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A proposito di campo geomagnetico

31 Ott

di Patrizia Esposito

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Ipotizziamo di dover misurare la temperatura del nostro corpo: fa differenza se mettiamo il termometro direttamente a contatto con la pelle o se lo appoggiamo sopra i vestiti? Lasciamo per un momento la domanda in sospeso e parliamo di una particolare categoria di inquinanti organici, i cosiddetti POPs (Persistent Organic Pollutants).

Tossicità di alcuni POPs. Note: A.C. altamente cancerogeno, C.U. cancerogeni per l'uomo, P.C. probabile cancerogeno, I.S. insufficienza sperimentale.

Fig.1: Tossicità di alcuni POPs. Note: A.C. altamente cancerogeno, C.U. cancerogeni per l’uomo, P.C. probabile cancerogeno, I.S. insufficienza sperimentale.

Si tratta di pesticidi (aldrin, DDT, eptacloro), prodotti industriali (PCB) e sottoprodotti non desiderati di certi processi (diossine e furani), regolamentati (poco efficacemente?) nel loro utilizzo e smaltimento dalla Convenzione di Stoccolma del 2001 e sul banco degli imputati con l’accusa di essere sostanze altamente tossiche per l’ambiente e per l’uomo (figura 1) e responsabili del cambiamento climatico. Le peculiari caratteristiche chimico-fisiche dei POPs li rendono, infatti, persistenti (figura 2) ,bioaccumulabili e trasportabili su lunghe distanze.

Fig.2: Tempo di semivita (tempo necessario affinché la concentrazione di una determinata sostanza si dimezzi) di alcuni POPs nei diversi compartimenti ambientali.

Fig.2: Tempo di semivita (tempo necessario affinché la concentrazione di una determinata sostanza si dimezzi) di alcuni POPs nei diversi compartimenti ambientali.

La proprietà per la quale questi composti si legano ai tessuti adiposi dei vertebrati si chiama lipofilicità e fa sì che questi inquinanti entrino nelle catene alimentari. Mentre è nota come effetto grass-hopper (figura 3) la modalità di trasporto su lunghe distanze, dovuta a determinati valori della tensione di vapore, della costante della legge di Henry e del coefficiente di partizione ottanolo-aria, e che consiste nell’evaporazione di questi composti dall’acqua e dal suolo, nel trasporto in atmosfera e nella loro deposizione su superfici acquatiche e terrestri. In pratica i POPs, nelle zone tropicali e temperate evaporano, subiscono un trasporto atmosferico che segue l’andamento dei meridiani terrestri, condensano nelle zone fredde come i poli e le grandi catene montuose e si accumulano nei vari compartimenti ambientali. Ecco perché si ritrovano in alte concentrazioni in zone lontane da quelle di produzione.

Fig.3: Effetto Grass-Hopper

Fig.3: Effetto Grass-Hopper

Sic stantibus rebus, i POPs rivestono il nostro pianeta come una pellicola e sono riconosciuti come una concausa dell’effetto serra. E se, oltre ad avere un’influenza sul clima globale, avessero una qualche interazione con il campo magnetico terrestre? Di preciso: le misurazioni del campo geomagnetico avrebbero gli stessi valori se non ci fossero i POPs? La risposta alla domanda iniziale è abbastanza palese: non è lo stesso appoggiare il termometro sui vestiti o direttamente sulla pelle. La risoluzione del quesito finale invece non è altrettanto immediata. Ma è lecito pensare che le misurazioni del campo magnetico possano essere alterate dalla presenza ubiquitaria di questi composti e che l’indebolimento del campo stesso (del quale si continua a parlare e sparlare) sia solo apparente.

 

Psicosi 2012. Le risposte della scienza”, un libro di divulgazione della scienza accessibile a tutti e scritto per tutti. Matteo Martini, Armando Curcio Editore.

Europa: oceani, acqua e …. (forse) vita

10 Mag

Diverse volte abbiamo parlato di esplorazione spaziale e altrettante siamo poi finiti a discutere dell’esistenza o meno di forme di vita al di fuori del nostro pianeta. Come e’ noto, uno degli aspetti senza dubbio piu’ interessanti e sentiti, anche dai non addetti ai lavori, e’ la possibilita’ che la vita si sia sviluppata anche su altri pianeti.

Personalmente, come detto tante volte, non sono assolutamente chiuso all’idea che la vita si possa essere sviluppata da qualche altra parte ma ogni qual volta si affrontano discorsi di questo tipo, si deve sempre prestare la massima attenzione nel mantenere un approccio scientifico al problema, senza finire, come avviene molto spesso in rete, a discutere di improbabili quanto assurdi avvistamenti di dischi volanti o alieni fotografati in qualche bosco sperduto.

Di queste tematiche abbiamo parlato in diversi articoli. Dapprima sotto il profilo puramnete scientifico-biologico:

Il segnale WOW!

Messaggio alieno nelle aurore?

poi discutendo invece dove cercare questa vita, introducendo il discorso degli esopianeti e della loro scoperta al di fuori del nostro Sistema Solare:

A caccia di vita sugli Esopianeti

Nuovi esopianeti. Questa volta ci siamo?

Esopianeti che non dovrebbero esserci

Ancora sugli Esopianet

In particolare, tutto il discorso degli esopianeti riguarda principalmente l’identificazione di corpi orbitanti intorno a qualche stella e che si trovano in una zona potenzialmnete adatta allo sviluppo della vita. Come discusso varie volte negli articoli precedenti, la definizione di questi parametri impone una discussione di diversi fattori, non solo legati all’irraggiamento da parte della stella centrale e dunque della posizione orbitale del pianeta stesso.

Detto questo, questa volta vorrei parlare della ricerca di vita non al di fuori del nostro Sistema Solare, bensi’ al suo interno, molto piu’ vicino di quanto si possa pensare. Molti di voi, conosceranno sicuramente Europa, uno dei satelliti orbitanti intorno a Giove e che, da diverso tempo ormai, e’ visto come un possibile candidato ad ospitare forme di vita non sulla superficie, bensi’ al suo interno.

Visto da fuori, Europa si presente come un corpo estremamente inospitale:

Il satellite di Giove Europa

Il satellite di Giove Europa

La scoperta di Europa risale addirittura la 1610, quando Galileo riusci’ ad osservarlo, insieme ad altre lune di Giove, con l’ausilio del suo telescopio appena inventato. La superficie di Europa appare praticamente liscia e priva di criteri da impatto. Le osservazioni fatte a partire dal 1995 dalla sonda Galileo hanno evidenziato la presenza di una spessa crosta fatta di ghiaccio, molto simile al pack presente sui mari polari della Terra.

Come anticipato, in superficie, l’ambiente offerto da Europa non e’ assolutamente dei migliori. La temperatura superficiale si aggira intorno ai -150 gradi centigradi con un irragiamento da parte del Sole che e’ circa 1/25 di quello che arriva sulla Terra. Vicino ai poli geografici del satellite, la situazione e’ ancora peggiore con temperature che scendono fino a -230 gradi.

Perche’ su una luna di questo tipo ci potrebbe essere la vita?

Le osservazioni fatte nel corso degli anni dai vari satelliti che hanno sorvolato Europa hanno mostrato alcuni aspetti del pianeta che potrebbero essere compatibili con una struttura interna del tutto diversa da quella che vediamo dall’esterno. Il modellamento della superficie potrebbe infatti essere dovuto a moti mareali innescati dal vicino e massivo Giove su un enorme volume di acqua liquida, o ghiaccio conduttivo, contenuta all’interno di Europa. Questa immagine mostra molto bene le due ipotesi sulla struttura interna:

Possibili modelli per la struttura interna di Europa

Possibili modelli per la struttura interna di Europa

Oltre a queste considerazioni, le misure sul magnetismo del sistema Giove-Europa hanno evidenziato la presenza di un lieve campo magnetico sul satellite e di materiale conduttivo all’interno. Basta? Niente affatto, Europa presenta anche una lieve atmosfera propria con la presenza di ossigeno prodotto dalla dissociazione dell’acqua degli strati superficiali di ghiaccio. Poi? Nel 2013 il telescopio Hubble ha mostrato enormi geyser di vapore acqueo che fuoriescono dalle zone polari di Europa e che si elevano fino a 200 Km di altezza. Anche in questo caso, anche se da confermare ovviamente, il vapore acqueo potrebbe arrivare direttamente dall’interno del satellite spinto dall’attivita’ vulcanica, interna anche in questo caso.

Ragioniamo un attimo insieme: abbiamo una serie di evidenze che ci spingono a pensare che la superficie di Europa possa essere uno strato di ghiaccio contenente al suo interno un enorme oceano di acqua liquida. Alcune domande banali: quanto e’ spesso questo strato di ghiaccio? Come avrebbe fatto la vita a formarsi in un ambiente cosi’ ostile e, soprattutto, senza un sufficiente irraggiamento da parte del sole?

Domande ovviamente lecite e su cui e’ doveroso ragionare.

