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L’esperimento di Ferlini e la barriera magnetica

4 Mag

Solo qualche giorno fa abbiamo pubblicato un articolo specifico sul cosiddetto “effetto Hutchinson”:

Effetto Hutchinson: realta’ o bufala?

Come visto, i fenomeni descritti in questa esperienza, che spaziano dalla levitazione alla fusione di oggetti con rilascio di energia, sarebbero provocati dalla sovrapposizione di onde elettromagnetiche in zone precise dello spazio. Nel descrivere queste esperienze, abbiamo mostrato un notevole scetticismo dettato dalla particolarita’ dei fenomeni descritti ma, soprattutto, dal fatto che l’autore stesso di questi esperimenti abbia piu’ volte dichiarato di non essere piu’ in grado di ripetere tali effetti. Ci tengo a sottolineare che la mia posizione di scettico non e’ affatto per partito preso. Come sapete, e come detto molte volte, tutti dobbiamo essere aperti a fenomeni sconosciuti e anche apparentemente assurdi purche’, come la scienza insegna, questi possano essere ripetuti da chiunque, in qualsiasi parte sotto le condizioni descritte. Solo se questo avviene possiamo considerare il metodo scientifico soddisfatto e vedere a tali nuovi fenomeni con gli occhi della scienza.

Riprendo quanto detto in questo articolo, perche’ ora vorrei raccontarvi un altro presunto esperimento che solo qualche giorno fa e’ stato richiamato da alcuni siti complottisti, sempre con il solito scopo di denigrare la scienza ufficiale e tacciarla di non voler approfondire cio’ che e’ fuori dai suoi dettami. Parlaimo questa volta del cosiddetto esperimento di Ferlini sulla barriera magnetica.

Chi e’ costui? In cosa consiste l’esperimento?

Se provate ad informarvi in rete, troverete solo una moltitudine di articoli che riprendono pari pari quanto descritto da Ferlini in un libro da lui stesso pubblicato e intitolato appunto “La barriera Magnetica”. In questo libro Ferlini descrive una serie di esperimenti che avrebbe condotto, dapprima in solitudine e poi con un gruppo di collaboratori, studiando i campi magnetici.

Prima di raccontarvi gli esperimenti, e’ importante, come vedremo dopo, dire che Ferlini inizio’ la sua carriera studiando l’antico Egitto e la costruzione delle Piramidi. In particolare, cio’ che interessava Ferlini era la possibilita’ che strani fenomeni fisici potessero accadere dentro o in prossimita’ delle piramidi a causa di soluzioni appositamente inserite durante la costruzione di questi imponenti monumenti.

Premesso questo, Ferlini racconta che un giorno giocherellando con due calamite si accorse che avvicinando i poli opposti, poco prima che questi entrassero in contatto, la zona di spazio appariva leggermente offuscata come se qualcosa di particolare accadesse al volume d’aria tra i poli stessi. Incuriosito da questo fenomeno che non riusciva a spiegare, Ferlini decise di costruire un esperimento piu’ in grande in modo da accentuare l’effetto. L’esperienza da lui realizzata, e sempre raccontata nel suo libro, prevedeva la disposizione di 4 grandi magneti di diverse tonnellate disposti con i poli opposti vicini. Ecco uno schema dell’apparato:

Disposizione dei 4 magneti nell'esperimento di Ferlini

Disposizione dei 4 magneti nell’esperimento di Ferlini

Come vedete ci sono 4 magneti a ferro di cavallo disposti con i poli Nord-Sud alternati tra loro. Dalle prime osservazioni con i piccoli magneti, Ferlini racconta di aver osservato questa deformazione dello spazio solo poco prima che i poli entrassero in contatto a causa dell’attrazione magnetica. Per poter osservare questo effetto nell’esperimento piu’ grande, Ferlini monto’ le calamite su appositi sostegni che permettevano un movimento a passi molto sottili. In questo modo era possibile avvicinare molto lentamente i poli grazie a dei fermi studiati per opporsi all’attrazione.

Bene, cosa accadde con questo esperimento?

Leggendo sempre dal libro di Ferlini, quando i magneti arrivarono nel punto preciso in cui si innescava il fenomeno, accadde qualcosa di incredibile. Nella stanza si diffuse una nebbiolina azzurra con un odore acre. Da queste proprieta’ organolettiche, i presenti capirono che si trattava di ozono. Ma non accade solo questo, la zona di spazio compresa tra i magneti, che questa volta al contrario del primo caso era molto estesa, venne deformata da questo effetto sconosciuto mai osservato prima. Ferlini, che indossava una maschera antigas per non respirare l’ozono, incuriosito da questo fenomeno, si avvicino’ al contrario dei suoi collaboratori che rimasero a distanza di sicurezza. Quando si trovo’ in prossimita’ del punto, i collaboratori videro Ferlini scomparire dalla stanza. La nebbiolina presente inizio’ lentamente a diradarsi assumendo diversi colori e solo dopo che scomparve le persone presenti videro Ferlini riapparire sprovvisto della maschera che portava prima di avvicinarsi.

Dove era finito Ferlini?

Come raccontato nel suo libro, Ferlini si ritrovo’ in Egitto, ma non nel momento dell’esperimento bensi’ al tempo in cui le piramidi erano in costruzione. Vide gli schiavi che alzavano i grandi blocchi e le piramidi cosi’ come erano quando vennero realizzate. Perche’ proprio in quel preciso punto ed in quell’epoca? Ferlini penso’ che questo strano effetto, da subito ribattezzato “barriera magnetica”, fosse un portale creato dalla forza magnetica in grado di interagire con le onde cerebrali. Come anticipato, la carriera di Ferlini inizio’ con lo studio delle piramidi e quindi la barriera magnetica era in grado di interagire con gli impulsi creati dal cervello umano realizzando viaggi nel tempo in zone ed epoche dove il soggetto voleva, anche solo inconsciamente, viaggiare.

Bene, questo e’ l’esperimento di Ferlini e questa sarebbe la barriera magnetica che lui descrive nel suo libro.

Ora posso dire la mia? Premetto, come anticipato all’inizio dell’articolo, che non voglio essere scettico di principio ma analizzando quanto viene raccontato capite bene come una verifica di queste affermazioni sarebbe, ed e’, facilmente attuabille ma, soprattutto, facilmente smentibile. Ovviamente, sui soliti siti complottisti trovate scritto che mai nessuno ha mai voluto realizzare l’esperimento di Ferlini o anche che in realta’ e’ utilizzato normalmente in alcuni grandi centri di ricerca anche se alle persone comuni non ne viene data notizia.

Prima di tutto, vi ricordo che non stiamo parlando di esperimenti impossibili da realizzare ne che richiedono strumentazione particolare. Come detto, nella prima esperienza, Ferlini si sarebbe accorto di questo fenomeno semplicmente osservando due calamite che si attraevano. Avete mai visto due calamite? Ci avete mai giocherellato? Avete mai notato una distorsione dello spazio prima che queste si attacchino a causa della forza di attrazione? Ovviamente credo che la risposta a queste domande sia quanto meno scontata.

