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Europa: oceani, acqua e …. (forse) vita

10 Mag

Diverse volte abbiamo parlato di esplorazione spaziale e altrettante siamo poi finiti a discutere dell’esistenza o meno di forme di vita al di fuori del nostro pianeta. Come e’ noto, uno degli aspetti senza dubbio piu’ interessanti e sentiti, anche dai non addetti ai lavori, e’ la possibilita’ che la vita si sia sviluppata anche su altri pianeti.

Personalmente, come detto tante volte, non sono assolutamente chiuso all’idea che la vita si possa essere sviluppata da qualche altra parte ma ogni qual volta si affrontano discorsi di questo tipo, si deve sempre prestare la massima attenzione nel mantenere un approccio scientifico al problema, senza finire, come avviene molto spesso in rete, a discutere di improbabili quanto assurdi avvistamenti di dischi volanti o alieni fotografati in qualche bosco sperduto.

Di queste tematiche abbiamo parlato in diversi articoli. Dapprima sotto il profilo puramnete scientifico-biologico:

Il segnale WOW!

Messaggio alieno nelle aurore?

poi discutendo invece dove cercare questa vita, introducendo il discorso degli esopianeti e della loro scoperta al di fuori del nostro Sistema Solare:

A caccia di vita sugli Esopianeti

Nuovi esopianeti. Questa volta ci siamo?

Esopianeti che non dovrebbero esserci

Ancora sugli Esopianet

In particolare, tutto il discorso degli esopianeti riguarda principalmente l’identificazione di corpi orbitanti intorno a qualche stella e che si trovano in una zona potenzialmnete adatta allo sviluppo della vita. Come discusso varie volte negli articoli precedenti, la definizione di questi parametri impone una discussione di diversi fattori, non solo legati all’irraggiamento da parte della stella centrale e dunque della posizione orbitale del pianeta stesso.

Detto questo, questa volta vorrei parlare della ricerca di vita non al di fuori del nostro Sistema Solare, bensi’ al suo interno, molto piu’ vicino di quanto si possa pensare. Molti di voi, conosceranno sicuramente Europa, uno dei satelliti orbitanti intorno a Giove e che, da diverso tempo ormai, e’ visto come un possibile candidato ad ospitare forme di vita non sulla superficie, bensi’ al suo interno.

Visto da fuori, Europa si presente come un corpo estremamente inospitale:

Il satellite di Giove Europa

Il satellite di Giove Europa

La scoperta di Europa risale addirittura la 1610, quando Galileo riusci’ ad osservarlo, insieme ad altre lune di Giove, con l’ausilio del suo telescopio appena inventato. La superficie di Europa appare praticamente liscia e priva di criteri da impatto. Le osservazioni fatte a partire dal 1995 dalla sonda Galileo hanno evidenziato la presenza di una spessa crosta fatta di ghiaccio, molto simile al pack presente sui mari polari della Terra.

Come anticipato, in superficie, l’ambiente offerto da Europa non e’ assolutamente dei migliori. La temperatura superficiale si aggira intorno ai -150 gradi centigradi con un irragiamento da parte del Sole che e’ circa 1/25 di quello che arriva sulla Terra. Vicino ai poli geografici del satellite, la situazione e’ ancora peggiore con temperature che scendono fino a -230 gradi.

Perche’ su una luna di questo tipo ci potrebbe essere la vita?

Le osservazioni fatte nel corso degli anni dai vari satelliti che hanno sorvolato Europa hanno mostrato alcuni aspetti del pianeta che potrebbero essere compatibili con una struttura interna del tutto diversa da quella che vediamo dall’esterno. Il modellamento della superficie potrebbe infatti essere dovuto a moti mareali innescati dal vicino e massivo Giove su un enorme volume di acqua liquida, o ghiaccio conduttivo, contenuta all’interno di Europa. Questa immagine mostra molto bene le due ipotesi sulla struttura interna:

Possibili modelli per la struttura interna di Europa

Possibili modelli per la struttura interna di Europa

Oltre a queste considerazioni, le misure sul magnetismo del sistema Giove-Europa hanno evidenziato la presenza di un lieve campo magnetico sul satellite e di materiale conduttivo all’interno. Basta? Niente affatto, Europa presenta anche una lieve atmosfera propria con la presenza di ossigeno prodotto dalla dissociazione dell’acqua degli strati superficiali di ghiaccio. Poi? Nel 2013 il telescopio Hubble ha mostrato enormi geyser di vapore acqueo che fuoriescono dalle zone polari di Europa e che si elevano fino a 200 Km di altezza. Anche in questo caso, anche se da confermare ovviamente, il vapore acqueo potrebbe arrivare direttamente dall’interno del satellite spinto dall’attivita’ vulcanica, interna anche in questo caso.

Ragioniamo un attimo insieme: abbiamo una serie di evidenze che ci spingono a pensare che la superficie di Europa possa essere uno strato di ghiaccio contenente al suo interno un enorme oceano di acqua liquida. Alcune domande banali: quanto e’ spesso questo strato di ghiaccio? Come avrebbe fatto la vita a formarsi in un ambiente cosi’ ostile e, soprattutto, senza un sufficiente irraggiamento da parte del sole?

Domande ovviamente lecite e su cui e’ doveroso ragionare.

Per quanto riguarda lo spessore di ghiaccio, studiando la morfologia del pianeta, il suo moto e altri parametri chimico-fisici, si suppone che questo strato possa essere spesso circa 20 Km. Inoltre, le proprieta’ magnetiche di Europa potrebbero essere compatibili con un oceano di acqua addirittura salata, proprio come quella che riempie gli oceani della nostra Terra. Certo, uno spessore di 20 Km non e’ trascurabile e proprio questo aspetto rappresenta una delle difficolta’ principali per la probabile esplorazione e la ricerca di vita su Europa. Ma, come vedremo, le soluzioni tecnologiche potrebbe esserci.

L’altra domanda che ci siamo posti e’ invece legata alla possibilita’ che ci sia vita in questo immenso oceano sotterraneo. Per prima cosa, vi ricordo un argomento discusso qualche tempo fa su questo blog:

I misteri del lago Vostok

Lago Vostok, c’e’ vita?

Come ricorderete, anche nelle profondita’ di questo lago polare si ipotizza possa essere presente la vita, sviluppata in un ambiente apparentemente ostile e completamente isolato dalla superficie. Oltre a questo, nell’mmaginario comune, la moltitudine di forme di vita che si sviluppano nei nostri mari sono possibili grazie unicamente all’energia dei raggi solari che penetrano fino a profondita’ molto elevate. Se mettiamo un “tappo” di 20 Km su questo oceano e per di piu’ all’esterno abbiamo un irraggiamento proveniente dal sole gia’ notevolmente inferiore a causa della distanza Europa-Sole, come possiamo pensare che ci possano essere le condizioni per la vita?