Per quanto riguarda lo spessore di ghiaccio, studiando la morfologia del pianeta, il suo moto e altri parametri chimico-fisici, si suppone che questo strato possa essere spesso circa 20 Km. Inoltre, le proprieta’ magnetiche di Europa potrebbero essere compatibili con un oceano di acqua addirittura salata, proprio come quella che riempie gli oceani della nostra Terra. Certo, uno spessore di 20 Km non e’ trascurabile e proprio questo aspetto rappresenta una delle difficolta’ principali per la probabile esplorazione e la ricerca di vita su Europa. Ma, come vedremo, le soluzioni tecnologiche potrebbe esserci.

L’altra domanda che ci siamo posti e’ invece legata alla possibilita’ che ci sia vita in questo immenso oceano sotterraneo. Per prima cosa, vi ricordo un argomento discusso qualche tempo fa su questo blog:

I misteri del lago Vostok

Lago Vostok, c’e’ vita?

Come ricorderete, anche nelle profondita’ di questo lago polare si ipotizza possa essere presente la vita, sviluppata in un ambiente apparentemente ostile e completamente isolato dalla superficie. Oltre a questo, nell’mmaginario comune, la moltitudine di forme di vita che si sviluppano nei nostri mari sono possibili grazie unicamente all’energia dei raggi solari che penetrano fino a profondita’ molto elevate. Se mettiamo un “tappo” di 20 Km su questo oceano e per di piu’ all’esterno abbiamo un irraggiamento proveniente dal sole gia’ notevolmente inferiore a causa della distanza Europa-Sole, come possiamo pensare che ci possano essere le condizioni per la vita?

Anche a questa domanda abbiamo una risposta che viene direttamente da quello che abbiamo potuto osservare sul nostro pianeta. Vi mostro una foto:

Fumarola Nera

Fumarola Nera

Di cosa si tratta? Quella che vedete e’ una cosiddetta “fumarola nera”, cioe’ un punto da cui fuoriescono gas provenienti dalle profondita’ della terra. Gas come idrogeno e acido solfidrico che, a causa della presenza di una forte attivita’ vulcanica su Europa, potrebbero essere presenti anche nell’oceano che vogliamo studiare. Di che tipo di forme di vita parliamo? Nel 1977, durante una missione esplorativa nelle Galapagos, venero scoperte colonie di vermi tubo, vongole, crostacei e mitili proprio intorno ad una fumarola nera in un punto in cui la luce del Sole non poteva assolutamente arrivare. Queste forme di vita, dunque non solo batteriche, si sviluppano grazie alla cosiddetta “chemiosintesi batterica”. In questo caso, al contrario della fotosintesi in cui si usa l’energia solare per ricavare energia, il processo sfrutta processi inorganici ad alta entalpia per formare sostanze organiche come, ad esempio, il glucosio. Detto questo, capite bene come la ricerca di vita su Europa potrebbe non essere assolutamente un azzardo, bensi’ una missione in grado di portare risultati.

Bene, a questo punto abbiamo capito dove poter cercare la vita, come potrebbe essersi sviluppata ma manca da capire se esistono i mezzi e la volonta’ per una missione di questo tipo. Senza tanti giri di parole, vi riporto un link sicuramente interessante il “President budget” per il Fiscal Year 2015:

President Budget, FY15

Per la prima volta, l’esplorazione su Europa e’ stata inserita nei finanziamenti della NASA per dare avvio a quella che viene chiamata missione Clipper.

Di cosa si tratta?

Come potete immaginare, il nome Clipper sta proprio per “taglia ghiaccio”. Scopo della missione e’ dapprima quello di effettuare 45 flyby intorno ad Europa partendo da un’altezza di 2700 Km per scendere fino a 25. Durante questi passaggi, grazie agli strumenti in dotazione, Clipper potra’ esaminare molti parametri chimico fisici sia dell’atmosfera che delle emissioni gassose intorno ai poli della luna. Inoltre, potranno essere scattate foto della superficie per una ricostruzione precisa di tutto il corpo. Nella seconda fase invece, la missione avra’ il compito di atterrare sul satellite e raccogliere campioni del terreno in superficie, e a profondita’ diverse comprese tra i 2 e i 10 cm. Perche’ questa raccolta? Semplice, l’analisi di questi campioni potra’ confermare o meno la presenza di salinita’, di materiale organico e di ogni altro parametro interessante per farci comprendere la presenza di o meno di vita all’interno di Europa.

La missione Clipper, gia’ in fase di studio da qualche anno e che, se tutto va nel verso giusto, dovrebbe essere lanciata nel 2025, rappresenta senza dubbio un primo passo per uno studio dettagiato di Europa. Ovviamente, come e’ facile immaginare, in questo caso, ancora piu’ che in altri, sara’ fondamentale garantire una sterilizzazione perfetta di tutti gli strumenti al fine di non “inquinare” i campioni con eventuali forme di vita terrestri.

Oltre alla NASA, molti altri paesi ed agenzie stanno pensando a missioni specifiche su Europa e su altre lune di Giove. L’ESA, ad esempio, sta preparando la missione JUICE per lo studio delle atmosfere di alcuni satelliti gioviani, tra cui ovviamente Europa. Se i risultati di queste missioni confermeranno, o almeno saranno compatibili, con l’ipotesi di vita, si passera’ ad una fase due con l’intenzione proprio di perforare lo strato di ghiaccio ed esplorare l’oceano sottostante. Per darvi un’idea, gia’ molti pensano a come realizzare queste missioni utilizzando trivelle alimentate da combustibile nucleare in grado di fornire l’acqua calda per forare l’enorme strato di ghiaccio. Oltre a questo, saranno sicuramente presenti non piu’ rover, ma mini sommergibili automatizzati per l’esplorazione dell’oceano e la ricerca di forme di vita.

Come vedete, Europa rappresenta sicuramente un futuro molto prossimo dell’esplorazione spaziale. Da qui a qualche anno potremmo finalmente capire se questo satellite possa essere un ambiente ospitale per la vita o se dovremmo limitarci a cercare al di fuori del nostro Sistema Solare.

Psicosi 2012. Le risposte della scienza”, un libro di divulgazione della scienza accessibile a tutti e scritto per tutti. Matteo Martini, Armando Curcio Editore.

L’esperimento di Ferlini e la barriera magnetica

4 Mag

Solo qualche giorno fa abbiamo pubblicato un articolo specifico sul cosiddetto “effetto Hutchinson”:

Effetto Hutchinson: realta’ o bufala?

Come visto, i fenomeni descritti in questa esperienza, che spaziano dalla levitazione alla fusione di oggetti con rilascio di energia, sarebbero provocati dalla sovrapposizione di onde elettromagnetiche in zone precise dello spazio. Nel descrivere queste esperienze, abbiamo mostrato un notevole scetticismo dettato dalla particolarita’ dei fenomeni descritti ma, soprattutto, dal fatto che l’autore stesso di questi esperimenti abbia piu’ volte dichiarato di non essere piu’ in grado di ripetere tali effetti. Ci tengo a sottolineare che la mia posizione di scettico non e’ affatto per partito preso. Come sapete, e come detto molte volte, tutti dobbiamo essere aperti a fenomeni sconosciuti e anche apparentemente assurdi purche’, come la scienza insegna, questi possano essere ripetuti da chiunque, in qualsiasi parte sotto le condizioni descritte. Solo se questo avviene possiamo considerare il metodo scientifico soddisfatto e vedere a tali nuovi fenomeni con gli occhi della scienza.

Riprendo quanto detto in questo articolo, perche’ ora vorrei raccontarvi un altro presunto esperimento che solo qualche giorno fa e’ stato richiamato da alcuni siti complottisti, sempre con il solito scopo di denigrare la scienza ufficiale e tacciarla di non voler approfondire cio’ che e’ fuori dai suoi dettami. Parlaimo questa volta del cosiddetto esperimento di Ferlini sulla barriera magnetica.

Chi e’ costui? In cosa consiste l’esperimento?

Se provate ad informarvi in rete, troverete solo una moltitudine di articoli che riprendono pari pari quanto descritto da Ferlini in un libro da lui stesso pubblicato e intitolato appunto “La barriera Magnetica”. In questo libro Ferlini descrive una serie di esperimenti che avrebbe condotto, dapprima in solitudine e poi con un gruppo di collaboratori, studiando i campi magnetici.

Prima di raccontarvi gli esperimenti, e’ importante, come vedremo dopo, dire che Ferlini inizio’ la sua carriera studiando l’antico Egitto e la costruzione delle Piramidi. In particolare, cio’ che interessava Ferlini era la possibilita’ che strani fenomeni fisici potessero accadere dentro o in prossimita’ delle piramidi a causa di soluzioni appositamente inserite durante la costruzione di questi imponenti monumenti.