Vi faccio notare anche un altro particolare. Prendiamo un sito qualsiasi:

Sito vendita magneti

15 euro al pezzo, ne servono 4, quattro viti senza fine per realizzare un movimento a piccoli passi, qualche bullone di supporto, con meno di 100 euro avete realizzato l’esperimento di Ferlini. Non avrete magneti da tonnellate per poter fare un viaggio nel tempo, ma sicuramente dovreste essere in grado di osservare una bella distorsione dello spazio e, se siete fortunati, anche una bella nebbiolina di ozono nella stanza. Cercando informazioni sulla rete, ho trovato diversi forum in cui gruppi di persone, anche se sconsigliate da altre, si sono dichiarate pronte a mettere in piedi l’esperimento per dimostrarne la corretteza. La cosa simpatica e’ che dopo una lunga discussione “lo faccio”, “non lo fare perdi tempo”, “no lo faccio, chi mi aiuta?”, ecc., nessuno, e dico nessuno, ha il coraggio di tornare e dire che il suo esperimento e’ stato un flop. Nonostante questo, di tanto in tanto, qualche simpatico sito ritira fuori questa storia come se fosse una novita’ assoluta. Che ci volete fare, in tempo di magra di catastrofi e complotti, ogni cosa e’ buona per cercare di accaparrarsi qualche visita sul sito.

Giusto per concludere, e per togliere ogni dubbio, il magnetismo e’ noto da tantissimo tempo. Gia’ ai tempi del greco Talete, che descrive il fenomeno, era noto che un materiale, la magnetite, era in grado di attirare limatura di ferro. Oggi, possiamo disporre di campi magnetici molto elevati per applicazioni di ricerca. Per farvi qualche esempio, il campo magnetico all’interno dell’esperimento ATLAS del CERN, si proprio quello della scoperta dell’Higgs insieme a CMS, e che viene utilizzato per curvare le particelle cariche, ha un’intensita’ di 2 Tesla, cioe’ circa 100000 volte il campo magnetico terrestre. Pensate sia tanto? Ci sono laboratori al mondo che si occupano proprio di studiare i campi magnetici cercando, per ricerca e applicazioni, di trovare materiali nuovi da poter essere utilizzati per creare campi magnetici sempre piu’ intensi. Un esempio? Nel “High Field Magnet Laboratory” in Olanda, si e’ raggiunto il valore di 38 Tesla con un sistema “economico” da soli 1.5 milioni di dollari. Questo pero’ non e’ ancora il record assoluto, anche se il laboratorio detiene il record come rapporto intensita’/prezzo, dal momento che il guiness dei primati per il campo magnetico piu’ intenso e’ del Magnet Lab della California:

Magnet Lab

dove si e’ raggiunto il valore di 45 Tesla con un sistema molto complesso da ben 15 milioni di dollari.

Ora, ragioniamo insieme, secondo voi se esistesse questo effetto “barriera magnetica” dovuto all’attrazione dei poli, nessun altro se ne sarebbe accorto, magari con un sistema in grado di generare un campo ben piu’ intenso rispetto a quello di una semplice calamita a ferro di cavallo?

 

Psicosi 2012. Le risposte della scienza”, un libro di divulgazione della scienza accessibile a tutti e scritto per tutti. Matteo Martini, Armando Curcio Editore.

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Un futuro … robotico

13 Mar

Nell’immaginario collettivo dettato dai film e racconti di fantascienza, il nostro futuro dovrebbe essere popolato da robot umanoidi dotati di intelligenza propria ed in grado di comunicare, interagire e, perche’ no, contrapporsi agli stessi esseri umani che li hanno creati. Da decenni questi scenari futuristici vengono richiamati e su tematiche del genere si sono inventate tantissime storie e racconti. Il nostro livello tecnologico, per quanto, punto di vista personale, debba sempre essere migliorato ed e’ sempre un passo indietro a quello che vorremmo fare, non e’ assolutamente scarso eppure questi tanto citati scenari non si sono ancora visti.

Nonostante questo, e anche se molti lo ignorano, la tecnologia robotica ha fatto enormi passi avanti negli ultimi anni e molte operazioni, sia di routine che di elevata complessita’, sono gia’ eseguite dagli uomini coadiuvati da sistemi elettromeccanici. Spesso, questa simbiosi tecnologica e’ necessaria e utile per migliorare la precisione di determinate operazioni, altre volte invece e’ una vera e propria necessita’ fondamentale per supplire all’impossibilita’ di un intervento diretto dell’uomo.

Proprio da questo ultimo scenario vorrei partire per commentare una notizia apparsa sui giornali qualche giorno fa. Provate ad immaginare uno scenario di questo tipo: siamo su un’astronave lontana migliaia di kilometri da Terra. Un membro del nostro equipaggio ha un problema di salute importante che impone un intervento chirurgico di urgenza. Per quanto gli altri membri dell’equipaggio possono essere addestrati a situazioni di questo tipo, non e’ assolutamente possibile immaginare che tutti siano in grado di fare tutto in modo eccellente. Cosa fare per salvare la vita dell’uomo? In casi come questo, potrebbe intervenire un robot in grado di compiere operazioni chirurgiche anche delicate perche’ programmato ed istruito per farle oppure perche’ telecontrollato da un esperto sulla Terra o su un’altra navicella nello spazio.

Pensate sia fantascienza?

Proviamo a sostituire qualche soggetto della nostra storia. La navicella lontana dalla Terra e’ la Stazione Spaziale Internazionale, i membri dell’equipaggio sono gli astronauti provenienti da diversi paesi e che devono restare in orbita anche per periodi relativamente lunghi. Come vengono gestiti casi come quello raccontato sulla ISS? Per il momento, non c’e’ stato mai bisogno di operare d’urgenza un membro della stazione spaziale ma, come potete capire, e’ necessario predisporre piani di emergenza anche per far fronte a problemi come questo. Dal punto di vista medico, gli astronauti della stazione hanno in dotazione strumentazione di monitoraggio e controllo che possono usare autonomamente o aiutandosi in coppie.

Sicuramente un robot appositamente creato per questi scopi potrebbe coadiuvare gli astronauti sia nelle operazioni di routine che in casi di emergenza.

Questo e’ il pensiero che i tecnici NASA hanno avuto quando, qualche anno fa, hanno mandato sulla Stazione Spaziale il Robonaut 2, un robot umanoide che ancora oggi e’ in orbita intorno alla Terra. Inizialmente, il robot e’ stato inviato per aiutare gli astronauti nelle operazioni piu’ difficili ma anche per sostituirli in quelle piu’ banali e ripetitive che sottraggono inutilmente tempo al lavoro del team.

Il Robonaut 2 all'interno della Stazione Spaziale Internazionale

Il Robonaut 2 all’interno della Stazione Spaziale Internazionale

La storia del progetto inizia gia’ dal 1997 quando venne sviluppato un primo prototipo di Robonaut. Questo sistema era pensato per aiutare gli astronauti o sostituirli durante le attivita’ extraveicolari piu’ pericolose. Inoltre, poteva essere montato su un piccolo carro a 6 ruote trasformandolo in un piccolo rover intelligente per l’esplorazione in superficie della Luna o di altri corpi celesti.

