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17 equazioni che hanno cambiato il mondo

26 Ago

Nel 2013 Ian Stewart, professore emerito di matematica presso l’università di Warwick, ha pubblicato un libro molto interessante e che consiglio a tutti di leggere, almeno per chi non ha problemi con l’inglese. Come da titolo di questo articolo, il libro si intitola “Alla ricerca dello sconosciuto: 17 equazioni che hanno cambiato il mondo”.

Perchè ho deciso di dedicare un articolo a questo libro?

In realtà, il mio articolo, anche se, ripeto, è un testo che consiglio, non vuole essere una vetrina pubblicitaria a questo testo, ma l’inizio di una riflessione molto importante. Queste famose 17 equazioni che, secondo l’autore, hanno contribuito a cambiare il mondo che oggi conosciamo, rappresentano un ottimo punto di inizio per discutere su alcune importanti relazioni scritte recentemente o, anche, molti secoli fa.

Come spesso ripetiamo, il ruolo della fisica è quello di descrivere il mondo, o meglio la natura, che ci circonda. Quando i fisici fanno questo, riescono a comprendere perchè avviene un determinato fenomeno e sono altresì in grado di “predirre” come un determinato sistema evolverà nel tempo. Come è possibile questo? Come è noto, la natura ci parla attraverso il linguaggio della matematica. Modellizare un sistema significa trovare una o più equazioni che  prendono in considerazione i parametri del sistema e trovano una relazione tra questi fattori per determinare, appunto, l’evoluzione temporale del sistema stesso.

Ora, credo che sia utile partire da queste 17 equzioni proprio per riflettere su alcuni importanti risultati di cui, purtroppo, molti ignorano anche l’esistenza. D’altro canto, come vedremo, ci sono altre equazioni estremanete importanti, se non altro per le loro conseguenze, che vengono studiate a scuola senza però comprendere la potenza o le implicazioni che tali risultati hanno sulla natura.

Senza ulteriori inutili giri di parole, vi presento le 17 equazioni, ripeto secondo Stewart, che hanno cambiato il mondo:

Le 17 equazioni che hanno cambiato il mondo secondo Ian Stewart

Le 17 equazioni che hanno cambiato il mondo secondo Ian Stewart

Sicuramente, ognuno di noi, in base alla propria preparazione, ne avrà riconosciute alcune.

Passiamo attraverso questa lista per descrivere, anche solo brevemente, il significato e le implicazioni di questi importanti risultati.

Teorema di Pitagora

Tutti a scuola abbiamo appreso questa nozione: la somma dell’area dei quadrati costruiti sui cateti, è pari all’area del quadrato costruito sull’ipotenusa. Definizione semplicissima, il più delle volte insegnata come semplice regoletta da tenere a mente per risolvere esercizi. Questo risultato è invece estremamente importante e rappresenta uno dei maggiori assunti della geometria Euclidea, cioè quella che tutti conoscono e che è relativa al piano. Oltre alla tantissime implicazioni nello spazio piano, la validità del teorema di Pitagora rappresenta una prova indiscutibile della differenza tra spazi euclidei e non. Per fare un esempio, questo risultato non è più vero su uno spazio curvo. Analogamente, proprio sfruttando il teorema di Pitagora, si possono fare misurazioni sul nostro universo, parlando proprio di spazio euclideo o meno.

 

Logaritmo del prodotto

Anche qui, come riminescenza scolastica, tutti abbiamo studiato i logaritmi. Diciamoci la verità, per molti questo rappresentava un argomento abbastanza ostico e anche molto noioso. La proprietà inserita in questa tabella però non è affatto banale e ha avuto delle importanti applicazioni prima dello sviluppo del calcolo informatizzato. Perchè? Prima dei moderni calcolatori, la trasformazione tra logaritmo del prodotto e somma dei logaritmi, ha consentito, soprattutto in astronomia, di calcolare il prodotto tra numeri molto grandi ricorrendo a più semplici espedienti di calcolo. Senza questa proprietà, molti risultati che ancora oggi rappresentano basi scientifiche sarebbero arrivati con notevole ritardo.

 

Limite del rapporto incrementale

Matematicamente, la derivata di una funzione rappresenta il limite del rapporto incrementale. Interessante! Cosa ci facciamo? La derivata di una funzione rispetto a qualcosa, ci da un’indicazione di quanto quella funzione cambi rispetto a quel qualcosa. Un esempio pratico è la velocità, che altro non è che la derivata dello spazio rispetto al tempo. Tanto più velocemente cambia la nostra posizione, tanto maggiore sarà la nostra velocità. Questo è solo un semplice esempio ma l’operazione di derivata è uno dei pilastri del linguaggio matematico utilizzato dalla natura, appunto mai statica.

 

Legge di Gravitazione Universale

Quante volte su questo blog abbiamo citato questa legge. Come visto, questa importante relazione formulata da Newton ci dice che la forza agente tra due masse è direttamente proporzionale al prodotto delle masse stesse e inversamente proporzionale al quadrato della loro distanza. A cosa serve? Tutti i corpi del nostro universo si attraggono reciprocamente secondo questa legge. Se il nostro Sistema Solare si muove come lo vediamo noi, è proprio per il risultato delle mutue forze agenti sui corpi, tra le quali quella del Sole è la componente dominante. Senza ombra di dubbio, questo è uno dei capisaldi della fisica.