Premesso questo, Ferlini racconta che un giorno giocherellando con due calamite si accorse che avvicinando i poli opposti, poco prima che questi entrassero in contatto, la zona di spazio appariva leggermente offuscata come se qualcosa di particolare accadesse al volume d’aria tra i poli stessi. Incuriosito da questo fenomeno che non riusciva a spiegare, Ferlini decise di costruire un esperimento piu’ in grande in modo da accentuare l’effetto. L’esperienza da lui realizzata, e sempre raccontata nel suo libro, prevedeva la disposizione di 4 grandi magneti di diverse tonnellate disposti con i poli opposti vicini. Ecco uno schema dell’apparato:

Disposizione dei 4 magneti nell'esperimento di Ferlini

Disposizione dei 4 magneti nell’esperimento di Ferlini

Come vedete ci sono 4 magneti a ferro di cavallo disposti con i poli Nord-Sud alternati tra loro. Dalle prime osservazioni con i piccoli magneti, Ferlini racconta di aver osservato questa deformazione dello spazio solo poco prima che i poli entrassero in contatto a causa dell’attrazione magnetica. Per poter osservare questo effetto nell’esperimento piu’ grande, Ferlini monto’ le calamite su appositi sostegni che permettevano un movimento a passi molto sottili. In questo modo era possibile avvicinare molto lentamente i poli grazie a dei fermi studiati per opporsi all’attrazione.

Bene, cosa accadde con questo esperimento?

Leggendo sempre dal libro di Ferlini, quando i magneti arrivarono nel punto preciso in cui si innescava il fenomeno, accadde qualcosa di incredibile. Nella stanza si diffuse una nebbiolina azzurra con un odore acre. Da queste proprieta’ organolettiche, i presenti capirono che si trattava di ozono. Ma non accade solo questo, la zona di spazio compresa tra i magneti, che questa volta al contrario del primo caso era molto estesa, venne deformata da questo effetto sconosciuto mai osservato prima. Ferlini, che indossava una maschera antigas per non respirare l’ozono, incuriosito da questo fenomeno, si avvicino’ al contrario dei suoi collaboratori che rimasero a distanza di sicurezza. Quando si trovo’ in prossimita’ del punto, i collaboratori videro Ferlini scomparire dalla stanza. La nebbiolina presente inizio’ lentamente a diradarsi assumendo diversi colori e solo dopo che scomparve le persone presenti videro Ferlini riapparire sprovvisto della maschera che portava prima di avvicinarsi.

Dove era finito Ferlini?

Come raccontato nel suo libro, Ferlini si ritrovo’ in Egitto, ma non nel momento dell’esperimento bensi’ al tempo in cui le piramidi erano in costruzione. Vide gli schiavi che alzavano i grandi blocchi e le piramidi cosi’ come erano quando vennero realizzate. Perche’ proprio in quel preciso punto ed in quell’epoca? Ferlini penso’ che questo strano effetto, da subito ribattezzato “barriera magnetica”, fosse un portale creato dalla forza magnetica in grado di interagire con le onde cerebrali. Come anticipato, la carriera di Ferlini inizio’ con lo studio delle piramidi e quindi la barriera magnetica era in grado di interagire con gli impulsi creati dal cervello umano realizzando viaggi nel tempo in zone ed epoche dove il soggetto voleva, anche solo inconsciamente, viaggiare.

Bene, questo e’ l’esperimento di Ferlini e questa sarebbe la barriera magnetica che lui descrive nel suo libro.

Ora posso dire la mia? Premetto, come anticipato all’inizio dell’articolo, che non voglio essere scettico di principio ma analizzando quanto viene raccontato capite bene come una verifica di queste affermazioni sarebbe, ed e’, facilmente attuabille ma, soprattutto, facilmente smentibile. Ovviamente, sui soliti siti complottisti trovate scritto che mai nessuno ha mai voluto realizzare l’esperimento di Ferlini o anche che in realta’ e’ utilizzato normalmente in alcuni grandi centri di ricerca anche se alle persone comuni non ne viene data notizia.

Prima di tutto, vi ricordo che non stiamo parlando di esperimenti impossibili da realizzare ne che richiedono strumentazione particolare. Come detto, nella prima esperienza, Ferlini si sarebbe accorto di questo fenomeno semplicmente osservando due calamite che si attraevano. Avete mai visto due calamite? Ci avete mai giocherellato? Avete mai notato una distorsione dello spazio prima che queste si attacchino a causa della forza di attrazione? Ovviamente credo che la risposta a queste domande sia quanto meno scontata.

Vi faccio notare anche un altro particolare. Prendiamo un sito qualsiasi:

Sito vendita magneti

15 euro al pezzo, ne servono 4, quattro viti senza fine per realizzare un movimento a piccoli passi, qualche bullone di supporto, con meno di 100 euro avete realizzato l’esperimento di Ferlini. Non avrete magneti da tonnellate per poter fare un viaggio nel tempo, ma sicuramente dovreste essere in grado di osservare una bella distorsione dello spazio e, se siete fortunati, anche una bella nebbiolina di ozono nella stanza. Cercando informazioni sulla rete, ho trovato diversi forum in cui gruppi di persone, anche se sconsigliate da altre, si sono dichiarate pronte a mettere in piedi l’esperimento per dimostrarne la corretteza. La cosa simpatica e’ che dopo una lunga discussione “lo faccio”, “non lo fare perdi tempo”, “no lo faccio, chi mi aiuta?”, ecc., nessuno, e dico nessuno, ha il coraggio di tornare e dire che il suo esperimento e’ stato un flop. Nonostante questo, di tanto in tanto, qualche simpatico sito ritira fuori questa storia come se fosse una novita’ assoluta. Che ci volete fare, in tempo di magra di catastrofi e complotti, ogni cosa e’ buona per cercare di accaparrarsi qualche visita sul sito.

Giusto per concludere, e per togliere ogni dubbio, il magnetismo e’ noto da tantissimo tempo. Gia’ ai tempi del greco Talete, che descrive il fenomeno, era noto che un materiale, la magnetite, era in grado di attirare limatura di ferro. Oggi, possiamo disporre di campi magnetici molto elevati per applicazioni di ricerca. Per farvi qualche esempio, il campo magnetico all’interno dell’esperimento ATLAS del CERN, si proprio quello della scoperta dell’Higgs insieme a CMS, e che viene utilizzato per curvare le particelle cariche, ha un’intensita’ di 2 Tesla, cioe’ circa 100000 volte il campo magnetico terrestre. Pensate sia tanto? Ci sono laboratori al mondo che si occupano proprio di studiare i campi magnetici cercando, per ricerca e applicazioni, di trovare materiali nuovi da poter essere utilizzati per creare campi magnetici sempre piu’ intensi. Un esempio? Nel “High Field Magnet Laboratory” in Olanda, si e’ raggiunto il valore di 38 Tesla con un sistema “economico” da soli 1.5 milioni di dollari. Questo pero’ non e’ ancora il record assoluto, anche se il laboratorio detiene il record come rapporto intensita’/prezzo, dal momento che il guiness dei primati per il campo magnetico piu’ intenso e’ del Magnet Lab della California:

Magnet Lab

dove si e’ raggiunto il valore di 45 Tesla con un sistema molto complesso da ben 15 milioni di dollari.

Ora, ragioniamo insieme, secondo voi se esistesse questo effetto “barriera magnetica” dovuto all’attrazione dei poli, nessun altro se ne sarebbe accorto, magari con un sistema in grado di generare un campo ben piu’ intenso rispetto a quello di una semplice calamita a ferro di cavallo?

 

Psicosi 2012. Le risposte della scienza”, un libro di divulgazione della scienza accessibile a tutti e scritto per tutti. Matteo Martini, Armando Curcio Editore.

La terza fascia di Van Allen

4 Mar

Anche se, come spesso avviene, dobbiamo partire dal catastrofismo, questa volta parliamo di scienza vera ed in particolare della scoperta, pubblicata proprio in questi ultimi giorni, di una terza fascia di Van Allen intorno alla Terra.

Di cosa si tratta?

Andiamo con ordine, delle fasce di Van Allen abbiamo gia’ parlato in questo post:

L’anomalia del Sud Atlantico

Come abbiamo visto, queste altro non sono che delle strutture intorno alla Terra formate da particelle cariche. In particolare, fino a pochi giorni fa, erano conosciute due fasce, una formata da elettroni ed una da protoni. Dal momento che queste particelle vengono intrappolate mediante la forza di Lorentz per opera del campo magnetico terrestre, nella fascia piu’ interna troviamo protoni, mentre in quella piu’ esterna elettroni.

Fasce di Van Allen intorno alla Terra

Fasce di Van Allen intorno alla Terra

In particolare, quando le particelle delle fasce di Van Allen vengono eccitate a causa dell’attivita’ solare, si ha il fenomeno delle aurore, di cui abbiamo discusso gia’ diverse volte.