Il progetto, come potete immaginare, risulto’ valido e dal 2006 e’ iniziata una stretta collaborazione tra la NASA e la General Motors per la costruzione di un sistema piu’ affidabile e da testare in orbita, appunto il Robonaut 2. Una volta arrivato sulla stazione, il robot venne lasciato imballato per diversi mesi a causa dell’elevato carico di lavoro degli astronauti, fino a quando venne messo in funzione quando nella stazione era presente anche il nostro Paolo Nespoli.

Ecco un video delle prime fasi di collaudo del Robonaut-2:

Come detto, il Robonaut 2 e’ un robot umanoide dotato di due braccia a 5 dita per un peso complessivo di 150Kg, escluse le gambe non previste in questa versione. Il costo di produzione e’ stato di circa 2.5 milioni di dollari per produrre un vero e proprio gioiello di elettronica. Il robot e’ dotato di 350 sensori, una telecamera 3D ad alta definizione, il tutto comandato da 38 processori Power PC. Il complesso sistema di snodi consente di avere 42 gradi di movimento indipendenti.

Addestramento del Robonaut 2 con un manichino

Addestramento del Robonaut 2 con un manichino

La notizia di questi giorni e’ relativa allo speciale addestramento che il Robonaut 2 sta seguendo per diventare un vero e proprio medico di bordo pronto a far fronte, autonomamente o su controllo da Terra, ad ogni intervento medico richiesto, da quelli di routine a, eventualmente, vere e proprie operazioni. Questo addestramento e’ seguito passo passo sia da medici che da tecnici NASA esperti di telecontrollo, dal momento che tutto verra’ poi seguito da Terra verso la Stazione Spaziale. Stando a quanto riportato anche dalla NASA, il Robonaut sarebbe gia’ in grado di eseguire piccoli interventi di routine e di fare prelievi e punture ad esseri umani. Ovviamente, per il momento la sperimentazione e’ fatta su manichini anche se il robot ha mostrato una straordinaria capacita’ di apprendimento e, ovviamente, una precisione e ripetivita’, difficilmente raggiungibili da una mano umana.

Come vedete, forse gli scenari fantascientifici da cui siamo partiti non sono poi cosi’ lontani. In questo caso, l’utilizzo di tecnologia robotica e’ necessario proprio per supplire all’impossibilita’ di intervento diretto da parte dell’uomo e sicuramente potrebbe essere in grado in un futuro molto prossimo di far fronte a situazioni altrimenti non gestibili.

Prima di chiudere vorrei pero’ aprire un ulteriore parentesi robotica. Se pensate che l’utilizzo di un sistema elettromeccanico in medicina sia una novita’ assoluta o se credete che sistemi di questo tipo siano appannaggio soltanto della Stazione Spaziale o di centri di ricerca futuristici, state sbagliando di grosso.

Vi mostro una foto di un altro robot, assolutamente non umanoide, ma con funzioni molto interessanti:

Il sistema robotico Da Vinci

Il sistema robotico Da Vinci

Questo e’ il Robot Da Vinci, proprio in onore del nostro Leonardo, utilizzato in moltissime sale operatorie di tutto il mondo.

Da Vinci e’ prodotto dalla ditta americana Intuitive Surgical e gia’ nel 2000 e’ stato approvato per l’uso in sala operatoria dalla Food and Drugs Administration. Questo sistema e’ dotato di diversi bracci elettromeccanici che consentono una liberta’ di movimento molto maggiore, e assai piu’ precisa, di quella di un polso umano. Il sistema e’ teleguidato da un medico lontano dalla sala operatoria al cui interno ci sono solo infermieri che di volta in volta posizionano lo strumento giusto nelle pinze del robot. Stando a quanto dichiarato, questo robot consente ovviamente di avere una affidabilita’ di ripetizione e precisione molto maggiore di quelle di un normale medico riuscendo ad operare limitando fino ad 1/3 il normale sangiunamento degli interventi piu’ complicati.

Dal sito della Intuitive Surgical si legge che ad oggi sono stati venduti piu’ di 700 di questi robot e pensate che in Italia quasi 70 sale operatorie sono attrezzate con questo sistema. Il numero di operazioni effettuate con questo robot e’ dell’ordine delle decine di migliaia.

E’ tutto oro quello che luccica?

Per completezza, e come siamo abituati a procedere, vi mostro anche il rovescio della medaglia. Rimanendo nel caso Da Vinci, anche in Italia, si sono formati tra i medici due schieramenti: quelli favorevoli al suo uso e quelli fortemente contrari. Perche’ questo? Se parliamo dei vantaggi del sistema, sicuramente una mano robotica consente di effetturare operazioni di routine con una precisione assoluta, d’altro canto pero’, ci sono molti medici che mettono in discussione il rapporto investimento/beneficio di un sistema del genere. Come potete facilmente immaginare, l’investimento richiesto per l’acquisto del robot e’ molto elevato con grossi guadagni dell’azienda e, soprattutto, delle banche che offrono finanziamenti agli ospedali. Inizialmente, il Da Vinci e’ stato sviluppato per le operazioni piu’ complesse o in cui il medico non riuscirebbe a lavorare facilmente. Si tratta ovviamente di operazioni in laparoscopia che tradizionalmente potrebbero essere eseguite con un investimento molto inferiore. Inoltre, visto lo sforzo economico per l’acquisto, molti degli ospedali che dispongono del robot tendono ad utilizzarlo anche per gli interventi piu’ facili al fine di sfruttare a pieno l’investimento fatto. Altro aspetto non da poco, il Da Vinci e’, ovviamente, coperto da decine di brevetti che creano un monopolio per la ditta costruttrice. Questo non fa altro che bloccare eventuali piccole startup che potrebbero migliorare notevolmente un sistema che, come detto, risale al 2000. Come discusso all’inizio dell’articolo, anno per anno la tecnologia cresce notevolmente ed un apparato del genere, per quanto complesso, potrebbe sempre essere migliorato con l’aggiunta di nuovi sistemi. Come vedete, al solito, le discussioni sono piu’ di natura economica che di utilizzo. Nonostante questo, il Da Vinci e’ un ottimo esempio di chirurgia robotica gia’ disponibile alla societa’.

 

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Acqua su Giove?

26 Apr

Come sapete, ogni tanto e’ interessante dare uno sguardo al nostro sistema solare, anche per presentare gli ultimi lavori scientifici pubblicati che, di volta in volta, ci permettono di capire meglio alcune caratteristiche dello spazio in cui viviamo.

Questa volta, la mia attenzione e’ stata attrata da un articolo pubblicato proprio in questi giorni, in cui viene presentata la scoperta fatta dagli scienziati dell’ESA che sono riusciti finalmente a dimostrare l’origine dell’acqua osservata nell’atmosfera di Giove. Come ipotizzato gia’ diversi anni fa, questa acqua non appartiene a Giove ma e’ stata portata sul pianeta dall’impatto con la cometa Shoemaker-Levy nel 1994.