Anche a questa domanda abbiamo una risposta che viene direttamente da quello che abbiamo potuto osservare sul nostro pianeta. Vi mostro una foto:

Fumarola Nera

Fumarola Nera

Di cosa si tratta? Quella che vedete e’ una cosiddetta “fumarola nera”, cioe’ un punto da cui fuoriescono gas provenienti dalle profondita’ della terra. Gas come idrogeno e acido solfidrico che, a causa della presenza di una forte attivita’ vulcanica su Europa, potrebbero essere presenti anche nell’oceano che vogliamo studiare. Di che tipo di forme di vita parliamo? Nel 1977, durante una missione esplorativa nelle Galapagos, venero scoperte colonie di vermi tubo, vongole, crostacei e mitili proprio intorno ad una fumarola nera in un punto in cui la luce del Sole non poteva assolutamente arrivare. Queste forme di vita, dunque non solo batteriche, si sviluppano grazie alla cosiddetta “chemiosintesi batterica”. In questo caso, al contrario della fotosintesi in cui si usa l’energia solare per ricavare energia, il processo sfrutta processi inorganici ad alta entalpia per formare sostanze organiche come, ad esempio, il glucosio. Detto questo, capite bene come la ricerca di vita su Europa potrebbe non essere assolutamente un azzardo, bensi’ una missione in grado di portare risultati.

Bene, a questo punto abbiamo capito dove poter cercare la vita, come potrebbe essersi sviluppata ma manca da capire se esistono i mezzi e la volonta’ per una missione di questo tipo. Senza tanti giri di parole, vi riporto un link sicuramente interessante il “President budget” per il Fiscal Year 2015:

President Budget, FY15

Per la prima volta, l’esplorazione su Europa e’ stata inserita nei finanziamenti della NASA per dare avvio a quella che viene chiamata missione Clipper.

Di cosa si tratta?

Come potete immaginare, il nome Clipper sta proprio per “taglia ghiaccio”. Scopo della missione e’ dapprima quello di effettuare 45 flyby intorno ad Europa partendo da un’altezza di 2700 Km per scendere fino a 25. Durante questi passaggi, grazie agli strumenti in dotazione, Clipper potra’ esaminare molti parametri chimico fisici sia dell’atmosfera che delle emissioni gassose intorno ai poli della luna. Inoltre, potranno essere scattate foto della superficie per una ricostruzione precisa di tutto il corpo. Nella seconda fase invece, la missione avra’ il compito di atterrare sul satellite e raccogliere campioni del terreno in superficie, e a profondita’ diverse comprese tra i 2 e i 10 cm. Perche’ questa raccolta? Semplice, l’analisi di questi campioni potra’ confermare o meno la presenza di salinita’, di materiale organico e di ogni altro parametro interessante per farci comprendere la presenza di o meno di vita all’interno di Europa.

La missione Clipper, gia’ in fase di studio da qualche anno e che, se tutto va nel verso giusto, dovrebbe essere lanciata nel 2025, rappresenta senza dubbio un primo passo per uno studio dettagiato di Europa. Ovviamente, come e’ facile immaginare, in questo caso, ancora piu’ che in altri, sara’ fondamentale garantire una sterilizzazione perfetta di tutti gli strumenti al fine di non “inquinare” i campioni con eventuali forme di vita terrestri.

Oltre alla NASA, molti altri paesi ed agenzie stanno pensando a missioni specifiche su Europa e su altre lune di Giove. L’ESA, ad esempio, sta preparando la missione JUICE per lo studio delle atmosfere di alcuni satelliti gioviani, tra cui ovviamente Europa. Se i risultati di queste missioni confermeranno, o almeno saranno compatibili, con l’ipotesi di vita, si passera’ ad una fase due con l’intenzione proprio di perforare lo strato di ghiaccio ed esplorare l’oceano sottostante. Per darvi un’idea, gia’ molti pensano a come realizzare queste missioni utilizzando trivelle alimentate da combustibile nucleare in grado di fornire l’acqua calda per forare l’enorme strato di ghiaccio. Oltre a questo, saranno sicuramente presenti non piu’ rover, ma mini sommergibili automatizzati per l’esplorazione dell’oceano e la ricerca di forme di vita.

Come vedete, Europa rappresenta sicuramente un futuro molto prossimo dell’esplorazione spaziale. Da qui a qualche anno potremmo finalmente capire se questo satellite possa essere un ambiente ospitale per la vita o se dovremmo limitarci a cercare al di fuori del nostro Sistema Solare.

Psicosi 2012. Le risposte della scienza”, un libro di divulgazione della scienza accessibile a tutti e scritto per tutti. Matteo Martini, Armando Curcio Editore.

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Sale qb … anche nelle batterie

6 Ott

Negli ultimi anni, i nostri dispositivi elettronici hanno avuto un notevole miglioramento puntando sempre di piu’ verso i concetti di portabilita’ e wireless. Come sapete, oggi come oggi, la maggior parte dei nostri gadget tecnologici sono dotati di batterie ricaricabili. Il progresso in questo settore ha reso disponibili batterie sempre piu’ piccole, capienti e con cicli di carica sempre piu’ rapidi.

Il principio di utiizzo di una batteria di questo tipo e’ ovviamente chiaro a tutti. Si carica di energia il nostro sistema, per poi utilizzarlo scollegato dalla rete elettrica. Questo e’ fondamentale per portare a spasso i nostri dispositivi dove non e’ disponibile la rete elettrica.

Perche’ faccio questo preambolo?

Molto spesso nei nostri articoli abbiamo parlato di energie rinnovabili. Come sapete bene, le fonti piu’ utilizzate in tal senso sono senza dubbio l’eolico e il solare. A parte tutti i discorsi sull’efficienza di queste risorse, uno dei problemi principali riscontrati e’ la non costanza della fonte primaria. Mi spiego meglio. I pannelli solari che normalmente utilizziamo hanno bisogno, per definizione, del sole per produrre energia. Detto questo, di notte non possono funzionare. Analogamente, per quanto si cerchi di trovare la miglior postazione, in assenza di vento le pale eoliche non girano.

Il problema della disponibilita’ delle risorse e’ uno di quelli maggiormente studiati e analizzati dai gestori elettrici. In diverse compagnie sono presenti gruppi di studio che cercano di simulare la produzione energetica anche solo con poche ore di anticipo. Questo e’ fondamentale in virtu’ della pianificazione. Se le fonti producono energia nel momento in cui la rete non la richiede, ci troviamo con un surplus inutilizzato. Analogamente, se la richiesta energetica e’ massima quando la produzione e’ minima, siamo costretti a ricorrere ad altre fonti per soddisfare le richieste.