Facciamo un piccolo passo indietro. Perche’ queste strutture sono tanto care ai catastrofisti? Come ricorderete, uno degli argomenti maggiormente citati per il 21 Dicembre 2012, era l’ipotizzata inversione dei poli magnetici terrestri. Dal momento che, come visto, l’esistenza stessa delle fasce di Van Allen e’ dovuta al campo magnetico terrestre, molto si e’ speculato in questa direzione, cercando presunte prove dell’imminente inversione. Di questi aspetti abbiamo parlato, ad esempio, in questo post:

Inversione dei poli terrestri

Come visto, niente di tutto questo e’ reale. Sappiamo che il polo nord magnetico e’ in lento e continuo movimento, cosi’ come sappiamo che in passato e’ avvenuta un’inversione dei poli terrestri, ma questo non comporterebbe certamente la fine del mondo e assolutamente questo non e’ un processo che avviene dall’oggi al domani ma esistono modelli matematici, basati sulle informazioni provenienti dal Sole, che periodicamente inverte i suoi poli, che ci mostrano come questo fenomeno dovrebbe avvenire.

Bene, detto questo, proprio in questi giorni si e’ tornati a parlare delle fasce di Van Allen, dopo che e’ stato pubblicato un articolo sulla rivista Science di un’importante scoperta fatta da ricercatori NASA nell’ambito della missione Radiation Belt Storm Probes. Questa missione consiste in due sonde gemelle lanciate nello spazio la scorsa estate proprio per studiare ed osservare le cinture di particelle che circondano la Terra.

Cosa hanno osservato le due sonde?

Subito dopo il lancio, le sonde hanno potuto osservare le due fasce come normalmente avviene e come abbiamo detto anche nel precedente post. Ai primi di settembre pero’, i ricercatori hanno osservato la fascia esterna spostarsi verso il basso ed e’ apparsa una terza fascia, molto meno compatta, ancora piu’ lontana dalla prima e sempre popolata di elettroni.

Questo e’ un modello che mostra appunto il confronto tra la struttura a due (nota) e a tre (innovativa) fasce di Van Allen intorno alla Terra:

Modello a 2 e 3 fasce di Van Allen

Modello a 2 e 3 fasce di Van Allen

LA cosa che ha sorpreso ancora di piu’ e’ che dopo circa  3 settimane, la fascia piu’ esterna ha iniziato lentamente a dissolversi fino a quando, dopo circa un mese dalla prima osservazione, una potente emissione di vento solare ha letteralmente spazzato via la fascia esterna riformando la solita struttura a due cinture che tutti conoscono.

Ora, cerchiamo di analizzare quanto riportato.

Prima di tutto, c’e’ da dire che l’osservazione di questa struttura e’ stato un gran bel colpo di fortuna per i ricercatori della NASA. Secondo il programma infatti, gli strumenti delle sonde avrebbero dovuto cominciare a raccogliere dati solo dopo un mese dal lancio. Questa procedura e’ del tutto normale e viene utilizzata per far stabilizzare la strumentazione dopo il lancio. In questo caso pero’, si e’ insistito affinche’ gli strumenti fossero accesi subito. Se vogliamo, dato questo particolare, non si e’ trattato solo di fortuna. Proprio l’accensione anticipata degli strumenti ha consentito di osservare questo nuovo effetto. Se fosse stato rispettato il programma, al momento dell’accensione la terza fascia era gia’ scomparsa.

Al momento, non esiste ancora una teoria per siegare quanto osservato o meglio, i dati raccolti sono completamente in disaccordo con quanto sapevamo e con quanto osservato in passato. Questo significa che adesso ci vorra’ tempo affinche’ vengano formulati nuovo modelli per tenere conto di questo effetto.

Allo stato attuale, non si conosce neanche quanto frequentemente avviene la divisione in tre fasce. Probabilmente questo fenomeno avviene regolarmente a causa dell’attivita’ solare, ma fino ad oggi non eravamo stati in grado di osservarlo.

Perche’ parlo di attivita’ solare? Come detto, il vento solare modifica la struttura delle fasce di Van Allen e quindi, con buona probabilita’, anche questo effetto puo’ essere ricondotto alla stessa causa. Inoltre, come osservato, proprio il vento solare ha ripristinato la struttura a due fasce.

Da quanto sappiamo, le due fasce sono separate da una zona non popolata di particelle detta “zona di sicurezza”. Dai dati raccolti, sembrerebbe che la pressione esercitata dalla radiazione solare abbia spostato gran parte degli elettroni in questa zona formando cosi’ la struttura a tre fasce osservata. Sempre un’emissione di vento solare ha poi spazzato via la terza fascia meno densa e di conseguenza gli elettroni sono risaltati nella posizione originale.

Ovviamente, si tratta ancora di ipotesi. Come detto, i dati raccolti verranno ora analizzati per cercare di formulare un modello in grado di spiegare quanto osservato.

Solo per concludere, non c’e’ niente di misterioso in questa scoperta. Su alcuni siti si e’ tornati a parlare di inversione del campo magnetico terrestre, speculando circa la modificazione delle fasce di Van Allen. Niente di tutto questo e’ reale. Come visto, si tratta di una scoperta nuova e del tutto inaspettata. In quanto tale, e’ ovvio che non si ha ancora un’idea precisa o una spiegazione uniformemente accettata. A questo punto non resta che aspettare l’analisi dei dati per capire la spiegazione di questo nuovo fenomeno.

 

Psicosi 2012. Le risposte della scienza”, un libro di divulgazione della scienza accessibile a tutti e scritto per tutti. Matteo Martini, Armando Curcio Editore.

Ricerca sui blocchi delle grandi piramidi

26 Gen

In questo post, vorrei raccontarvi di una nuova ricerca scientifica, pubblicata proprio in questi giorni sulle riviste specializzate. Data la premessa, capite subito che si tratta di una misura reale, non speculativa, ma che ritengo estremamente interessante.

Uno dei misteri che da sempre affascina l’uomo, e’ la costruzione delle grandi piramidi di Giza. Questi enormi monumenti funerari sono formati mettendo sapientemente insieme blocchi pesanti tonnellate. Proprio su questo punto, nascono molte ipotesi, a volte anche completamente campate in aria. Come hanno fatto gli antichi egiziani a costruire le piramidi? Nel cercare una risposta a questa domanda, spesso si dimenticano le basi su cui era fondata questa civilta’. L’egemonia territoriale e la struttura societaria fortemente gerarchica, consentiva agli antici egizi di poter disporre di un numero elevatissimo di schiavi considerati sacrificabili. Proprio questa manodopera immensa e a costo zero, veniva sfruttata per muovere gli enormi blocchi, mattoni fondamentali della costruzione delle piramidi. Diciamo che questa potrebbe essere una soluzione ragionevole, ma non l’unica.

Le tre piramidi maggiori di Giza

Le tre piramidi maggiori di Giza

L’altro punto importante, e che spesso pone domande e dubbi, e’ “dove sono stati presi questi blocchi?” e “possibile che un numero, anche grande di schiavi, possa trasportare questi blocchi e metterli in posizione?”. Le vicine cave di roccia e la manodopera rispondono molto bene in questo caso, ma la ricerca che vorrei raccontarvi propone una chiave di lettura diversa.

Le piramidi di Giza sono state costruite utilizzando blocchi cubici di pietra calcarea. Come anticipato, opinione comune e’ che questi blocchi siano stati prelevati dalla numerose cave vicino Giza. Gia’ da qualche anno pero’, e’ stata fatta l’ipotesi che non tutti i blocchi abbiano questa provenienza. Secondo queste idee, parte dei blocchi potrebbero essere stati prodotti in modo artificiale direttamente nella loro posizione finale.

Secondo alcune teorie, gli antichi egizi sarebbero stati in grado di produrre blocchi di roccia partendo dal fango del Nilo, posto in speciali contenitori di legno, mescolato con un liquido chiamato “natron”. Questo composto sarebbe un miscuglio salino prelevato invece dai letti dei laghi asciutti durante il periodo estivo. Al termine dell’asciugatura di questo miscuglio, si potevano ottenere blocchi di roccia del tutto simili a quelli naturali.

Se fosse vera la produzione artificiale dei blocchi, significherebbe che questi sono stati prodotti direttamente nella loro posizione attuale in cui li vediamo, semplicemente posizionando il contenitore di legno dove vogliamo il blocco. Questa soluzione eliminerebbe dunque sia il problema del trasporto che della messa in opera dei pesanti blocchi di roccia.

Come e’ possibile verificare questa ipotesi? Senza prove scientifiche, si tratta solo di supposizioni. La ricerca che raccontiamo e’ proprio servita per vagliare questa ipotesi.

In diversi post precedenti:

Inversione dei poli terrestri

L’anomalia del Sud Atlantico

abbiamo parlato di “paleomagnetismo”. Come visto, questa branca della geologia si occupa di studiare, tra le altre cose, l’orientazione dei materiali ferromagnetici all’interno degli strati di sedimenti. Nei post precedenti, abbiamo presentato questa tecnica per dimostrare l’inversione avvenuta nel passato del campo magnetico terrestre, che a sua volta orienta nel verso dei poli del pianeta il magnetismo proprio delle rocce.