Forse, piu’ di qualcuno ricordera’ l’attenzione mediatica su questa cometa quasi 20 anni fa. La Shoemaker-Levy venne scoperta nel 1993 e attiro’ subito l’attenzione degli astronomi perche’ per la prima volta venne osservato un corpo di questo tipo orbitare intorno ad un pianeta invece che al Sole. La cometa infatti, durante un passaggio all’interno del Sistema Solare, venne catturata dall’interazione gravitazionale di Giove e quindi inizio’ ad orbitare intorno al pianeta. La stretta orbita seguita dalla Shoemaker-Levy face subito capire che a distanza di poco tempo, la cometa avrebbe finito per impattare contro il pianeta. Dalle simulazioni del tempo, fu possibile infatti determinare con precisione il periodo dell’impatto, ipotizzato tra il 10 e il 20 luglio 1994.

Alla notizia dell’impatto, non solo molte sonde in orbita, ma anche molti telescopi a terra, di cui un numero enorme di stazioni amatoriali, vennero puntate verso Giove per osservare in diretta l’evento. L’impatto avvenne esattamente il 16 Luglio 1994, ma purtroppo nel lato non visibile a Terra di Giove. L’evento venne comunque registrato in diretta dalla sonda Galileo che pote’ osservare dal vivo l’ingresso in atmosfera dei 27 frammenti principali del nucleo cometario, che si era frantumato a causa di un precedente passaggio intorno al pianeta. La rapida velocita’ di rotazione di Giove, permise dopo pochi minuti di osservare i residui dell’impatto anche da Terra. Nell’atmosfera di Giove erano presenti delle vaste macchie nere causate appunto dall’ingresso ad alta velocita’ dei frammenti della Shoemaker-Levy.

Impatto della Schoemaker-Levy su Giove

Impatto della Schoemaker-Levy su Giove

Oltre alla spettacolarita’ dell’evento, la collisione della cometa, permise di ottenere notevoli informazioni astronomiche. Prima di tutto, fu possibile studiare gli strati piu’ profondi dell’atmosfera del pianeta, non raggiungibili con gli strumenti dell’epoca, inoltre, l’impatto apri’ nuovi scenari scientifici sugli studi del nostro sistema solare.

Successivamente, analizzando le macchie nere ancora oggi presenti su Giove, si capi’ che queste erano dovute ad una concentrazione anomala di acqua nell’atmosfera del pianeta. L’origine di questa acqua, rimase un mistero fino ai giorni nostri.

Come anticipato, il nuovo studio dell’ESA pubblicato in questi giorni, ha evidenziato come le tracce d’acqua presenti nell’atmosfera di Giove siano proprio dovute all’impatto con la Shoemaker-Levy. Detto in altri termini, l’acqua non appartiene a Giove, ma e’ stata proprio portata dalla cometa. Questo risultato e’ stato possibile sfruttando le osservazione nell’infrarosso del satellite Herschel. Questa sonda e’ stata in realta’ lanciata per studiare le proprieta’ degli Esopianeti, di cui abbiamo parlato in questi post:

Nuovi esopianeti. Questa volta ci siamo?

A caccia di vita sugli Esopianeti

ma si e’ rivelata una strumento molto preciso anche per analizzare i corpi del nostro sistema solare.

Come anticipato, l’ipotesi che l’acqua fosse stata portata dalla cometa era stata formulata gia’ nel 1994, proprio da un gruppo di astronomi italiani del nostro istituto di astrofisica. In questo caso, sfruttando la particolare emissione delle molecole d’acqua, si era ipotizzata l’origine di quanto osservato. Solo per completezza, vi dico anche che questa innovativa tecnica per l’epoca, e’ esattamente la stessa utilizzata oggi per cercare eventuale acqua sui pianeti al di fuori del sistema solare.

Immagine di Giove dopo l'impatto

Immagine di Giove dopo l’impatto

L’osservazione della Shoemaker-Levy e’ stato, come detto, il primo caso di cometa caduta su un pianeta del sistema solare. Come visto in questo post:

Adesso e’ il turno di Marte

sappiamo che anche nel 2014 un’altra cometa, la Siding Spring, cadra’ invece su Marte ed anche in questo caso, l’evento consentira’ sicuramente di raccogliere nuove ed importanti informazioni sul nostro sistema solare.

Concludendo, l’osservazione condotta dall’ESA ha consentito, a distanza di 20 anni, di determinare con certezza che l’acqua osservata nell’atmosfera di Giove e’ stata portata dall’impatto con la cometa Shoemaker-Levy. Questo genere di eventi sono sempre possibili all’interno del nostro sistema solare ed infatti nel 2014 un evento di questo tipo e’ atteso per Marte. La storia della Shoemaker-Levy ci consente anche di ricordare il ruolo di Giove come scudo per i pianeti del sistema solare interno. La sua grande massa infatti attira molti oggetti provenienti dallo spazio profondo di fatto proteggiando anche il nostro pianeta.

 

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La terza fascia di Van Allen

4 Mar

Anche se, come spesso avviene, dobbiamo partire dal catastrofismo, questa volta parliamo di scienza vera ed in particolare della scoperta, pubblicata proprio in questi ultimi giorni, di una terza fascia di Van Allen intorno alla Terra.

Di cosa si tratta?

Andiamo con ordine, delle fasce di Van Allen abbiamo gia’ parlato in questo post:

L’anomalia del Sud Atlantico

Come abbiamo visto, queste altro non sono che delle strutture intorno alla Terra formate da particelle cariche. In particolare, fino a pochi giorni fa, erano conosciute due fasce, una formata da elettroni ed una da protoni. Dal momento che queste particelle vengono intrappolate mediante la forza di Lorentz per opera del campo magnetico terrestre, nella fascia piu’ interna troviamo protoni, mentre in quella piu’ esterna elettroni.

Fasce di Van Allen intorno alla Terra

Fasce di Van Allen intorno alla Terra

In particolare, quando le particelle delle fasce di Van Allen vengono eccitate a causa dell’attivita’ solare, si ha il fenomeno delle aurore, di cui abbiamo discusso gia’ diverse volte.

Facciamo un piccolo passo indietro. Perche’ queste strutture sono tanto care ai catastrofisti? Come ricorderete, uno degli argomenti maggiormente citati per il 21 Dicembre 2012, era l’ipotizzata inversione dei poli magnetici terrestri. Dal momento che, come visto, l’esistenza stessa delle fasce di Van Allen e’ dovuta al campo magnetico terrestre, molto si e’ speculato in questa direzione, cercando presunte prove dell’imminente inversione. Di questi aspetti abbiamo parlato, ad esempio, in questo post:

Inversione dei poli terrestri

Come visto, niente di tutto questo e’ reale. Sappiamo che il polo nord magnetico e’ in lento e continuo movimento, cosi’ come sappiamo che in passato e’ avvenuta un’inversione dei poli terrestri, ma questo non comporterebbe certamente la fine del mondo e assolutamente questo non e’ un processo che avviene dall’oggi al domani ma esistono modelli matematici, basati sulle informazioni provenienti dal Sole, che periodicamente inverte i suoi poli, che ci mostrano come questo fenomeno dovrebbe avvenire.