Per ovviare a questi problemi, si ricorre a sistema di accumulazione basati proprio su batterie. Riprendendo l’esempio del solare, durante il giorno l’energia prodotta viene stoccata in batterie in grado di accumularla per poi cederla quando la richiesta aumenta.

Il problema principale delle batterie normalmente utilizzate, ed in questo caso la capacita’ di contenimento e’ il parametro piu’ importante, e’ che molto spesso questi sistemi sono basati su metalli e componenti che, una volta esaurito il ciclo vitale delle batterie, sono estremamente tossici e dannosi per l’ambiente. L’esempio principale in questo caso e’ quello delle batterie al piombo.

Bene, negli ultimi mesi una delle principali compagnie produttrici di batterie, l’italiana FIAMM, ha reso disponibili dei sistemi basati semplicemente sul cloruro di sodio, cioe’ proprio il semplice sale.

Batteria SoNick della FIAMM

Batteria SoNick della FIAMM

Ad essere sinceri, e al contrario di quello che leggete in rete, le batterie al cloruro di sodio sono una realta’ gia’ da qualche anno. Quello che e’ riuscita a migliorare notevolmente la FIAMM e’ la capacita’ di contenimento energetico e soprattutto la durata delle batterie.

Questa nuova serie di batterie si chiama SoNick ed e’ basata sul cloruro di sodio e sul cloruro di Nichel. Durante il funzionamento, il cloruro di nichel si deposita al catodo, mentre il sodio, dissociato dal NaCl, si deposita sull’anodo. In ciascuna cella, anodo e catodo sono separati da una barriera ceramica che consente il passaggio degli ioni di sodio per il funzionamento della batteria. La tensione a circuito aperto della singola cella e’ di 2.58V e questo valore, al contrario di molte batterie commerciali, rimane pressoche’ costante per gran parte del profilo di scarica. Questo sistema consente di conservare la carica per tempi piu’ lunghi oltre ad allungare notevolmente la vita stessa della batteria.

Questo tipo di batterie e’ stato sviluppato appositamente per essere connesso con i sistemi rinnovabili, appunto solare ed eolico. La fase di ricerca e sviluppo e’ durata diversi anni ed e’ stata fatta in collaborazione anche con il CNR. Detto questo, capite molto bene l’importanza di questo risultato e l’interesse di moltissimi produttori in questi nuovi sistemi.

La stessa FIAMM ha costruito nella sua sede un parco solare munito di batterie al sale. Inoltre, in collaborazione con Ansaldo, si e’ aggiudicata la gara per la costruzione di un impianto nella Guyana francese. Il progetto prevede la realizzazione di un parco in grado di formire elettricita’ a diverse famiglie della zona e potrebbe essere il primo di una serie pensata proprio per portare elettricita’ in luoghi difficilmente raggiungibili dalla rete tradizionale.

Punto di forza di queste batterie e’ ovviamente l’impatto ambientale minimo al termine del ciclo vitale. Ad oggi, le batterie al sale vengono gia’ utilizzate nella trazione elettrica di autobus, ad esempio dalla Iveco. Queste nuove batterie consentiranno anche in questo caso di migliorare la durata dei sistemi e di garantire percorsi sempre piu’ lunghi prima della ricarica.

 

Psicosi 2012. Le risposte della scienza”, un libro di divulgazione della scienza accessibile a tutti e scritto per tutti. Matteo Martini, Armando Curcio Editore.

Il lago che pietrifica

6 Ott

In questi giorni e’ stato pubblicato un libro del fotografo professionista Nick Brandt, dal titolo “Across the Ravaged Land”. Questo libro contiene delle foto bellissime scattate sulle rive del lago Natron, al confine tra Tanzania e Kenia.

Perche’ parlo di questo?

In seguito alla pubblicazione sul web di alcuni scatti, si e’ sparsa una leggenda davvero incredibile, ma che merita di essere raccontata.

Il lago Natron e’ uno dei luoghi piu’ inospitali della Terra. La temperatura delle acque puo’ raggiungere i 60 gradi con un pH fortemente basico compreso tra 9.5 e 10.5. Visto dall’alto, il lago appare cupo e con una colorazione rossastra:

Foto aerea del lago Natron

Foto aerea del lago Natron

Il perche’ di questi colori e’ da ricercarsi nei cianobatteri ed in altre alghe che popolano queste difficili acque, davvero poco adatte alla vita.

Il nome Natron non e’ assolutamnete causale. Con questo termine si intende il carbonato idrato di sodio. Infatti, le acque del lago Natron sono ricchissime di carbonato e bicarbonato di sodio, responsabili anche del pH cosi’ basico.

Da dove proviene il Natron?

Poco lontano dal lago e’ presente il vulcano Gelai. Il carbonato di sodio viene proprio da residui delle eruzioni del vulcano che poi vengono trasportate nel lago delle precipitazioni. L’alta temperatura della zona favorisce poi una notevole evaporazione delle acque che dunque aumentano sempre piu’ la concentrazione dei sali presenti. A complicare ed amplificare questa caratteristica c’e’ poi la profondita’ del lago che non supera i 3 metri di altezza.

Questo spiega molto bene le condizioni del Natron, ma cosa c’entra il libro fotografico?

Vi mostra una delle foto, a mio avviso, piu’ belle del libro:

Fenicottero pietrificato sulle acque del lago Natron. Credits: Nick Brandt

Fenicottero pietrificato sulle acque del lago Natron. Credits: Nick Brandt

Si tratta di un fenicottero mummificato che galleggia sulle acque del lago. La foto e’ incredibilmente bella quanto inquietante. In rete potete poi trovare altre foto, tutte con animali mummificati sulle sponde e sulla superficie del lago.

La pubblicazione di queste foto ha creato la voce secondo la quale gli animali che finirebbero nelle acque del Natron verrebbero mummificati all’istante.

Questa leggenda e’ anche amplificata proprio dalla presenza del Natron. Come sapete il simbolo chimico del sodio e’ appunto “Na”, che deriva dal termine latino Natrium. Natrium a sua volta deriva dal greco nitron, che deriva a sua volta dal nome egizio Natron.

Il Natron era molto conosciuto nell’antico Egitto, perche’ utilizzato nella mummificazione dei cadaveri. Questo sale ha infatti le proprieta’ di assorbire l’acqua dei tessuti, lasciandoli come pietrificati e ben conservati.

L’insieme di questi due aspetti ha dunque creato la leggenda del lago Natron.