Nel caso delle piramidi di Giza, il paleomagnetismo e’ stato utilizato per cercare di trovare differenze significative tra i blocchi e dunque verificare o meno l’ipotesi che alcuni blocchi fossero prodotti artificialmente.

Posizione dei blocchi analizzati con il paleomagnetismo

Posizione dei blocchi analizzati con il paleomagnetismo

In questa prima fase della ricerca, sono stati analizzati 6 blocchi di materiale, 3 dalla piramide di Cheope e 3 da quelle di Chefren, localizzati nei punti mostrati dalla figura allegata.  In particolare, il punto 4 e’ relativo ad una cava vicina alle Piramidi, ragionevolmente utilizzata per prelevare materiale, e dunque assunto come riferimento per la misura.

Cosa dobbiamo aspettarci andando a misurare l’orientazione del campo magnetico all’interno dei blocchi?

Molto semplicemente, all’interno della cava, le rocce avranno un’orientazione di campo parallela alla direzione dei poli terrestri prodotta durante la formazione del deposito di materiale. Una volta tagliati i blocchi pero’, questi saranno stati girati casualmente durante il trasporto e la messa in opera, dando orientazioni casuali ai campi magnetici. In altri termini, se fosse vera l’ipotesi naturale, non dovremmo avere una direzione preferenziale di orientazione del campo.

E se invece i blocchi fossero stati prodotti artificialmente? In questo caso, dal momento che i blocchi vengono prodotti direttamente nel punto in cui devono essere posti, il campo magnetico interno delle rocce si orienta parallelamente al campo terrestre, non subendo ulteriori spostamenti successivi. In questo caso dunque potremmo osservare i campi magnetici tutti rivolti nella stessa direzione.

Quali risultati si sono trovati?

Dei 6 blocchi analizzati, 3 di questi, 2 dalla piramide di Chefren e 1 da quella di Cheope, presentavano una paleodirezione parallela a quella Nord-Sud del campo magnetico terrestre. Dalle considerazioni fatte, molto probabilmente questi blocchi sono stati prodotti direttamente nella loro posizione con la tecnica vista.

Cosa possiamo dire dei restanti 3 blocchi? Il paleomagnetismo, insieme anche con gli studi magnetici fatti nella preparazione del campione da analizzare, ci consentono di ottenere anche altri risultati importanti. Tutti e 3 i blocchi presentano direzioni casuali del campo magnetico, ma mentre 2 di questi hanno caratteristiche simili, uno appare diverso proprio dal punto di vista fisico-magnetico. Cosa significa? I primi 2 blocchi, hanno caratteristiche magnetiche, dunque di composizione, simili al campione prelevato nella cava vicina alle piramidi, indicando una provenienza dei blocchi da questo deposito. Il restante blocco invece, date le caratteristiche diverse, con buona probabilita’ e’ stato ricavato da un’altra cava, forse piu’ lontana di quella presa in esame.

Concludendo, questo risultato mostra dati molto interessanti. Come visto, molto probabilmente gli egiziani mescolavano insieme blocchi naturali e artificiali. Inoltre, le rocce calcaree naturali venivano estratte contemporaneamente da diverse cave, forse proprio per aumentare il ritmo di produzione del materiale necessario.

Questa misura dimostra l’utilita’ degli studi paleomagnetici anche in campi diversi da quelli abituali. Nei prossimi mesi continuera’ l’analisi dei blocchi delle grandi piramidi, per cercare di trovare informazioni utili e che forse ci aiuteranno a comprendere meglio, e senza speculazioni, le tecniche utilizzate per realizzare queste imponenti opere.

 

 

Psicosi 2012. Le risposte della scienza”, un libro di divulgazione della scienza accessibile a tutti e scritto per tutti. Matteo Martini, Armando Curcio Editore.

 

 

Il raggio del dolore

29 Dic

Nel precedente articolo, abbiamo parlato del cosiddetto “raggio della morte” che sarebbe stato inventato da Tesla, ma di cui non si hanno assolutamente prove tangibili:

Il raggio della morte

Come visto, questo raggio elettromagnetico sarebbe in grado, stando ovviamente alle speculazioni mediatiche, di disintegrare intere porzioni del pianeta, di teletrasportare corpi e oggetti in altre dimensioni e potrebbe anche essere usato come una letale arma.

In questo post invece vorrei parlarvi di una vera applicazione introdotta per primo da Tesla e da cui molto probabilmente nasce la speculazione di cui abbiamo gia’ parlato. Questa volta, invece del raggio della morte parliamo del “raggio del dolore”.

Andando avanti nella trattazione capirete anche perche’ proprio da questa applicazione nascono le speculazioni, sia scientifiche che complottiste, di cui e’ piena la rete.

Il raggio del dolore rientra nelle cosiddette “armi non cinetiche”. Con questo termine si intende tutta una categoria di armamenti che non includono il moto di un proiettile scagliato meccanicamente contro un bersaglio. Applicazioni di questo tipo sono molto moderne e racchiudono la parte bellico/militare insieme allo sviluppo della tecnologia senza fili che ormai e’ entrata propotentemente anche nelle nostre abitazioni.

In soldoni, il raggio del dolore sarebbe un’arma che, indirizzata verso una persona, provocherebbe un dolore talmente elevato da immobilizzarla, ma senza conseguenze ne’ letali ne’ tantomeno donnose per il corpo.

Come funziona questa applicazione?

Come anticipato, il principio di base si deve a Nikola Tesla. Nel raggio del dolore, un fascio di microonde ad alta potenza o un laser viene inviato su un bersaglio. L’energia delle onde elettromagnetiche viene calibrata in modo che il fascio possa penetrare pochi decimi di millimetro sotto la pelle del soggetto, andando ad interagire direttamente con i recettori nervosi che comandano il dolore. In questo modo, si stimola un dolore fortisimo nel soggetto che rimane paralizzato per alcune decine di secondi. Al termine dell’effetto, le funzionalita’ corporee vengono riprese completamente senza conseguenze per l’apparato nervoso dell’individuo.

Un prototipo di arma ad energia diretta basato su laser.

Un prototipo di arma ad energia diretta basato su laser.

Vi ribadisco che siamo ancora nel campo della sperimentazione. Le armi ad energia diretta, basate dunque su onde elettromagnetiche, sono oggetto di studio attuale per molti eserciti e governi in tutto il mondo.

Dal punto di vista strettamente scientifico, capite bene che un’applicazione del genere implica notevoli studi non solo sulla trasmissione del segnale a distanza, ma anche e soprattutto sulla parte di generazione e collimazione del fascio. Su questo ultimo punto in particolare, e’ evidente che, affinche’ sia efficace, il fascio deve essere generato alla potenza giusta e convogliato su un punto ben preciso per avere le conseguenze ricercate.

Le applicazioni possibili di un sistema del genere sono in realta’ molteplici e non legate solo alla parte bellica. Molto interesse su questa nuova tipologia di armamenti, che sono non letali come dice il nome stesso, viene ad esempio dal settore sicurezza. Possibili utilizzi del raggio del dolore possono essere in ambito di ordine pubblico ma anche nel contrasto del terrorismo o degli ordigni improvvisati. Solo come esempio pratico, immaginate di avere un terrorista con indosso una cintura esplosiva. L’utilizzo del raggio sarebbe utilie per immobilizzare il soggetto senza il rischio di far esplodere l’ordigno.

Ovviamente in questo contesto non entro nel merito degli armamenti o della ricerca in questi settori. Lo copo del blog e’ quello di divulgare la scienza a fronte delle tante ipotesi complottiste trovate in rete. Pensando al funzionamento del raggio del dolore, capite bene l’assonanza di questa applicazione con il raggio della morte di cui abbiamo parlato in precedenza. Dal “dolore” si e’ passati alla morte, dall’immobilizzamento si e’ passati al teletrasporto e dalle onde elettromagnetiche addirittura ad una qualche forma di energia misteriosa e sconosciuta.

Proprio questo genere di applicazioni ha creato la speculazione che conosciamo. Il raggio della morte, il teleforce, i portali elettromagnetici sono tutte applicazioni pensate inizialmente da Tesla ma su cui poi la speculazione ha creato questo falso mito.

Solo per completezza, vi dico che studi su questa tipologia di armi, compreso il raggio del dolore, sono tutt’ora in corso. Capite anche bene che ricerche di questo tipo implicano un lavoro di squadra di diverse figure professionali esperte non solo di onde elettromagnetiche, ma anche a livello medico/biologico per l’annullamento di eventuali effetti secondari sugli organismi viventi.

Come vedete, questo genere di argomenti si sviluppano in rete un po’ come le legende. C’e’ un fondo di verita’, piu’ o meno nascosto o anche piu’ o meno noto ai non addetti ai lavori, da cui poi inizia una speculazione senza fine. In questo contesto, diviene poi difficile cercare di distinguere tra il mito, la bugia e la verita’.