Bene, detto questo, proprio in questi giorni si e’ tornati a parlare delle fasce di Van Allen, dopo che e’ stato pubblicato un articolo sulla rivista Science di un’importante scoperta fatta da ricercatori NASA nell’ambito della missione Radiation Belt Storm Probes. Questa missione consiste in due sonde gemelle lanciate nello spazio la scorsa estate proprio per studiare ed osservare le cinture di particelle che circondano la Terra.

Cosa hanno osservato le due sonde?

Subito dopo il lancio, le sonde hanno potuto osservare le due fasce come normalmente avviene e come abbiamo detto anche nel precedente post. Ai primi di settembre pero’, i ricercatori hanno osservato la fascia esterna spostarsi verso il basso ed e’ apparsa una terza fascia, molto meno compatta, ancora piu’ lontana dalla prima e sempre popolata di elettroni.

Questo e’ un modello che mostra appunto il confronto tra la struttura a due (nota) e a tre (innovativa) fasce di Van Allen intorno alla Terra:

Modello a 2 e 3 fasce di Van Allen

Modello a 2 e 3 fasce di Van Allen

LA cosa che ha sorpreso ancora di piu’ e’ che dopo circa  3 settimane, la fascia piu’ esterna ha iniziato lentamente a dissolversi fino a quando, dopo circa un mese dalla prima osservazione, una potente emissione di vento solare ha letteralmente spazzato via la fascia esterna riformando la solita struttura a due cinture che tutti conoscono.

Ora, cerchiamo di analizzare quanto riportato.

Prima di tutto, c’e’ da dire che l’osservazione di questa struttura e’ stato un gran bel colpo di fortuna per i ricercatori della NASA. Secondo il programma infatti, gli strumenti delle sonde avrebbero dovuto cominciare a raccogliere dati solo dopo un mese dal lancio. Questa procedura e’ del tutto normale e viene utilizzata per far stabilizzare la strumentazione dopo il lancio. In questo caso pero’, si e’ insistito affinche’ gli strumenti fossero accesi subito. Se vogliamo, dato questo particolare, non si e’ trattato solo di fortuna. Proprio l’accensione anticipata degli strumenti ha consentito di osservare questo nuovo effetto. Se fosse stato rispettato il programma, al momento dell’accensione la terza fascia era gia’ scomparsa.

Al momento, non esiste ancora una teoria per siegare quanto osservato o meglio, i dati raccolti sono completamente in disaccordo con quanto sapevamo e con quanto osservato in passato. Questo significa che adesso ci vorra’ tempo affinche’ vengano formulati nuovo modelli per tenere conto di questo effetto.

Allo stato attuale, non si conosce neanche quanto frequentemente avviene la divisione in tre fasce. Probabilmente questo fenomeno avviene regolarmente a causa dell’attivita’ solare, ma fino ad oggi non eravamo stati in grado di osservarlo.

Perche’ parlo di attivita’ solare? Come detto, il vento solare modifica la struttura delle fasce di Van Allen e quindi, con buona probabilita’, anche questo effetto puo’ essere ricondotto alla stessa causa. Inoltre, come osservato, proprio il vento solare ha ripristinato la struttura a due fasce.

Da quanto sappiamo, le due fasce sono separate da una zona non popolata di particelle detta “zona di sicurezza”. Dai dati raccolti, sembrerebbe che la pressione esercitata dalla radiazione solare abbia spostato gran parte degli elettroni in questa zona formando cosi’ la struttura a tre fasce osservata. Sempre un’emissione di vento solare ha poi spazzato via la terza fascia meno densa e di conseguenza gli elettroni sono risaltati nella posizione originale.

Ovviamente, si tratta ancora di ipotesi. Come detto, i dati raccolti verranno ora analizzati per cercare di formulare un modello in grado di spiegare quanto osservato.

Solo per concludere, non c’e’ niente di misterioso in questa scoperta. Su alcuni siti si e’ tornati a parlare di inversione del campo magnetico terrestre, speculando circa la modificazione delle fasce di Van Allen. Niente di tutto questo e’ reale. Come visto, si tratta di una scoperta nuova e del tutto inaspettata. In quanto tale, e’ ovvio che non si ha ancora un’idea precisa o una spiegazione uniformemente accettata. A questo punto non resta che aspettare l’analisi dei dati per capire la spiegazione di questo nuovo fenomeno.

 

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L’anomalia del Mar Baltico

23 Feb

Piu’ o meno durante l’estate del 2011, gli appassionati di UFO e di misteri hanno avuto un bel da fare con la cosiddetta scoperta dell’anomalia del Baltico. Cerchiamo di andare con ordine per spiegare di cosa si tratta anche a chi non ne ha mai sentito parlare.

Durante una ricognizione, una nave specializzata nella ricerca di tesori sommersi, ha individuato una strana formazione a circa 90 metri di profondita’. L’osservazione e’ stata possibile mediante il sonar e per questo motivo le prime foto circolanti sul web avevano una scarsa risoluzione. Perche’ si parla di “strana formazione”? La scoperta e’ stata fatta da un team di svedesi esperti appunto nella ricerca di tesori sommersi e chiamati “Ocean X Team”. Proprio secondo gli scopritori di questa anomalia, la formazione sarebbe simile ad un disco volante probabilmente precipitato nel Mar Baltico. Prima di discutere di queste ipotesi, vi mostro una foto del ritrovamento sottomarino:

Il misterioso oggetto sul fondo del Mar Baltico

Il misterioso oggetto sul fondo del Mar Baltico

Come vedete, e come si legge in tantissimi articoli, la struttura, larga 20 metri, presenterebbe caratteristiche molto strane: una struttura molto regolare, strani corridoi che la attraversano, fori perfettamente circolari sui due lati. Inoltre, il presunto disco volante sarebbe adagiato su una piattaforma, anche questa dalla forma stranamente circolare, larga 180 metri. A complicare maggiormente il mistero, nella parte posteriore del disco sarebbe stata individuata una lunga striscia morfologicamente diversa dal fondale vicino, come a rappresentare la scia lasciata dall’UFO durante la caduta.

La presunta scia dietro l'anomalia

La presunta scia dietro l’anomalia

Per completezza, vi dico anche che quella del disco volante, non e’ l’unica ipotesi fatta circolare negli ultimi tempi. In alcuni casi, si parla di una misteriosa arma nazista risalente alla seconda guerra mondiale. Questa ipotesi sarebbe avvalorata dal fatto che l’oggetto si troverebbe in mezzo alla principali rotte commerciali e che la Germania Nazista ha per lungo tempo difeso quel corridio di mare per l’importanza strategica che rappresentava.

Un’ultima ipotesi vorrebbe invece la struttura di origine umana e lasciata in tempi remoti da una misteriosa civilta’. In questi casi, il mistero sarebbe offerto dall’identificazione della civilta’ stessa. Tornando indietro attraverso le ere geologiche, dobbiamo arrivare piu’ o meno a 20000 anni fa per avere la zona non ricoperta di acqua. In questo periodo pero’, gli esseri umani non potevano certo disporre degli attrezzi per realizzare una simile costruzione e proprio per questo si arriva a parlare di incontri con esseri alieni e di Atlantide.