Ovviamente, di leggenda si tratta.

Come racconta lo stesso Brandt nel suo libro, i corpi ritratti nelle foto appartengono ad animali ritrovati nei pressi del lago. Molto probabilmente, questi animali sono morti per cause naturali ed i loro corpi sono poi finiti all’interno del lago. Il fotografo si e’ limitato a raccogliere i corpi e metterli in posa per le fotografie di cui stiamo parlando.

Da quanto detto circa la presenza del sale e delle tecniche egiziane per la mummificazione, capite bene che questi animali, in seguito alla loro morte, sono rimasti mummificati grazie alla presenza del carbonato di sodio dell’acqua.

A riprova dell’assurdita’ della leggenda, pensate che circa il 75% dei fenicotteri rosa del mondo vivono in Africa. Tutti questi animali vanno poi a nidificare sulle rive del lago Natron e di altri specchi d’acqua della zona. Se fosse vera la leggenda, sarebbe impossibile per questi animali anche solo entrare in contatto con le acque del lago. Il perche’ di questa scelta per deporre le uova e’ da ricercarsi nella scarsita’ di predatori, grazie (o a causa) delle caratteristiche del lago, e alla condizioni climatiche ottimali.

Concludendo, non e’ assolutamente vero che gli animali restano mummificati entrando in contatto con le acque del lago Natron. Questo specchio d’acqua ha la caratteristica di essere ricco di carbonato e bicarbonato di sodio proveniente dal vicino vulcano. La presenza dei sali e le alte temperature delle acque rendono il lago inospitale per moltissime forme di vita. Gli animali ritratti nelle foto viste, sono morti per cause naturali e sono stati poi mummificati dai sali, conosciuti ed utilizzati anche nell’entico Egitto proprio per la conservazione dei cadaveri.

 

Psicosi 2012. Le risposte della scienza”, un libro di divulgazione della scienza accessibile a tutti e scritto per tutti. Matteo Martini, Armando Curcio Editore.

Il miracolo del sangue di San Gennaro

11 Ago

Nella sezione:

Hai domande o dubbi?

e’ stato richiesto un argomento davvero molto interessante. Come potete leggere, ci e’ stato chiesto di scrivere un articolo sul cosiddetto “miracolo del sangue di San Gennaro”. Credo che questo argomento sia davvero molto interessante perche’, in particolare, esistono due scuole di pensiero molto rigide a riguardo: quelli che credono al miracolo e quelli che invece credono che la scienza abbia gia’ spiegato tutto, mostrando la natura non miracolosa del fatto.

In realta’, cosi’ come spesso avviene su questo blog, non esiste una spiegazione certa e comunemente accettata per la liquefazione del sangue di San Gennaro. Esistono delle ipotesi molto plausibili, ma che hanno subito e continuano a subire molte critiche anche da addetti ai lavori non pienamnete convinti della spiegazione.

Come nostra abitudine, cerchiamo dunque di analizzare in dettaglio la cosa, ragionando in modo autonomo e cercando, qualora ce ne fossero, di provare a rispondere ai punti ancora scoperti della questione.

Partiamo da quello che tutti conoscono: in tre date particolari, il 19 settembre, il sabato che precede la prima domenica di maggio e il 16 dicembre, a Napoli viene organizzata una grande processione in cui viene mostrato il reliquiario con il sangue di San Gennaro. Durante questo rito, il reliquiario viene mosso in modo molto rituale e se il sangue si liquefa allora questo viene visto come un buon auspicio per la citta’. Inutile dire che questa manifestazione e’ molto sentita dai napoletani, da sempre molto devoti al Santo. Proprio per questo motivo, come riprenderemo in seguito, e’ molto difficile provare a dare spiegazioni razionali della cosa, senza incorrere nel nervosismo dei fedeli partenopei.

In particolare, il reliquiario contiene al suo interno due ampolle, una riepita piu’ o meno fino a meta’ e l’altra con poche tracce di “sangue”. Per il momento, permettetemi di scrivere “sangue” tra virgolette perche’ questo e’ uno dei punti maggiormente discussi della questione.

Per inquadrare meglio il problema, ripercorriamo la storia di queste reliquie e ovviamente quella del santo.

Per essere precisi, la storia stessa di San Gennaro e’ molto fumosa e, proprio per questo motivo, diverse fonti hanno addirittura messo in discussione l’esistenza stessa del Santo. Il 19 settembre 305, durante la persecuzione di Diocleziano verso i Cristiani, si racconta che Gennaro, vescovo di Benevento, venne decapitato insieme ad altri fedeli nella solfatara di Pozzuoli. Secondo altre fonti, Gennaro, nella stessa data, venne destinato ai leoni. Questa e’ gia’ una prima incongruenza della storia, ma, nonostante la parte centrale non coincida, la fine e’ sempre la stessa: qualora fosse esisitito, Gennaro sarebbe stato un martire cristiano.

Come usanza nei confronti dei martiri, il sangue ed il corpo di Gennaro vennero raccolti e conservati.

Le cerimonie in onore di San Gennaro vennero istituite nel 1337 ma la prima liquefazione venne osservata il 17 agosto 1389. Cosa significa? Come e’ facile immaginare, il sangue raccolto all’interno delle ampolle appare in forma solida e scura. Per liquefazione si intende il ritorno del sangue allo stato fluido. Detto in altri termini: il sangue ritorna nel suo stato normale, come se fosse appena sgorgato dalla testa del santo. Da allora, come anticipato, il miracolo del sangue viene tentato 3 volte l’anno: nell’anniversario della morte, nell’anniversario dello spostamento dei resti nelle catacombe di Capodimonte e nell’anniversario di una forte eruzione del Vesuvio, durante la quale i napoletani si affidarono completamente al Santo che risparmio’ la citta’.

Analizziamo subito questi fatti: dal 1389, si sono avute circa 11000 liquefazioni del sangue. Il miracolo si e’ ripetuto “quasi” sempre, tranne qualche sparuto caso. In qualche occasione, la liquefazione si e’ avuta anche in date diverse da quelle ufficiali. Teniamo a mente questi particolari, perche’ tra poco entreranno prepontentemente nella discussione.

Bene, abbiamo capito l’origine e la tipologia del miracolo. Ora, cosa possiamo dire a riguardo? Si tratta di un miracolo o esiste una spiegazione scientifica?

Come anticipato, il discorso non e’ semplice, tantomeno con una spiegazione univoca.

Dal punto di vista scientifico, il sangue umano conservato in un’ampolla sigillata coagula diventando solido. Ora, e’ possibile che si rompa il coagulo e il sangue possa ritornare allo stato liquido, ma questo non puo’ certo avvenire con la regolarita’ mostrata dalla reliquia del santo e soprattutto con lo stesso comportamento per secoli.