 

 

 

Psicosi 2012. Le risposte della scienza”, un libro di divulgazione della scienza accessibile a tutti e scritto per tutti. Matteo Martini, Armando Curcio Editore.

 

 

 

Il raggio della morte

29 Dic

Nel post precedente:

Haarp, la causa di tutti i mali!

siamo tornati a parlare di Haarp e, come vi avevo anticipato, questa discussione sara’ da tenere a mente per la prossima notizia di cui vorrei parlarvi.

Come anticipato, in rete in questi ultimi giorni si sta tornando a parlare molto insistentemente di onde ELF anche in relazione con il cosiddetto “raggio della morte”. Con questo termine, si indica un ipotetico raggio di onde elettromagnetiche che sarebbe in grado di provocare effetti molto catastrofici sul bersaglio mirato. Stando a quanto trovate in rete, l’applicazione di questo raggio sarebbe in grado di distruggere intere zone del pianeta, di spostare in dimensioni parallele corpi ed oggetti, di spegnere i motori a combustione e chi piu’ ne ha, piu’ ne metta.

Prima di lanciarci nell’analisi di queste cose, vorrei aprire una parentesi che mi sta molto a cuore. Su internet leggete che gli studi su questa tipologia di segnali risalgono al noto fisico Nikola Tesla. Proprio di Tesla vorrei parlare un attimo.

Tesla e’ divenuto un personaggio molto citato e a cui molti siti complottisti sono affezionati. Il mio personale punto di vista e’ che Tesla deve essere considerato un genio per i suoi studi pioneristici nella trasmissione dei segnali wireless. Molti degli studi di Tesla trovano oggi larga applicazione proprio nelle tecnologie senza fili. Gli studi fatti da questo grande fisico sono un punto di riferimento nello studio sia delle antenne che dei ricevitori.

Perche’ dico questo? Semplicemente perche’ in rete gli studi di Tesla hanno assunto connotati quasi stregoneschi e magici. Speculare sulle invenzioni di questo scienziato non fa altro che sporcare la sua memoria. In tutto questo, un ruolo molto importante lo hanno certamente i media ed i vari governi. Non e’ un mistero che gli studi di Tesla siano stati visti con molto sospetto proprio per le possibili applicazioni belliche. Come vedete, non sto assolutamente nascondendo il mio punto di vista ne’ sto disegnando tutto con rose e fiori. Parlare pero’ di possibili invenzioni che avrebbero rivoluzionato le nostre vite e che, per questo governo o per quest’altro complotto, sono tenute nascoste, serve solo a mitizzare in modo sbagliato Nikola Tesla.

Fatta questa premessa, torniamo a parlare di questo raggio della morte.

Anche in questo caso, i primi studi a riguardo sono effettivamente di Tesla e, anche in questo contesto, in rete si e’ creata un’aura di mistero del tutto fuori luogo.

Abbiamo gia’ detto di cosa sarebbe capace questo raggio della morte, cerchiamo di capire quali sono le prove scientifiche portate dai vari siti complottisti a riguardo e se veramente queste conseguenze sono possibili.

Come potete facilmente immaginare, secondo questa concezione, il sistema Haarp sarebbe proprio la pistola in grado di sparare questo raggio della morte. Cerchiamo dunque di capire quali sono le verita’ scientifiche portate come prova dai tanti siti che parlano di queste applicazioni.

In questo articolo:

Haarp e terremoti indotti?

abbiamo gia’ smentito la possibilita’ che il sistema Haarp possa essere utilizzato per innescare terremoti o per cambiare i valori del campo magnetico terrestre.

Accanto a queste bufale, trovate altre due ipotesi di utilizzo del raggio della morte alquanto curiose: l’episodio di Tunguska e la scomparsa dell’isola di Bermeja.

Andiamo con ordine e cerchiamo di capire.

Alberi abbattuti a Tunguska

Alberi abbattuti a Tunguska

Il 30 giugno 1908 a Tunguska, localita’ della Siberia, una violenta esplosione si verifico’ intorno alle 7 del mattino. L’onda d’urto fu talmente grande da abbattere 60 milioni di alberi su una superficie di 2000 Km quadrati di Tundra. Il rumore dell’esplosione venne avvertito fino a 1000 km di distanza.

Bene, secondo le fonti internet, questa esplosione venne provocata proprio da Tesla che stava conducendo un esperimento sul raggio della morte e lo invio’ in direzione della Siberia.

Ovviamente capite bene l’assurdita’ di questa affermazione. Non vi e’ assolutamente nessuna prova scientifica a sostegno di questa ipotesi. Come forse molti di voi gia’ sanno, l’ipotesi piu’ probabile per l’evento di Tunguska e’ quella di un asteroide caduto sulla Terra. Nel corso del XX secolo, diverse spedizioni sono state fatte in Siberia per cercare di determinare il punto preciso dell’impatto e il cratere formato dall’asteroide. In particolare, l’ultima spedizione, organizzata dall’universita’ di Bologna e che comprende esperti in diverse discipline, ha fatto uno studio molto dettagliato della zona vedendo in particolare la distribuzione della ricrescita degli alberi e gli anelli di accrescimento dei tronchi. Da questo studio si e’ determinato, con buona esattezza, che il punto preciso dello scontro con l’asteroide dovrebbe essere nel lago Cheko. In particolare, il fondo del lago e’ conico e si sarebbe formato proprio in seguito all’impatto con questo corpo. A riprova di questo, le carte dei primi del ‘900 non riporterebbero nessun lago in quella zona, proprio a dimostrare la formazione dello specchio d’acqua a seguito dello scontro.

L’altro esempio molto citato in rete per l’applicazione del raggio della morte, sarebbe invece la scomparsa dell’isola di Bermeja nel golfo del Messico. Cosa significa “scomparsa di un isola”?

Una mappa del 1846 con l'isola di Bermeja

Una mappa del 1846 con l’isola di Bermeja

Diverse mappe, fino al XIX secolo, riportano la presenza di questa isola nel golfo del Messico vicino al famoso triangolo delle Bermude. Oggi pero’ di questa isola non si ha traccia. Con questo intendo che molte spedizioni sono andate nella zona indicata dalle carte senza trovare assolutamente nessuna traccia dell’isolotto. Che fine ha fatto quest’isola? In questo contesto, vi viene detto che proprio un esperimento di Haarp sarebbe stato condotto in quella zona sparando questo famoso raggio della morte. L’effetto di questo fascio sarebbe talmente potente da aver disintegrato l’isolotto o anche, secondo ipotesi ancora piu’ fantasiose, averlo spedito in una dimensione parallela.

E’ possibile che sia colpa di Haarp? Assolutamente no! Vi spiego anche il perche’ facendo una rapida considerazione. Gia’ nel 1997 una spedizione fatta dall’Universita’ Autonoma del Messico aveva invano cercato questa isola. Bene, nel 1997 Haarp non era ancora in funzione dal momento che l’installazione completa a piena potenza e’ stata finita solo nel 2007. Come e’ possibile che una cosa che ancora non esisteva abbia fatto scomparire un’isola? Per rispondere subito ad eventuali accuse, i primi prototipi di Haarp, risalenti al 1994, avevano a disposizione solo un numero molto limitato di antenne con la possibilita’ di dimostrare la fattibilita’ del progetto.

Capite bene l’assurdita’ anche di queste affermazioni. Per completezza, vi dico anche che la storia di Bermeja e’ un classico nella teoria del complotto. Come detto sopra, questo isolotto dovrebbe trovarsi molto vicino alla zona del famoso triangolo delle Bermude. La scomparsa dell’isola viene molto spesso utilizzata anche come prova che qualcosa di misterioso ci sia sotto questo fazzoletto di mare. Come vedete, e’ una storia per tutte le stagioni e per tutte le teorie che volete confermare.

Il motivo vero per cui l’isola di Bermeja non esiste piu’, in realta’ non e’ ancora noto. Ci sono diverse ipotesi che vengono fatte a riguardo. La prima e’ che ci sia un errore sulle mappe fatte fino al XIX secolo. Personalmente trovo questa ipotesi assurda, dal momento che diverse mappe, fatte in periodi differenti, da cartografi diversi, riportano la presenza di questa isola piu’ o meno sempre nella stessa posizione. Altra ipotesi e’ che l’isola sia stata sommersa a causa dell’innalzamento del livello del mare. Questa ipotesi potrebbe essere verosimile, ma sarebbe interessante capire l’altitudine massima dell’isola per capire di quanto si sarebbe innalzato il livello delle acque. Ulteriore ipotesi, forse piu’ probabile, vedrebbe invece uno sprofondamento dell’isola a causa di un cedimento strutturale o comunque un inabissamento dovuto a fenomeni tellurici nella zona.

Esiste anche un’ultima ipotesi che vi accenno, ma solo per rimanere in ambito complottista. Secondo alcune fonti, l’isola sarebbe stata distrutta dalla CIA per ampliare la zona di mare degli Stati Uniti. Il motivo di questo sarebbe proprio il fatto che l’isola segnerebbe il confine tra lo spazio di mare messicano e quello statunitense. In questo caso, la distruzione dell’isola sarebbe stata necessaria solo per spostare il confine territoriale tra i due paesi. Capite bene che su questa ipotesi non ci sono assolutamente prove ne’ scientifiche ne’ tantomeno politiche, ma solo fantasiose teorie complottiste.