Insomma, tante ipotesi diverse ma tutte che conducono a qualcosa di misterioso e non compreso.

Cerchiamo a questo punto di capire meglio di cosa si tratta e se, a distanza di quasi due anni, ancora si parla di mistero irrisolto.

Prima di tutto, vi mostro il luogo del ritrovamento:

Il luogo del ritrovamento nel Mar Baltico

Il luogo del ritrovamento nel Mar Baltico

Non pensate che il punto del ritrovamento sia una cosa scontata. Per diverso tempo infatti i membri del Ocean X hanno tenuto nascosto il punto esatto in cui era stato individuato l’oggetto. Si potrebbe pensare che il segreto fosse mantenuto per evitare folle di curiosi intorno al ritrovamento, ma a 90 metri di profondita’ non e’ proprio semplice fare turismo o meglio per poterlo fare sono necessarie attrezzature che normalmente non si dispongono. In realta’, come vedremo nel seguito, il luogo e’ stato mantenuto segreto per tanto tempo per evitare che altri ricercatori potessero analizzare il ritrovamento o comunque trarre conclusioni diverse da quelle del Ocean X Team.

Prima di tutto, ad alimentare il mistero sull’oggetto sul fondo del mare ha contribuito anche la storia stessa del ritrovamento, raccontata in diverse occasioni da Peter Lindberg fondatore dell’Ocean X. Stando alle sue dichiarazioni, molte apparecchiature elettroniche presenti sulla nave sarebbero andate in tilt passando sul punto del ritrovamento. Queste anomalie sarebbero poi scomparse allontanandosi di soli 200 metri dal punto, per poi ripresentarsi non appena si tornava indietro. Proprio queste stranezze avrebbero spinto Lindberg ed i suoi collaboratori a credere all’ipotesi aliena. Ora, capite bene che dichiarando il punto esatto del ritrovamento, chiunque sarebbe potuto andare in zona e verificare di persona la presenza di queste anomalie magnetiche. Forse stiamo ragionando in modo prevenuto, ma prima di pensare questo leggete il seguito della storia.

La storia delle anomalie magnetiche e’ stata richiamata per diversi mesi dell’Ocean X per giustificare la mancanza di foto e riprese ad alta definizione. Molti ricercatori infatti hanno piu’ volte chiesto immagini 3D ad alta risoluzione appunto per verificare le storie raccontate da Lindberg. Queste immagini hanno tardato molto ad arrivare, giustificate dal fatto che la strumentazione impazziva arrivati sul punto.

Ora, come si potrebbe facilmente pensare, basterebbe fare un’immersione, prelevare un campione di questo strano oggetto ed analizzarlo in laboratorio per verificare la sua origine. In realta’, anche per questo si e’ dovuto aspettare moltissimo tempo. L’Ocean X ha infatti atteso piu’ di un anno per prelevare un campione di materiale e farlo analizzare. Nel frattempo pero’ ha realizzato un documentario sul ritrovamento venduto a diverse emittenti private, i membri del gruppo hanno rilasciato interviste ovunque e partecipato a tantissime tramissioni, insomma, da perfetti sconosciuti, Lindberg ed i suoi collaboratori sono diventati delle star.

Una delle tante immagini create per mostrare la somiglianza con la Millenium Falcon

Una delle tante immagini create per mostrare la somiglianza con la Millenium Falcon

Le poche foto fatte circolare sul web, presentavano, a detta di molti esperti che le hanno analizzate, una bassisima risoluzione e diverse modificazioni fatte in origine dall’Ocean X. Questi particolari rendevano l’analisi delle prove fotografiche estremamente complessa e ovviamente non risolutiva. Inoltre, come dichiarato da diverse fonti, molte immagini erano chiaramente false e create appositamente per far assomigliare ancora di piu’ l’anomalia all’astronave “Millenium Falcon” di Guerre Stellari e dunque avvalorare l’origine aliena del ritrovamento. Affermazioni di questo tipo, oltre che dalla rete, sono state fatte da Dan Fornari, un geologo del Woods Hole Oceanographic Institution in Massachusetts e da Jonathan Hill, un ricercatore del Mars Space Flight dell’Arizona State University.

Detto questo, parliamo quindi delle analisi di laboratorio sul campione di materiale. Queste analisi sono state condotte da Volker Brüchert, un professore associato di geologia presso l’Universita’ di Stoccolma, a cui Lindberg ha portato diverse rocce prelevate dall’anomalia del Baltico. Proprio Lindberg, avrebbe affermato in varie interviste che Brüchert era completamente sorpreso dei risultati delle analisi. I materiali estratti non erano di origine vulcanica e probabilmente neanche di origine terrestre. In questo caso era dunque lecito parlare di disco volante, o, in alternativa, di meteorite precipitato nel Baltico.

A seguito di queste affermazioni, lo stesso Brüchert rilascio’ delle interviste ai media svedesi per smentire pero’ quanto affermato da Lindberg. Secondo il ricercatore le rocce, perche’ di questo si tratta, sono in realta’ arenarie, basalti e gneiss. La presenza di queste rocce e’ perfettamente spiegabile se consideriamo che il mar Baltico e’ una vasta valle glaciale in cui si sono formati e sciolti ghiacci durante diversi periodi. Proprio il movimento dei ghiacci sarebbe in grado di trasportare rocce di origine diversa, tra cui anche materiali vulcanici. Inoltre, il vasto basamento di roccie ritrovato in prossimita’ dell’anomalia, e che spesso viene mostrato insieme a questa per la sua strana forma, e’ in realta’ un cuscino di basalto come ce ne sono diversi in quella zona di mare.

Perche’ dunque Lindberg non ammette l’errore e continua imperterrito a rilasciare interviste in giro per il mondo? Purtroppo la risposta e’ molto semplice e simile a tante altre viste in questo blog. Come anticipato prima, la storia dell’anomalia del Baltico ha reso famoso in tutto il mondo l’Ocean X Team. Le interviste, il documentario e le trasmissioni TV hanno fruttato molti soldi a Lindberg e collaboratori. Inoltre, si stanno organizzando delle costose spedizioni a bordo di un sottomarino per visitare l’anomalia sul fondo del Baltico. Capite bene che il giro d’affari intorno a questo pezzo di roccia e’ veramente enorme.

Concludendo, l’anomalia del Baltico, di cui molto si e’ parlato durante l’estate del 2011, si e’ invece rivelata una bufala. Non esiste nessuna connessione con civilta’ aliene, misteriose armi naziste o meteoriti caduti sulla Terra. Quella che ha alimentato per molto tempo il mistero su questo oggetto e’ stata in realta’ la scarsita’ di informazioni date dagli scopritori dell’anomalia. Come visto, questa poca informazione e’ in realta’ un strumento utilizzzato per tenere alta l’attenzione e per massimizzare i profitti economici dell’Ocean X Team. Al solito, mistero o no, l’importante e’ guadagnarci bene!

 

Psicosi 2012. Le risposte della scienza”, un libro di divulgazione della scienza accessibile a tutti e scritto per tutti. Matteo Martini, Armando Curcio Editore.