L’ipotesi di spiegazione scientifica piu’ accettata, e’ stata data nel 1991 da alcuni ricercatori del CICAP. La spiegazione del comportamento del fluido sarebbe da ricercarsi nella tissotropia. Con questo termine si intendono dei materiali, normalmente in uno stato solido o molto denso, che, a seguito di sollecitazioni meccaniche, possono assumere lo stato fluido per un certo tempo. Interrote le sollecitazioni il materiale torna allo stato solido. In natura esistono diversi composti con questa prorieta’. L’esempio classico che viene fatto e’ quello della salsa Ketchup che quando viene scossa si liquefa riuscendo ad uscire dall’orifizio praticato nel contenitore.

Oltre ad aver proposto la spiegazione, i ricercatori del CICAP hanno anche realizzato una sospensione con proprieta’ tissotropiche e aspetto molto simile a quello del fluido contenuto nelle ampolle. Per realizzare la sospensione sono stati utilizzati: cloruro ferrico, carbonato di calcio, cloruro di sodio e acqua. Lo studio dei ricercatori e la successiva prova sperimentale sono stati pubblicati addirittura sulla illustre rivista Nature, oltre ad avere enorme eco sia sui giornali italiani che esteri.

Dunque? Tutto spiegato, quello cotenuto nelle ampolle non e’ sangue ma un materiale tissotropico e non si tratta assolutamente di un miracolo. In realta’, come anticipato, non e’ assolutamente cosi’. La spiegazione data ha creato un turbine di discussioni che durano ancora oggi.

Proviamo ad analizzare singolarmente le critiche e le successive risposte date.

Per prima cosa, e’ possibile che al tempo si sia realizzato un materiale con queste caratteristiche? Assolutamente si. I composti utilizzati dal CICAP sono noti da secoli e anche molto abbondanti nella zona del napoletano. Il cloruro ferrico, sotto forma di miosite, e’ molto abbondante sulle pendici del Vesuvio. Il carbonato di calcio e’ la molecole principale, quasi il 95%, che compone il guscio d’uovo. Il cloruro di sodio, il sale per intenderci, e’ disponibile ovunque. Dunque, e’ possibile che un composto del genere sia stato realizzato secoli fa in quella zona.

Attenzione pero’, ci sono altri due punti molto importanti e sui quali la discussione e’ ancora in corso. Prima di tutto, il composto realizzato dal CICAP rimane tissotropico per soli 2 anni. Il miracolo del sangue di San Gennaro avviene da secoli. Inoltre, il ricorso ad un materiale di questo tipo non spiegherebbe assolutamente come mai in alcune occasioni, nonostante i ripetuti scossoni al reliquiario, il sangue non si sia sciolto. Analogamente, non si capisce perche’, in alcune occasioni, il sangue era gia’ in forma liquida prima della processione, senza che qualcuno lo avesse scosso.

C’e’ anche un altro punto fondamentale, nel 1902 venne fatta una prima analisi spettroscopica delle ampolle e questi studi mostrarono la presenza di ossiemoglobina, cioe’ la combinazione del pigmento contenuto nei globuli rossi con l’ossigeno. Detto in altri termini, all’interno delle ampolle c’e’ sangue e non qualche strano gel artificiale.

Dunque? Cosa possiamo dire a riguardo?

Iniziamo dagli studi spettroscopici. Come detto, la prima analisi spettroscopica, con un sistema a prisma, venne fatta nel 1902. La presenza di ossiemoglobina venne pero’ confermata anche da analisi successive. Secondo alcuni biologi dell’universita’ di Napoli, quello contenuto nell’ampolle e’ compatibile con sangue umano antico. Durante la liquefazione pero’, il fluido appare con un colore rosso vivo, come se fosse stata possibile la riattivazione dell’ossiemoglobina. Vi ricordo che le ampolle sono sigillate e che in nessun caso il loro contenuto entra in contatto con l’ossigeno dell’aria.

Capite dunque perche’ ancora oggi e’ acceso il dibattito riguardo al miracolo del sangue di San Gennaro. Esiste una proposta di spiegazione scientifica, ma esistono anche delle controaffermazioni basate su fatti oggettivi. Riassumendo, a favore della tissotropia abbiamo: un fluido con le caratteristiche fisiche simili a quelle della reliquia, ottenuto con materiali disponibili al tempo e nella zona, un comportamento meccanico giusto. A sfavore abbiamo: il gel ottenuto dura solo 2 anni, le analisi condotte mostrano che all’interno delle ampolle c’e’ sangue e non un gel sintetico, l’ipotesi tissotropica non spiega perche’ in alcuni casi il sangue non si sia liquefatto mentre in altri si e’ liquefatto prima ancora di essere sollecitato meccanicamente.

A questo punto, non resta che ragionare autonomamente su questi punti, provando a dire la nostra.

Prima di tutto, e’ il caso di dire che la chiesa non riconosce ufficialmente questo come un miracolo. Ad essere sinceri, qualche anno fa, la chiesa aveva eliminato le tre date relative a San Gennaro dal calendario delle celebrazioni liturgiche. Come e’ facile immaginare, questo ha causato una vera e propria rivolta tra i fedeli napoletani, per cui la chiesa ha deciso di non riconoscere ufficialmente il miracolo, ma di non impedire le celebrazioni.

Riguardo invece alla durata temporale del gel tissotropico, gli stessi ricercatori del CICAP autori del gel, sostengono prima di tutto di aver realizzato diversi campioni, i quali hanno mostrato durate anche fino a 10 anni. Ovviamente, siamo ancora lontani dai secoli del sangue di San Gennaro, ma, come riportato in diverse fonti, non e’ stata neanche prestata la massima cura nella chiusura ermetica del tappo delle provette. Studiando ampolle della stessa epoca, si e’ evidenziato come i tappi siano perfetamente sigillati impedendo l’apertura delle reliquie se non rompendole. In questo caso dunque, anche le ampolle di San Gennaro sono perfettamente chiuse in modo stagno, mentre il gel realizzato in laboratorio no.

E come la mettiamo con le spettroscopie fatte? Il fatto di aver trovato emoglobina, dimostra che c’e’ sangue anzi, per essere precisi, dimostra che e’ contenuta una frazione di sangue nelle ampolle. Come capite bene, niente esclude che nelle ampolle possa essere contenuto un gel tissotropico con un aggiunta di sangue.

