliante con risultati eccezionali, avete bisogno di un risultato indipendente, a chi vi rivolgereste? Sicuramente la prima scelta ricadrebbe su qualcuno che conoscete. Personalmente, la cosa non mi scandalizza piu’ di tanto. Essendo poi tutti i ricercatori della stessa universita’, non vorrei ci fossero attriti pregressi che hanno spinto a questa diatriba.
Tolto il gossip scientifico, che non interessa a questo blog, ragioniamo invece sul discorso scienza. L’articolo di Ericsson e Pomp, muove esattamente le stesse critiche al sistema e alla prova che avevamo fatto noi nell’articolo precedente. In particolare, si evidenzia l’assoluta mancanza di uno schema elettrico, della preparazione del campione, dei cavi connessi al sistema per evitare che ci siamo linee secondarie di alimentazione non considerate. Soprattutto, viene discussa la possibilita’ di errore sperimentale nella misura del calore attraverso la termocamera e la frazione di isotopi di rame prodotti, oltre ovviamente alla mancanza di radiazione emessa.
Detto questo, capite bene che non stiamo muovendo un’accusa gratuita nei confronti di Rossi, ci stiamo limitando ad analizzare i fatti. Al momento, non si sono prove della veridicita’ delle affermazioni fatte. Ci mettiamo una pietra sopra? Assolutamente no, la scienza insegna ad essere aperti di mente. Se, un giorno, ci trovassimo tra le mani un E-cat che assorbe un’energia X e ne produce in uscita X per un coefficiente maggiore di 1, ben venga il risultato estremamente importante per la societa’. Fino a questo punto pero’, parlare di E-Cat, Rossi, LENR, ecc, e’ paragonabile a parlare di “fede”. Voglio crederci perche’ mi va. Benissimo. Pero’, signori miei, a tutti quelli che gestiscono pagine sull’argomento e che proclamano un complotto della scienza, non fate credere che ci siano prove sperimentali dei risultati perche’, come visto, di queste non vi e’ assolutamente traccia.
”Psicosi 2012. Le risposte della scienza”, un libro di divulgazione della scienza accessibile a tutti e scritto per tutti. Matteo Martini, Armando Curcio Editore.
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