 

UFO esplode a Sacramento

8 Gen

Alla questione avvistamenti UFO abbiamo dedicato qualche post in passato:

Lens Flare e avvistamenti UFO

Palla di fuoco nei cieli del Sud Italia

Misteriose sfere di luce

Curiosity e gli UFO

Curiosity e gli UFO: dopo le foto, il video

Come sapete, tolti i video spudoratamente falsi che ogni giorno vengono caricati su youtube, a volte e’ interessante commentare queste testimonianze dal momento che ci permettono di esplorare concetti scientifici poco conosciuti.

Proprio per questo motivo, ha attirato la mia attenzione un video di pochi giorni fa, ripreso a Sacramento in California, in cui si vede un presunto UFO nell’alta atmosfera che improvvisamente esplode. Il video in questione sarebbe stato ripreso con un telescopio da un giovane astrofilo americano.

Attenzione, sicuramente il fatto che il testimone sia un astrofilo potrebbe essere un sigillo di garanzia. Un appassionato di stelle dovrebbe conoscere, piu’ o meno, gli oggetti che puo’ osservare in cielo e dunque escludere cose note che potrebbero trarre in inganno non esperti del settore.

Premesso questo, vi riporto il video:

La immagini iniziali sono riprese addirittura da un network americano e inizialmente viene anche intervistato l’astrofilo che per primo ha osservato l’oggetto. Il presunto UFO sarebbe formato da un oggetto centrale e da un altro puntino, molto piu’ piccolo, che, a detta anche dell’astrofilo, sembrerebbe ruotare intorno al corpo centrale. Improvvisamente, come si vede dalla immagini, l’oggetto centrale esplode.

Di cosa si tratta? E’ possibile che si tratti realmente di un UFO?

Ovviamente, ma questo gia’ lo sapevate, la risposta e’ NO.

Cerchiamo di capire il perche’.

Con ottima probabilita’, il corpo centrale che si vede nelle immagini e’ un pallone sonda. Di cosa si tratta? Un pallone sonda e’ uno speciale pallone aerostatico di dimensioni ridotte, che viene utilizzato per portare della strumentazione in quota con lo scopo di fornire dati utili. Una delle applicazioni principali di questi oggetti e’ per misure meteorologiche, permettendo infatti di misurare i parametri atmosferici direttamente in quota. L’elettronica con cui vengono equipaggiati e’ ovviamente corredata di un GPS per seguirne gli spostamenti e di un sistema di trasmissione dei dati,  in genere via sms o via onde radio.

Non ci credete? Su youtube, ma questo ovviamente i tanti siti che ne parlano non ve lo dicono, e’ stato caricato solo pochi giorni dopo, un altro video che mostra l’esplosione di un pallone sonda e viene fatto il confronto diretto proprio con il caso di Sacramento. Ecco il video, giudicate voi:

Cosa ne pensate? Dal mio punto di vista, le due esplosioni sono completamente paragonabili.

Schema di massima di un pallone sonda

Schema di massima di un pallone sonda

Non contenti, cerchiamo di capire meglio come funziona un pallone sonda per spiegare il comportamento di questi oggetti dopo il lancio.

Il pallone aerostatico viene costruito in genere con lattice o cloroprene, un particolare tipo di gomma sintetica, e riempito con Elio. Questo gas, piu’ leggero dell’aria, consente, grazie alla differenza di peso, al pallone di salire in quota.

Come vedete dal disegno riportato, al pallone viene collegato un generatore solare, un pacco batterie, l’elettronica di lettura e un riflettore radar. Quest’ultimo, in particolare, e’ formato da una serie di specchi collegati tra loro ed e’ utile per aumentare l’eco dei segnali. Ovviamente, gli specchi possono molto facilmente riflettere anche la luce solare o la luce di led o spie che sono poste sull’elettronica.

Molto spesso, visti da terra, i palloni sonda risultano molto luminosi proprio grazie alla presenza di questo riflettore.

Come funziona un pallone sonda? Detto in parole povere, anche se i materiali sono diversi, si comporta esattamente come un palloncino che lasciate libero di volare. Sicuramente, molte volte da bambini vi sarete chiesti che fine fanno i palloncini che lasciate volare. Il pallone sonda, cosi’ come i comuni palloncini, sono riempiti di elio. Man mano che aumenta la quota, la pressione dell’aria diminuisce e, per compensazione, aumenta quella interna del pallone. Arrivati ad una certa quota, il materiale che costituisce il pallone non e’ in grado di reggere la pressione e scoppia in volo.

Questa e’ generalmente la fine che fanno sia i palloni sonda che i palloncini, questi ultimi in particolare scoppieranno ad altezze nettamente inferiori a causa dei materiali meno resistenti.

Che altezza puo’ raggiungere un pallone sonda? Ovviamente questo valore dipende da molti parametri, oltre a quelli costruttivi, sara’ funzione anche della quantita’ di elio che pompate all’interno. Comunque, per darvi un’idea, l’esplosione, e dunque la fine della misura, arriva generalmente intorno ai 25000-30000 metri da Terra. Guarda caso, proprio piu’ o meno l’altezza a cui l’astrofilo americano dice di aver filmato l’esplosione dell’UFO.

A questo punto pero’, potrebbe sorgere una domanda lecita. Se la fine della missione e’ decretata dall’esplosione della sonda, e dunque dalla sua perdita, quanti palloni vengono lanciati in atmosfera? In realta’, questo genere di lanci vengono fatti tutti i giorni, anche per scopi diversi da quelli metereologici.

E’ vero che una volta lanciato, il pallone e’ destinato a perdersi, ma il costo di questo “vettore” atmosferico e’ veramente irrisorio. A riprova di questo, vi segnalo un sito molto interessante:

Vendita Palloni Sonda

Avete visto i prezzi? Come vedete il tipo di pallone da prendere dipende dal peso che volete trasportare. Parliamo comunque di cifre che vanno dai 5 euro per quelli meteo, fino ai 150 per quelli in grado di portare in quota fino a 2 Kg di carico. Possiamo definirli prezzi davvero popolari e sostenibili pensando di dover perdere il pallone dopo il lancio.

A questo punto, non mi sembra che ci sia assolutamente nulla da aggiungere sul video di Sacramento. Come anticipato, e’ stato utile discuterne dal momento che ci ha permesso di affrontare temi interessanti e legati alle misurazioni in atmosfera tramite palloni sonda.

 

 

 

Psicosi 2012. Le risposte della scienza”, un libro di divulgazione della scienza accessibile a tutti e scritto per tutti. Matteo Martini, Armando Curcio Editore.

Nibiru e la deviazione delle Pioneer

18 Set

Ho ricevuto via mail la richiesta di un utente interessato alla deviazione delle sonde Pioneer alla perifieria del Sistema Solare, e se questa rappresenta, come dichiarato su alcuni siti, una prova dell’esistenza di Nibiru.

Dell’esistenza o meno di Nibiru ne abbiamo gia’ parlato abbondantemente su questo blog. Trovate alcuni esempi in questi post:

Evidenze di un decimo pianeta?