Personalmente poi, vorrei riflettere su un aspetto: l’ampolla, come anticipato, non e’ completamente piena. In questo caso, sicuramente all’interno, oltre al sangue, e’ presente un certo volume d’aria. Ora, restando nel caso di volume sigillato in modo perfetto, sicuramente le variazioni dei parametri ambientali potrebbero influire sull’aria piu’ che sul sangue. Non mi risulta che la reliquia sia conservata in atmosfera controllata. Se anche fosse, questo non sarebbe sicuramente vero durante le processioni. In questo caso, un aumento di temperatura, a volume costante, provoca un aumento di pressione nell’aria che per costrizione spinge sul sangue. In questo caso, potremmo avere una sollecitazione, non di taglio, di spinta sul sangue. In questo caso, si potrebbe pensare che anche le condizioni di pressione e temperatura dell’aria influirebbero sull’eventuale liquefazione, cosa, almeno dalle fonti viste, non ancora chiamata in causa. Il considerare i parametri ambientali potrebbe anche spiegare perche’ in alcuni casi il sangue non si e’ sciolto. Se la pressione interna e’ piu’ alta, in questo caso le scosse mecaniche date sarebbero ammortizzate dal volume d’aria in sovrapressione, trasferendo minor impulso al sagnue.

A questo punto, capite dunque che la spiegazione del fenomeno della liquefazione del sangue di San Gennaro non e’ ancora stata data o meglio non e’ stata ancora accettata da tutti rispondendo a tutti i quesiti e le possibili domande. Per rispondere in modo sicuro, direte voi, non basterebbe analizzare il contenuto delle ampolle e vedere cosa contengono? Questa e’ un’osservazione verissima. Purtroppo, non e’ possibile analizzare le reliquie perche’ la Chiesa non lo consente. Non so se e’ il caso di dire la Chiesa di Roma o la Curia di Napoli, fatto sta che ad oggi nessuno ha potuto analizzare in dettaglio il contenuto delle ampolle.

Permettetemi una riflessione. Se analizzando il contenuto delle ampolle si scoprisse che dentro c’e’ un liquido tissotropico, i fedeli perderebbero la loro devozione nei confronti del santo? Personalmente credo di no. Forse, in alcuni casi, la spettacolarizzazione degli eventi conta piu’ della verita’. Detto questo, non resta che aspettare di vedere se l’ipotesi tissotropica possa essere confermata in qualche modo o, eventualmente, trovare un’altra spiegazione certa del miracolo. Alla luce di quanto detto, non parlerei assolutamente di miracolo. A riprova di questo, esistono molte reliquie in Italia contenenti sangue di martiri e molte di queste presentano il fenomeno della liquefazione. Anche su questo punto, molti ribattono dicendo che negli altri casi non si registrano fenomeni di liquefazione in date cosi’ precise. Questo non e’ vero del tutto. Nel Duomo di Ravello, e’ conservata una reliquia con il sangue di San Pantaleone, sangue che regolarmente il 27 luglio, data del martirio avvenuto nel 325, tornerebbe liquido. Vi faccio notare anche un’altra cosa: tutte le ampolle conservate con il sangue dei martiri, non vengono prese e “scosse” in date precise per vedere se il sangue si liquefa o no.

 

Psicosi 2012. Le risposte della scienza”, un libro di divulgazione della scienza accessibile a tutti e scritto per tutti. Matteo Martini, Armando Curcio Editore.

Detersivi ecologici

26 Mag

Nella sezione:

Hai domande o dubbi?

e’ stato fatto un commento davvero molto interessante. Come potete leggere, l’osservazione e’ sui cosiddetti Detersivi Ecologici, cioe’ quella gamma di prodotti che promettono di non arrecare danni all’ambiente. Sulla base di questo, credo sia molto interessante fare un ragionamento non solo su questi prodotti, ma anche sull’effettivo danno all’ambiente che i nostri detersivi arrecano e sulle possibili soluzioni che il mercato offre.

Prima di tutto, ragioniamo su una cosa: quanti detersivi ci sono dentro una casa tipo? Cosi’ su due piedi, ognuno di noi ha sicuramente: detersivo per i piatti a mano, detersivo per la lavastoviglie, detersivo per il bucato a mano e per la lavatrice, oltre ovviamente a diversi prodotti per: vetri, mattonelle, macchina a gas, sgrassatore, pulizia del forno, pavimenti, candeggina. Insomma, abbiamo un prodotto specifico per qualsiasi cosa. Quelli che ho citato sono solo i principali, sicuramente poi ce ne sono tanti altri ancora riservati ad applicazioni particolari, ormai indispensabili per la pulizia della nostra casa.

Bene, guardiamo il tutto da un’altra prospettiva. Quei prodotti che abbiamo in casa, sono equivalenti ad un armadio per le sostanze chimiche, analogo a quello che trovate in un laboratorio di ricerca. Provate a leggere le etichette, ma soprattutto le indicazioni riportate sopra, per intenderci, quei simboli arancioni e neri presenti per legge su ogni prodotto: corrosivo, irritante, esplosivo, ecc. Detto questo, capiamo subito che quei prodotti non possono che essere una minaccia per l’ambiente.

Quanto inquiniamo pulendo la nostra casa? Diverse stime fatte anche dall’organizzazione mondiale della sanita’, hanno mostrato come circa il 30% dell’inquinamento dei nostri mari, derivi dai detersivi che usiamo in casa. Oltre a questo, si deve necessariamente valutare anche l’impatto ambientale del semplice imballo, troppo spesso sottovalutato: bottiglie in plastica, cartoni, lattine di alluminio, ecc. Ovviamente, molto spesso questi imballi sono reciclabili, ma, ad esempio, riciclare la plastica e’ un processo dispendioso dal punto di vista energetico e, purtroppo ancora in molte zone dell’Italia, la mentalita’ del riciclo stenta a prendere piede.

Perche’ sono inquinanti i detersivi? Tolto il discorso imballo, la principale fonte di inquinamento viene dei fosfati presenti in molti prodotti. Una volta liberati nell’ambiente, queste sostanze favoriscono il proliferare delle alghe che sottraggono ossigeno all’acqua, creando un ambiente inospitale per pesci e altri animali acquatici. Inoltre, i tensioattivi, cioe’ le schiume prodotte dai detersivi, provocano un notevole danno ambientale grazie anche ai prodotti petrolchimici presenti e ai metalli pesanti che necessariamente finiscono nei mari e nei corsi d’acqua. Detto in parole povere, il danno che arrechiamo e’ notevole e assolutamente non trascurabile. Da quanto detto, perche’ non eliminare i fosfati? Semplice, queste sostanze non sono certo messe per fare un dispetto all’ambiente, il loro ruolo e’ fondamentale, ad esempio, per garantire un buon potere smacchiante dei detersivi oltre a tantissime altre proprieta’ di cui difficilmente potremmo fare a meno.