Concludendo, le presunte prove portate a sostegno dell’utilizzo del raggio della morte, sono del tutto costruite a tavolino e assolutamente senza alcun riscontro scientifico. In particolare, la scomparsa dell’isola di Bermeja la trovate in diverse teorie del complotto utilizzata per sostenere l’ipotesi che fa piu’ comodo in base al contesto. Non fatevi confondere da tante notizie buttate li’ solo per aggiungere carne al fuoco o mistero al racconto. Sfruttate la rete internet nel migliore dei modi, confrontando diverse notizie e cercando sempre di informarvi autonomamente.

 

 

Psicosi 2012. Le risposte della scienza”, un libro di divulgazione della scienza accessibile a tutti e scritto per tutti. Matteo Martini, Armando Curcio Editore.

 

 

 

 

Inversione dei poli terrestri

3 Nov

Negli ultimi giorni, sta tornando alla ribalta l’ipotesi secondo la quale il 21 Dicembre 2012 ci sara’ un’inversione dei poli magnetici terrestri. Di questo argomento se ne parla abbondantemente nel libro “Psicosi 2012. Le risposte della scienza”, ma, dal momento che ho ricevuto diverse mail di utenti che mi chiedono il mio punto di vista, ho deciso di parlarne anche sul blog.

Cerchiamo prima di tutto di capire meglio cos’e’ il campo magnetico terrestre e se veramente una sua inversione dovrebbe preoccuparci.

Il geomagnetismo e’ un fenomeno del tutto naturale, per cui la nostra Terra presenta un campo magnetico intrinseco. Questo e’ assimilabile ad un campo dipolare, cioe’ con un polo Nord ed un polo Sud, ed in cui i poli magnetici non sono esattamente coincidenti con quelli geografici. Proprio grazie al magnetismo terrestre, possiamo utilizzare strumenti come la bussola, il cui ago si allinea perfettamente con la direzione delle linee di forza del campo, o, detto in parole semplici, il cui ago si allinea nella direzione dei poli magnetici.

Nell’immagine seguente viene mostrata la forma del campo magnetico terrestre mostrando anche la sua assimilazione ad un magnete dipolare:

Forma del campo magnetico terrestre

Oltre a far funzioanre la bussola, il campo magnetico terrestre offre un’importante difesa contro le radiazioni provenienti dal Sole. Come sappiamo, il sole emette nello spazio getti di particelle in parte anche nella direzione della nostra Terra. Questi fasci, che compongono la radiazione cosmica primaria, vengono deviati dal campo magnetico e in parte riescono a penetrare l’atmosfera in prossimita’ dei poli generando le aurore.

Effetto di schermo del campo magnetico per la radiazione proveniente dal Sole

Torando al 2012, perche’ tanto peso viene dato all’inversione dei poli magnetici? Quello che spaventa, non e’ tanto una configurazione con i poli invertiti rispetto alla situazione attuale, bensi’ il periodo, piu’ o meno lungo, in cui l’inversione e’ in corso. In questo transitorio infatti, sempre secondo le teorie catastrofiste, il campo sarebbe annullato lasciando la Terra priva del suo schermo naturale per la radizione solare.

I sostenitori del 2012 sostengono che e’ in corso l’inversione dei poli e che proprio il 21 Dicembre iniziera’ il periodo di annullamento del campo magnetico.

Cosa c’e’ di vero in questo? E’ veramente in corso l’inversione dei poli?

Cominciamo la nostra discussione partendo dalle prove portate a sostegno dai catastrofisti: il polo nord magnetico si sta spostando nel corso del tempo e negli ultimi tempi sta presentando un’accelerazione.

Posizione del polo Nord a partire dal 1831

Parte di questa affermazione e’ vera. Il polo Nord e’ in costante movimento nel corso degli anni e la sua posizione e’ costantemente misurata dalla scienza ufficiale. Nell’immagine riportata si vede la sua posizione a partire dal 1830, anno di inizio delle osservazioni.

Il polo Nord magnetico e’ in movimento in direzione Nord-Ovest e nel corso del XX secolo si e’ spostato di 1100 Km. Al ritmo attuale, il polo raggiungera’ la Siberia entro i prossimi 50 anni. Dai modelli e dalle simulazioni ci si aspetta pero’ che il movimento si sposti dall’attuale traiettoria e che rallenti sensibilmente nei prossimi 5-10 anni.

Dunque e’ vero che il polo Nord si sta spostando. E’ vero anche che questo spostamento indica un’inversione in corso del campo come sostenuto dai catastrofisti? Assolutamente no!

I fenomeni naturali, per quanto possano essere veloci, non sono istantanei. Con questo si intende che non e’ possibile che il campo magnetico parta dalla sua configurazione, si annulli istantaneamente e dopo un certo periodo di tempo si ripresenti imporovvisamente con i poli invertiti.

Per poter capire questi concetti possiamo prendere come esempio il nostro Sole. Anche la nostra stella ha un suo campo magnetico intrinseco ma, a differenza di quello terrestre, i poli vengono invertiti regolarmente ogni 11 anni. Questo significa che partendo da una configurazione, sono necessari 22 anni affinche’ il campo magnetico ritorni nella configurazione iniziale.

Anche il campo magnetico solare puo’ essere assimilato ad un dipolo, con un polo nord ed uno sud. In prossimita’ dell’inversione, le linee di forza, cioe’ la forma del campo magnetico, assume forme molto complesse e attorcigliate presentando una struttura multi-polare non uniforme e non ordinata. Dopo questa fase, il campo inizia a “stirarsi” nuovamente presentandosi con una struttura invertita.

Per capire meglio questi concetti, possiamo vedere la struttura delle linee di forza prima e durante l’inversione:

Linee di forza prima e durante l’inversione

Come vedete, nella fase di inversione la struttura e’ completamente diversa da quella standard.

Attualmente, la forma del campo magnetico terrestre e’ tutt’altro che attorcigliata. Come detto in precedenza, esistono moltissime misure, anche fatte da istituti indipendenti, che monitorano costantemente il campo magnetico e la posizione dei poli. Come ulteriore smentita ad un’inversione in corso, riguardate la struttura dei poli della figura precedente nel periodo intermedio. Capite bene come in una configurazione di questo tipo, chiunque con una bussola in mano potrebbe accorgersi che qualcosa e’ in atto, questo solo per smetire le immancabili voci complottiste o di copertura scientifica sulla cosa.

Prima di concludere il discorso, vorrei porre l’attenzione anche su un altro importante aspetto. L’inversione dei poli magnetici terrestri e’ un fenomeno possibile e di cui si ha traccia nel passato.

La conferma di queste affermazioni viene dal paleomagnetismo, cioe’ da quella branca della geologia che si occupa dello studio delle proprieta’ magnetiche di rocce e sedimenti. Questi materiali contengono infatti parti di materiali ferromagnetici che si orientano con la direzione del campo cosi’ come avviene per l’ago della bussola. Durante le eruzioni vulcaniche, enormi quantita’ di sedimenti vengono depositati sul terreno in uno stato semiliquido e dunque in grado di orientarsi con la direzione del campo. Quando inizia il raffreddamento delle rocce, i minerali ferromagnetici vengono bloccati rimendo orientati nella direzione del campo presente al momento.

Estraendo rocce vulcaniche di periodi differenti e datando i sedimenti, e’ stato possibile documentare una configurazione inversa del campo magnetico terrestre rispetto a quella attuale. In particolare, da questi studi e’ stato possibile ricavare che l’ultima inversione del campo e’ avvenuta nel pleistocene 780000 anni fa.

Concludendo, un’inversione del campo magnetico terrestre e’ un fenomeno possibile e di cui si ha traccia nel passato. E’ altresi’ vero che il polo Nord magnetico e’ in costante movimento, ma questo non e’ assolutamente una prova di una inversione in corso. Come abbiamo visto, la fase transitoria precedente lo scambio dei poli e’ caratterizzata da una forma del campo molto complessa e assolutamente diversa da quella attuale.

Supposizioni e dati non correlati sono i mezzi utilizzati per insinuare il dubbio nelle persone su molti argomenti scientifici. Prima di credere a questa o quella ipotesi, confrontate sempre diverse fonti e ragionate con la vostra testa, solo in questo modo potrete evitare di cadere nelle trappole catastrofiste di cui e’ pieno il web in questo periodo. Per affrontare scientificamente tutte le profezie sul 2012, capendo in primis la scienza che vi e’ alla base, non perdete in libreria “Psicosi 2012. Le risposte della scienza”.