 

Radice quadrata di -1

Questo è uno di quei concetti che a scuola veniva solo accennato ma che poi, andando avanti negli studi, apriva un mondo del tutto nuovo. Dapprima, siamo stati abituati a pensare ai numeri naturali, agli interi, poi alle frazioni infine ai numeri irrazionali. A volte però comparivano nei nostri esercizi le radici quadrate di numeri negativi e semplicemente il tutto si concludeva con una soluzione che “non esiste nei reali”. Dove esiste allora? Quei numeri non esistono nei reali perchè vivono nei “complessi”, cioè in quei numeri che arrivano, appunto, da radici con indice pari di numeri negativi. Lo studio dei numeri complessi rappresenta un importante aspetto di diversi settori della conoscenza: la matematica, l’informatica, la fisica teorica e, soprattutto, nella scienza delle telecomunicazioni.

 

Formula di Eulero per i poliedri

Questa relazione determina una correlazione tra facce, spigoli e vertici di un poliedro cioè, in parole semplici, della versione in uno spazio tridimensionale dei poligoni. Questa apparentemente semplice relazione, ha rappresentato la base per lo sviluppo della “topologia” e degli invarianti topologici, concetti fondamentali nello studio della fisica moderna.

 

Distribuzione normale

Il ruolo della distribuzione normale, o gaussiana, è indiscutibile nello sviluppo e per la comprensione dell’intera statistica. Questo genere di curva ha la classica forma a campana centrata intorno al valore di maggior aspettazione e la cui larghezza fornisce ulteriori informazioni sul campione che stiamo analizzando. Nell’analisi statistica di qualsiasi fenomeno in cui il campione raccolto sia statisticamente significativo e indipendente, la distribuzione normale ci fornisce dati oggettivi per comprendere tutti i vari trend. Le applicazioni di questo concetto sono praticametne infinite e pari a tutte quelle situazioni in cui si chiama in causa la statistica per descrivere un qualsiasi fenomeno.

 

Equazione delle Onde

Questa è un’equazione differenziale che descrive l’andamento nel tempo e nello spazio di un qualsiasi sistema vibrante o, più in generale, di un’onda. Questa equazione può essere utilizzata per descrivere tantissimi fenomeni fisici, tra cui anche la stessa luce. Storicamente poi, vista la sua importanza, gli studi condotti per la risoluzione di questa equazione differenziale hanno rappresentato un ottimo punto di partenza che ha permesso la risoluzione di tante altre equazioni differenziali.

 

Trasformata di Fourier

Se nell’equazione precedente abbiamo parlato di qualcosa in grado di descrivere le variazioni spazio-temporali di un’onda, con la trasformata di Fourier entriamo invece nel vivo dell’analisi di un’onda stessa. Molte volte, queste onde sono prodotte dalla sovrapposizione di tantissime componenti che si sommano a loro modo dando poi un risultato finale che noi percepiamo. Bene, la trasformata di Fourier consente proprio di scomporre, passatemi il termine, un fenomeno fisico ondulatorio, come ad esempio la nostra voce, in tante componenti essenziali più semplici. La trasformata di Fourier è alla base della moderna teoria dei segnali e della compressione dei dati nei moderni cacolatori.

 

Equazioni di Navier-Stokes

Prendiamo un caso molto semplice: accendiamo una sigaretta, lo so, fumare fa male, ma qui lo facciamo per scienza. Vedete il fumo che esce e che lentamente sale verso l’alto. Come è noto, il fumo segue un percorso molto particolare dovuto ad una dinamica estremamente complessa prodotta dalla sovrapposizione di un numero quasi infinito di collissioni tra molecole. Bene, le equazioni differenziali di Navier-Stokes descrivono l’evoluzione nel tempo di un sistema fluidodinamico. Provate solo a pensare a quanti sistemi fisici includono il moto di un fluido. Bene, ad oggi abbiamo solo delle soluzioni approssimate delle equazioni di Navier-Stokes che ci consentono di simulare con una precisione più o meno accettabile, in base al caso specifico, l’evoluzione nel tempo. Approssimazioni ovviamente fondamentali per descrivere un sistema fluidodinamico attraverso simulazioni al calcolatore. Piccolo inciso, c’è un premio di 1 milione di dollari per chi riuscisse a risolvere esattamente le equazioni di Navier-Stokes.

 

Equazioni di Maxwell

Anche di queste abbiamo più volte parlato in diversi articoli. Come noto, le equazioni di Maxwell racchiudono al loro interno i più importanti risultati dell’elettromagnetismo. Queste quattro equazioni desrivono infatti completamente le fondamentali proprietà del campo elettrico e magnetico. Inoltre, come nel caso di campi variabili nel tempo, è proprio da queste equazioni che si evince l’esistenza di un campo elettromagnetico e della fondamentale relazione tra questi concetti. Molte volte, alcuni soggetti dimenticano di studiare queste equazioni e sparano cavolate enormi su campi elettrici e magnetici parlando di energia infinita e proprietà che fanno rabbrividire.