Nel commento da cui siamo partiti, si parlava invece dei detersivi ecologici. Come scritto, questi prodotti vengono ricavati da fonti biodgradabili e hanno liveli bassissimi di metalli inquinanti come Nichel, Cromo e Cobalto. Qual e’ il rovescio della medaglia? Purtroppo, molto spesso quanto indicato non e’ esattamente vero. Se, ad esempio, prendiamo un fustino di detersivo in polvere per la lavatrice, chiunque potrebbe scrivere che quel contenitore e’ assolutamente riciclabile e non arreca danno all’ambiente. Questo e’ verissimo e scontato. Se, pero’, prendiamo quel fustino e lo buttiamo su una spiaggia, arrechiamo un danno ambientale. Questo solo per dire che, molto spesso, quello che viene scritto dai produttori deve essere interpretato in modo corretto.

Dal punto di vista legislativo, l’unione Europea ha imposto dalla fine del 2013, un abbassamento dei livelli di fosfati presenti nei detersivi per piatti. Nota positiva e’ che i prodotti commercializzati in Italia per il lavaggio a mano, rispettano gia’ questi limiti, al contrario di altre nazioni Europee. Discorso diverso e’ quello per i prodotti per lavastoviglie, in cui i livelli di fosfati presenti sono ancora troppo alti.

Da quanto detto, appare evidente che questa indicazione legislativa non e’ sufficiente. I fosfati rappresentano una notevole fonte inquinante, ma non l’unica presente. Inoltre, analizziamo un altro aspetto relativo in generale a tutti i prodotti a basso impatto ambientale, non solo i detersivi. Molto spesso, questo genere di prodotti hanno un prezzo che va dal leggermente al notevolmente maggiore di quelli tradizionali. Analizziamo questo aspetto. Non vorrei dire un’ovvieta’, ma e’ evidente che al giorno d’oggi, causa la crisi, ci sono tantissime famiglie in difficolta’ economica e che spesso arrivano solo a stento alla fine del mese. Dunque, non inquinare e’ bellissimo, ma se per rispettare l’ambiente si deve scegliere tra l’arrivare a fine mese oppure no, forse le cose non stanno funzionando nel migliore dei modi. E’ inutile fare i finti benpensanti e dire che non si deve inquinare, pensiamo a dare a tutti i mezzi per salvaguardare l’ambiente, almeno a parita’ di prezzo.

Partendo proprio da questo discorso economico, vorrei parlarvi di altre due soluzioni possibili sempre nel caso specifico dei detersivi, tralasciando i prodotti commerciali a basso impatto che, come visto, molto spesso, anche se non sempre, non rispettano pienamente quanto dichiarato, e che comunque non risolvono a pieno il problema ambientale.

Sul territorio nazionale, stanno nascendo sempre piu’ punti vendita di detersivi alla spina. Cosa significa? Per chi non li conoscesse, si tratta di negozi che vendono i detersivi a quantita’ mediante distributori automatici. Voi andate in questi negozi, e comprate un litro, due litri o quello che volete di detersivo. Se ne siete sprovvisti, potete comprare a parte un contenitore e poi riutilizzarlo le volte successive per ricaricarlo. Qual e’ la soluzione di questi negozi? Alla luce di quanto detto in precedenza, mediante questo sistema, si potrebbe risolvere il problema dell’imballo del detersivo. Ricaricando di volta in volta, si utilizza sempre lo stesso contenitore che dunque non finisce direttamente nell’ambiente. Riprendendo in mano il discorso economico, questa soluzione e’ sicuramente piu’ conveniente di quella tradizionale. Il motivo e’ molto facile da capire, voi comprate solo ed esclusivamente il detersivo, non l’imballo, la pubblicita’, ecc. Tutte cose che alzano il prezzo ma che non c’entrano nulla con il prodotto.

Quella dei prodotti alla spina e’ ovviamente una soluzione. Ricapitolando, i prodotti ecologici commerciali esistono, ma costano di piu’ e non risolvono il problema dell’imballo. I detersivi alla spina risolvono solo il problema dell’imballo, ma spesso i prodotti venduti sono del tutto tradizionali, dunque a notevole impatto ambientale.

Come risolvere tutti i problemi insieme?

Negli ultimi tempi, complice sempre la crisi, gli aumenti dell’IVA, la pressione fiscale, ecc, si sta tornando un po’ alle origini, e sempre piu’ persone ricorrono ad una soluzione tutt’alro che innovativa, ma sicuramente efficace: quella di prodursi i detersivi in casa!

Se pensate che questa sia una cosa difficile, vi sbagliate di grosso. Ovviamente, non serve una laurea in chimica, ma un minimo di nozioni di base. Ad aiutare in questo senso, ci pensano i numerosi siti internet che offrono gratuitamente ricette fai da te per produrre qualsiasi tipo di detersivo per la casa, ma anche creme e trucchi. Magari per i primi tempi, e ‘ consigliabile fare riferimento a questi siti, perche’ se siete proprio digiuni di chimica, dovreste evitare almeno di mescolare tra loro acidi e basi, o di fare reazioni di idrolisi.

Quali sono gi ingredienti che servono a tale scopo?

In realta’, gli ingredienti di base sono molto semplici e facilmente reperibili. Molto utilizzato e’ il bicarbonato, l’aceto bianco, il percarbonato, l’acqua ossigenata. Insomma, tutti prodotti che ognuno di noi ha in casa o che comunque puo’ reperire con facilita’ e a basso costo. Non pensate che si tratti di una soluzione di seconda scelta, i prodotti che potete realizzare in casa, sono efficaci tanto quanto quelli commerciali, con la differenza che potete dosare al meglio le quantita’ e decidere da soli il grado di concentrazione della parte attiva. Infatti, dal punto di vista ecologico, anche le quantita’ di prodotto utilizzato giocano un ruolo essenziale. Pensate che a livello chimico, la meta’ della quantita’ di prodotto che viene generalmente consigliata, e’quella necessaria ad assicurare il risultato finale. La seconda meta’ serve come fattore di sicurezza e apporta solo migliorie minori al risultato.

Nella produzione dei detersivi in casa, spesso si fa ricorso anche ad oli essenziali che potete trovare, ad esempio, nelle erboristerie. In questo modo, potete decidere da soli l’aroma da dare al vostro prodotto e scegliere quello che piu’ vi aggrada, oltre ovviamente l’intensita’.