 

 

Nuvole Sismiche

29 Lug

In diversi post abbiamo parlato della possibilita’ o meno di prevedere per tempo i terremoti:

Emilia 13-16 Luglio: un po’ di statistica

Riassunto sui Terremoti

Innalzamento dei pozzi in Emilia prima del sisma

Purtroppo, come detto, alla stato attuale non esiste un metodo scientificamente provato per prevedere intensita’ ed epicentro di un terremoto. Gli unici studi che ci possono dare un’indicazione del rischio sismico sono basati su metodi statistici, fatti prendendo in considerazione studi geologici dei terreni e storia sismica della zona.

Vogliamo tornare su questo argomento, per parlare dei cosidetti “precursori sismici”. Con questo termine si indicano tutti quegli eventi che, in teoria, potrebbero accadere “prima” del terremoto e dare in questo modo un’indicazione precisa dell’imminente scossa. In questo blog abbiamo gia’ visto alcuni eventi considerati da alcuni come precursori dei terremoti: vulcanelli, innalzamento del livello di falda, ecc. Come spiegato pero’, questi non sono dei precursori del sisma, bensi’ delle conseguenze dello stesso.

A livello scientifico, c’e’ invece una discussione in corso su alcuni fenomeni di natura elettromagnetica e meteorologica che potrebbero indicare l’imminenza di un forte terremoto. Cercando sulla rete, potete trovare decine di siti che parlano di: lampi globulari, colonne di fuoco che vengono sprogionate dalla Terra, globi di luce orbitanti a bassa quota, ecc. Al solito, su queste discussioni, verita’ scientifiche e leggende si mescolano insieme creando un “effetto confusione” in cui e’ difficile distinguere cosa c’e’ di giusto dalle bufale.

Prima di parlare di precursori sismici, permettiamoci una riflessione. Individuare un evento caratteristico antecedente al terremoto non e’ facile. La maggior parte di questi fenomeni avvengono in tempi brevissimi e in zone estremamente limitate. Per questo motivo, spesso ci si deve affidare alle testimonianze dirette delle persone piuttosto che a dati scientifici. Come potete ben immaginare, distinguere testimonianze veritiere da racconti non e’ sempre facile. Inoltre, prima di annunciare un sisma di forte intensita’, bisogna averne la certezza assoluta. Immaginate uno scenario del genere: viene fatto l’annuncio che nel giro di 15 minuti ci sara’ un forte terremoto in una grande citta’ come Roma, Napoli o Milano. Provate ad immaginare il caos creato da questa affermazione. Si rischia di avere piu’ morti nell’evacuazione di emergenza che a causa del terremoto. E se poi la notizia si rivelasse infondata? E se invece avessimo sbagliato l’epicentro e questo fosse, ad esempio, a 50 Km di distanza dove non abbiamo fatto evacuare?

Ovviamente non sto nascondendo nessuna informazione vitale alla popolazione. Questo ragionamento ci fa solo capire che prima di poter annunciare un evento del genere si deve avere la certezza assoluta di quello che stiamo facendo.

Tornando ai precursori sismici, come detto in precedenza, gli studi principali sono legati ai cambiamenti elettromagnetici del terreno e a fenomeni ad essi legati. Come sappiamo i terremoti sono causati dai movimenti della crosta terrestre. Il lento movimento delle placche crea un accumulo di energia nelle linee di faglia, energia che ad un certo punto viene rilasciata generando i sismi. La compressione di alcune rocce, come ad esempio il quarzo, puo’ provocare fenomeni di piezoelettricita’, come avviene negli accendini per fare la scintilla. Inoltre, lo spostamento di rocce puo’ modificare o creare alcuni segnali elettromagnetici del terreno, provocando disturbi nelle telecomunicazioni o localmente al campo magnetico.

Questi fenomeni sono attualmente sotto studio da parte della comunita’ scientifica. Dal punto di vista tecnico, la difficolta’ principale di queste ricerche sta proprio nella non ripetibilita’ degli eventi. Inoltre, stiamo parlando di fenomeni non facilmente visualizzabili a meno di avere sotto mano una strumentazione per rivelarli.

Diverso e’ il caso delle cosidette “nubi sismiche”, cioe’ la formazione di particolari nuvole che indicherebbero l’insorgere di un forte terremoto. La teoria alla base di questi fenomeni e’ molto semplice: il vapore acqueo sotterraneo, sottoposto alle alte pressioni dovute alle placche in collisione, riesce ad arrivare in superificie in diversi punti. Fuoriuscito dal terreno, il vapore sale verso l’alto fino ad incontrare masse d’aria piu’ fredda che lo fanno condensare creando formazioni nuvolose. Secondo queste teorie, non solo la creazione di queste nubi indicherebbe il prossimo sisma, ma la struttura e la grandezza della nuvola darebbe indicazioni sull’epicentro e sull’intensita’ dell’imminente scossa.

Come visto, il meccanismo alla base e’ relativamente semplice ma, come sempre, cercando su web trovate indicazioni completamente diverse e fantasiose sulle nuvole che si formerebbero, si parla indistintamente di nuvole irridescenti, cirri trafilati, nubi bucate, ecc. Anche in questo caso siamo in presenza di ipotesi fantasiose.

Rivediamo il meccanismo di formazione che abbiamo presentato. Se la nuvola e’ creata dalla condensazione del vapore acqueo proveniente dal sottosuolo, ci saranno molecole d’acqua in sospensione nella struttura. Questo ci fa pensare ad eventuali fenomeni luminescenti come nel caso degli arcobaleni.

Un fenomeno del genere e’ stato ad esempio osservato in Cina prima del terremoto che ha colpito la regione di Sichuan. Alcuni testimoni hanno fotografato delle strane nuvole comparse qualche minuto prima del sisma:

La nuvola osservata a Sichuan in Cina prima del sisma

Da quanto detto, il meccanismo proposto e’ verosimile. L’effetto e’ la formazione di nubi con fenomeni di luminescenza. Come potete pero’ immaginare, questi fenomeni durano pochissimo tempo e non sono facilmente misurabili mediante strumenti. Inoltre, la loro osservazione dipende dalla posizione dell’osservatore e da quella dei raggi luminosi che devono essere scomposti per creare l’effetto arcobaleno.

In questo blog, abbiamo gia’ parlato di strane formazioni nuvolose apparse in diverse parti del mondo:

Una nuvola che fa pensare alla fine del mondo

Altra strana nube, questa volta in Giappone

Altra strana nube a Tulsa

ma in nessuno di questi casi si sono avuti fenomeni sismici. Come abbiamo visto, formazioni di questo tipo sono descritte e conosciute in meteorologia e la loro creazione non presenta nessuna unicita’ particolare.

Qualcuno potrebbe pero’ osservare che queste formazioni sono diverse da quelle di Sichuan e facilmente distinguibili. Questo e’ vero, ma, come forse ricorderete, in un altro post abbiamo descritto una nuvola simile a quella cinese:

Strano arcobaleno a Conca della Campania

In questo caso abbiamo visto come il fenomeno fosse riconducibile alle note “Nubi arcobaleno”, la cui formazione e’ studiata e capita in meteorologia. Nel caso campano, la nuvola e’ davvero simile a quella cinese, ma non e’ avvenuto nessun terremoto dopo la sua formazione. Questo significa che non esiste una correlazione esclusiva tra la formazione di nuvole arcobaleno e i terremoti.

Prima di concludere, vorrei ragionare anche su un ultimo punto. Per come avviene, la fuoriuscita di vapore ad alta pressione, non e’ sempre possibile. Come sappiamo l’epicentro dei terremoti puo’ essere supericiale ma anche a diversi kilometri di profondita’. In questi ultimi casi, non ‘e detto che il vapore possa arrivare fino in superificie. E se l’epicentro fosse in mare? In questo caso non avremmo assolutamente formazione di nuvole.

Queste considerazioni, ci mostrano la complessita’ di queste ricerche. Ovviamente sono in corso diversi programmi per lo studio dei precursori sismici. Ad oggi, non siamo ancora in grado di isolare e identificare un chiaro evento che possa allarmarci dell’imminente terremoto. E’ anche sbagliato considerare queste come “ricerche di frontiera”, come vengono descritte su alcuni siti. Il termine  di per se non e’ corretto. Tutte le ricerche scientifiche sono di frontiera, se si sapesse gia’ il risultato a cui si deve arrivare, non si tratterebbe di una ricerca scientifica.

Concludendo, ad oggi non conosciamo con certezza dei precursori sismici per la previsione di questi eventi. Tantissime ricerche sono in corso e forse un giorno potrebbero arrivare a dei risultati in gado di salvare tantissime vite umane. Tutte le strade sono aperte e vengono percorse senza nessun preconcetto e senza tener nascosto nessun risultato.

Distinguere tra verita’ e fantasia in discorsi di questo tipo non e’ mai semplice. Tante voci vengono mescolate con l’unico scopo di aumentare la confusione o creare psicosi colletive sulla fine del mondo. Per fare chiarezza su questi concetti, sempre attuali ed interessanti, non perdete in libreria Psicosi 2012. Le risposte della scienza.