La NASA torna a parlare di Nibiru

Nibiru e’ vicino, la prova delle orbite

Tornando al problema in questione, cerchiamo di andare con ordine e di mettere a fuoco prima di tutto il problema delle Pioneer.

Le sonde Pioneer 10 e 11 vennero lanciate nello spazio negli anni ’70. Le traiettorie delle due sonde sono opposte rispetto alla Terra e hanno seguito il percorso mostrato in figura:

Le traiettorie delle sonde Pioneer nel sistema solare.

Tralasciamo in questa trattazione l’importante contributo all’astronomia e all’astrofisica apportato da queste missioni, e concentriamoci sul problema in questione.

Come si vede dall’immagine, dopo un percorso molto lungo, le due sonde si trovano attualmente nella zona periferica del nostro Sistema Solare, oltre l’orbita di Plutone. Gia’ dal 1998, si e’ osservata una deviazione delle due sonde rispetto alla posizione calcolata mediante algoritmi di simulazione.

Cosa significa questo?

Per dirla in parole molto semplici, le due sonde non si trovano nel punto in cui dovrebbero essere o comunque dove ci aspettiamo che fossero. In particolare, la posizione delle sonde risulta piu’ arretrata di circa 400000 Km, come se una forza non considerata frenasse il loro movimento. Solo per darvi qualche numero, dai dati sperimentali si e’ calcolata una decelarazione di 8.74 x 10^(-10) m/s^2, cioe’ zero virgola, nove zeri, 874 metri su secondo al quadrato. Per i non esperti in questo campo, pensate che l’accelerazione impressa dall’attrazione terrestre su un corpo in caduta libera e’ di circa 9,8 m/s^2, cioe’ circa dieci miliardi di volte piu’ grande.

Il numero calcolato e’ dunque piccolissimo, ma il lungo percorso fatto dalle sonde, comporta la deviazione che abbiamo visto, che e’ tutt’altro che trascurabile (400000 Km).

Questa deviazione, nota anche come “effetto pioneer”, e’ rimasta inspiegabile per diversi anni e diverse ipotesi sono state fatte a riguardo. Dal punto di vista scientifico, si e’ pensato addirittura a delle variazioni della legge di gravitazione universale o ad un eccesso di materia oscura nelle zone periferiche. Tutte ipotesi che non hanno trovato conferma dai dati sperimentali.

Come potete facilmente immaginare, anche in questo caso e’ stato chiamato in causa il pianeta Nibiru. L’interazione gravitazionale di questo pianeta sarebbe in grado di deviare considerevolmente la traiettoria delle sonde e questo effetto implicherebbe la presenza del pianeta all’interno del nostro Sistema Solare. Quest’ultima considerazione nasce dal fatto che, affiche’ Nibiru possa rallentare le sonde, la sua posizione deve essere nella zona di spazio tra il Sole e la Pioneer, dunque gia’ all’interno del sistema solare.

Da dove nascono queste considerazioni? Quando si calcola la traiettoria di un oggetto come una sonda, si tiene conto delle interazioni di tutti i corpi circostanti. Se si evidenzia una differenza tra il percorso osservato e quello calcolato, significa che non abbiamo considerato un effetto nel nostro algoritmo. Capite dunque l’importanza di questo effetto e il perche’ la scienza si e’ interrogata cosi’ a lungo su questa deviazione. La comprensione dell’effetto pioneer avrebbe potuto aprire la strada a nuove conoscenze sul nostro universo e sulla sua struttura.

Una prima spiegazione di questo effetto, e’ stata data solo nel 2011 da un gruppo di ricercatori dell’Istituto del Plasma e della Fusione Nucleare di Lisbona. Secondo questa spiegazione, la decelerazione delle sonde pioneer sarebbe causata da effetti termici sull’antenna paraboloide. Cerchiamo di spiegare meglio.

Le pioneer viaggiano nello spazio in assetto giroscopico. Una grossa antenna di 2,7 metri di diametro consentiva alle sonde di inviare segnali a Terra. Questa antenna e’ sempre rivolta verso la Terra e dunque, considerando la posizione delle sonde, verso il Sole.

Disegno della Pioneer 10 con l’antenna paraboloide.

Durante il percorso, il calore dissipato dalla strumentazione elettronica di bordo, viene in parte riflesso dall’antenna posteriore delle sonde, fornendo una forza debole e costante nel verso opposto del moto. Il risultato di questa componente e’ dunque una decelerazione delle sonde.

Modello semplificato degli effetti termici

Questi effetti termici non erano stati calcolati nel modello originale del moto delle Pioneer e proprio per questo motivo si e’ evidenziata la discrepanza dalla traiettoria osservata.

Come si vede in figura, la dissipazione del calore avviene in parte attraverso l’antenna. La forma e la struttura di quest’ultima crea una sorta di propulsione sulla parte posteriore della parabola. Dalle considerazioni fatte sulla direzione dell’antenna, questa propulsione comporta una spinta nella direzione opposta del moto, dunque una decelarazione.

Per completezza di informazione, vi riporto anche il link dove trovate l’articolo originale del 2011:

Modelling the reflective thermal contribution to the acceleration of the Pioneer

Le conclusioni dell’articolo affermano che l’effetto apportato dalla dissipazione termica del calore e’ del tutto compatibile con i valori di decelarazione misurati.

Nonostante queste conclusioni, a causa della difficolta’ nel quantificare l’effetto termico, alcune fonti, soprattutto di stampo catastrofista, hanno continuato a negare questa ipotesi avvalorando l’ipotesi Nibiru per la deviazione delle Pioneer.

A sostegno dell’effetto termico pero’, e’ stato pubblicato un nuovo articolo nel 2012 sulla rivista scientifica Physical Review Letters. In questo caso, per dimostrare l’importanza della dissipazione del calore attraverso l’antenna e’ stata fatta una vera e propria simulazione ingegneristica della Pioneer. Nel calcolo le equazioni sui parametri termici sono state risolte utilizzando i dati delle posizioni delle sonde come condizioni al contorno.

In questo caso, si osserva come, inserendo la dissipazione anisotropa del calore attraverso l’antenna, il modello fornisce un risultato del tutto compatibile con le attuali posizioni delle sonde, dunque non vi sono piu’ le discrepanze da cui siamo partiti.

Concludendo, l’effetto Pioneer, cioe’ la discrepanza della posizione delle sonde rispetto al modello utilizzato, puo’ essere facilmente corretta tenendo conto della dissipazione del calore prodotto dalla strumentazione attraverso l’antenna paraboloide.

Non vi e’ dunque nessun effetto di nuova fisica o nessun contributo da parte di Nibiru di cui tener conto in questo calcolo. Anche in questo caso, possiamo smentire questa ipotesi come prova dell’esistenza di questo decimo pianeta.

Come vedete, partendo dalle ipotesi sul 2012, e’ possibile esplorare e discutere argomenti molto attuali e la cui divulgazione spesso e’ lasciata a siti dichiaratamente catastrofisti. Per continuare a ragionare su questi argomenti, cercando di fare chiarezza in modo semplice ed accessibile, non perdete in libreria “Psicosi 2012. Le risposte della scienza”.