Analizzando dunque quanto detto, i biodetersivi potrebbero essere una soluzione, ma non risolvono il problema dell’imballo e costano spesso di piu’. I prodotti alla spina risolvono solo il problema dell’imballo e nient’altro. Ricorrere invece alla produzione domestica di detersivi potrebbe essere la soluzione economica, senza imballo e che sfrutta solo prodotti naturali e non derivati petrolchimici. Come detto, esistono tantissimi siti che offrono gratuitamente ricette per la produzione di detersivi e sulla rete sta nascendo una vera e propria comunita’ di persone che si scambiano ricette tra loro un po’ come si fa per la cucina. Personalmente, credo che questa potrebbe essere una soluzione da provare e che veramente potrebbe aiutare l’ambiente, oltre ovviamente le nostre tasche.

 

”Psicosi 2012. Le risposte della scienza”, un libro di divulgazione della scienza accessibile a tutti e scritto per tutti. Matteo Martini, Armando Curcio Editore.

Il sale prima o dopo?

13 Mag

Qualche tempo fa, avevamo scritto un post un po’ particolare, diverso da quelli a cui siamo abituati:

La fisica del caffe’

eravamo andati a vedere come funziona la moka, o meglio, qual e’ la fisica dietro la preparazione del caffe’. In quell’occasione avevamo visto come tanti pensino cosa sbagliate soprattutto sull’ebollizione dell’acqua all’interno della caldaia.

Sempre in termini di acqua che bolle, in questo post, vorrei invece rispondere al quesito su cui tante persone di sovente hanno una concezione diversa: “mettendo il sale nell’acqua, bolle prima o dopo?”

Questa e’ una domanda che, soprattutto noi italiani amanti della pasta, ci saremo fatti decine di volte. Purtroppo, anche in questo caso, molte persone pensano la cosa sbagliata.

Secondo voi bolle prima o dopo?

Cerchiamo di capire la risposta parlando un po’ di scienza.

Come tutti sanno l’acqua bolle a 100 gradi centigradi. Sicuri? Questa affermazione non e’ completa. L’acqua bolle a 100 gradi centigradi al livello del mare, cioe’ alla pressione di 1 atmosfera. Poiche’ la pressione altro non e’ che il peso della colonna d’aria che ci sovrasta, salendo di quota la pressione diminuisce e dunque l’acqua bollira’ prima. Per darvi qualche numero, la temperatura di ebollizione dell’acqua diminuisce circa di un grado ogni 300 metri di altitudine. Se, ad esempio, vi trovate in un rifugio di montagna a 2100 metri di altitudine, l’acqua bollira’ a 93 gradi centigradi.

Anche sui 100 gradi nominali, ci sarebbe da controbattere. In realta’, questa e’ la temperatura di ebollizione dell’acqua pura, che non e’ assolutamente quella che utilizziamo per cucinare in cui sono disciolti sempre dei sali.

Cosa dire invece dell’aggiunta di sale?

Sciogliendo un sale nell’acqua, in realta’ un qualsiasi soluto in un solvente, si vanno a modificare quelle che ci chiamano “proprieta’ colligative” del solvente. Tra queste, vi e’ il cosiddetto aumento “ebullioscopico”. Cosa significa? La presenza del solvente nel soluto, aumenta il punto di ebollizione.

Se ci riferiamo al caso dell’acqua, si ha un aumento ebullioscopico di 1 grado, per un litro di solvente, ogni 58 grammi di sale. Ovviamente, la quantita’ di sale che mettiamo nell’acqua e’ nettamente inferiore a 58 grammi, per cui in realta’, si ha un innalzamento del punto di ebollizione, ma parliamo di variazioni minime. Nonostante questo, “aggiungendo il sale prima l’acqua bolle dopo”.

Interessante e’ invece il discorso “coperchio o non coperchio” mentre riscaldiamo l’acqua. In questo caso, anche se molti pensano il contrario, chiudere la pentola puo’ aiutare molto a far salire la temperatura dal momento che riduce la dispersione di calore all’esterno del sistema, con un notevole risparmio energetico. In rete ho trovato i risultati di un esperimento molto carino. Prendendo 4 litri di acqua, si sono misurati i tempi necessari a raggiungere l’ebollizione nelle due situazioni, e misurando anche le temperature intermedie con i relativi tempi:

T °C Minuti con coperchio Minuti senza coperchio
40 6:56 7:05
50 10:36 10:40
60 14:09 14:32
70 17:47 18:40
80 21:43 23:33
90 25:34 29:06
96 28:08 34:13

Come vedete, c’e’ un aumento di circa il 25% per arrivare a 96 gradi non utilizzando il coperchio. Ovviamente, l’esperimento e’ stato fatto a parita’ di condizioni per cui, per fa bollire una comune pentola d’acqua da 4 litri, dovrete tenere il fuoco acceso per 6 minuti in piu’ ogni volta.

Spesso, parlando con le persone, mi viene detto che aggiungendo il sale l’acqua bolle prima perche’ nel momento in cui lo mettete nella pentola si vede un incremento dell’ebollizione. Questo in realta’ e’ vero solo in parte. Fate questo esperimento molto semplice, con l’acqua in ebollizione, buttate il sale e vedrete ribollire piu’ vigorosamente. Questo risultato e’ spesso quello che porta fuori strada le persone.

A cosa e’ dovuto?

Le molecole di sale si comportano come centri di nucleazione all’interno dell’acqua. Detto in parole molto semplici, per potersi formare, le bolle hanno bisogno di un centro intorno al quale generarsi e salire in superficie. Il sale che mettete nell’acqua fa appunto da appiglio per le bolle che non aumentano la loro temperatura, ma trovano terreno fertile per la loro formazione.

Prima di chiudere, vorrei tornare un attimo sulle proprieta’ colligative. Oltre all’innalzamento ebullioscopico, scioglere un soluto in un solvente produce anche l’abbassamento crioscopico, cioe’ diminuisce il punto di fusione del liquido. Vi siete mai chiesti perche’ durante l’inverno si butta il sale sulle strade? Ovviamente tutti sanno che serve per non far formare il ghiaccio. Bene, anche in questo caso si parla di proprieta’ colligative. Aggiungere sale fa abbassare il punto di fusione dell’acqua che dunque non congelera’ piu’ a 0 gradi, ma a temperature piu’ basse. Detto questo, non impedite che si formi il ghiaccio, semplicemente, affinche’ avvenga la transizione di fase, e’ necessario scendere di piu’ con la temperatura.

Come vedete, sia il discorso ebollizione che quello fusione dell’acqua possono essere ricondotti alle stesse proprieta’ chimico-fisiche, dette appunto “proprieta’ colligative”.

 

Psicosi 2012. Le risposte della scienza”, un libro di divulgazione della scienza accessibile a tutti e scritto per tutti. Matteo Martini, Armando Curcio Editore.