 

La seconda legge della Termodinamica

La versione riportata su questa tabella è, anche a mio avviso, la più affascinante in assoluto. In soldoni, la legge dice che in un sistema termodinamico chiuso, l’entropia può solo aumentare o rimanere costante. Spesso, questo che è noto come “principio di aumento dell’entropia dell’universo”, è soggetto a speculazioni filosofiche relative al concetto di caos. Niente di più sbagliato. L’entropia è una funzione di stato fondamentale nella termodinamica e il suo aumento nei sistemi chiusi impone, senza mezzi termini, un verso allo scorrere del tempo. Capite bene quali e quante implicazioni questa legge ha avuto non solo nella termodinamica ma nella fisica in generale, tra cui anche nella teoria della Relatività Generale di Einstein.

 

Relatività

Quella riportata nella tabella, se vogliamo, è solo la punta di un iceberg scientifico rappresentato dalla teoria della Relatività, sia speciale che generale. La relazione E=mc^2 è nota a tutti ed, in particolare, mette in relazione due parametri fisici che, in linea di principio, potrebbero essere del tutto indipendenti tra loro: massa ed energia. Su questa legge si fonda la moderna fisica degli acceleratori. In questi sistemi, di cui abbiamo parlato diverse volte, quello che facciamo è proprio far scontrare ad energie sempre più alte le particelle per produrne di nuove e sconosciute. Esempio classico e sui cui trovate diversi articoli sul blog è appunto quello del Bosone di Higgs.

 

Equazione di Schrodinger

Senza mezzi termini, questa equazione rappresenta il maggior risultato della meccanica quantistica. Se la relatività di Einstein ci spiega come il nostro universo funziona su larga scala, questa equazione ci illustra invece quanto avviene a distanze molto molto piccole, in cui la meccanica quantistica diviene la teoria dominante. In particolare, tutta la nostra moderna scienza su atomi e particelle subatomiche si fonda su questa equazione e su quella che viene definita funzione d’onda. E nella vita di tutti i giorni? Su questa equazione si fondano, e funzionano, importanti applicazioni come i laser, i semiconduttori, la fisica nucleare e, in un futuro prossimo, quello che indichiamo come computer quantistico.

 

Teorema di Shannon o dell’informazione

Per fare un paragone, il teorema di Shannon sta ai segnali così come l’entropia è alla termodinamica. Se quest’ultima rappresenta, come visto, la capicità di un sistema di fornire lavoro, il teorema di Shannon ci dice quanta informazione è contenuta in un determinato segnale. Per una migliore comprensione del concetto, conviene utilizzare un esempio. Come noto, ci sono programmi in grado di comprimere i file del nostro pc, immaginiamo una immagine jpeg. Bene, se prima questa occupava X Kb, perchè ora ne occupa meno e io la vedo sempre uguale? Semplice, grazie a questo risultato, siamo in grado di sapere quanto possiamo comprimere un qualsiasi segnale senza perdere informazione. Anche per il teorema di Shannon, le applicazioni sono tantissime e vanno dall’informatica alla trasmissione dei segnali. Si tratta di un risultato che ha dato una spinta inimmaginabile ai moderni sistemi di comunicazione appunto per snellire i segnali senza perdere informazione.

 

Teoria del Caos o Mappa di May

Questo risultato descrive l’evoluzione temporale di un qualsiasi sistema nel tempo. Come vedete, questa evoluzione tra gli stati dipende da K. Bene, ci spossono essere degli stati di partenza che mplicano un’evoluzione ordinata per passi certi e altri, anche molto prossimi agli altri, per cui il sistema si evolve in modo del tutto caotico. A cosa serve? Pensate ad un sistema caotico in cui una minima variazione di un parametro può completamente modificare l’evoluzione nel tempo dell’intero sistema. Un esempio? Il meteo! Noto a tutti è il cosiddetto effetto farfalla: basta modificare di una quantità infinitesima un parametro per avere un’evoluzione completamente diversa. Bene, questi sistemi sono appunto descritti da questo risultato.

 

Equazione di Black-Scholes

Altra equazione differenziale, proprio ad indicarci di come tantissimi fenomeni naturali e non possono essere descritti. A cosa serve questa equazione? A differenza degli altri risultati, qui entriamo in un campo diverso e più orientato all’uomo. L’equazione di Black-Scholes serve a determinare il prezzo delle opzioni in borsa partendo dalla valutazione di parametri oggettivi. Si tratta di uno strumento molto potente e che, come avrete capito, determina fortemente l’andamento dei prezzi in borsa e dunque, in ultima analisi, dell’economia.

 

Bene, queste sono le 17 equazioni che secondo Stewart hanno cambiato il mondo. Ora, ognuno di noi, me compreso, può averne altre che avrebbe voluto in questa lista e che reputa di fondamentale importanza. Sicuramente questo è vero sempre ma, lasciatemi dire, questa lista ci ha permesso di passare attraverso alcuni dei più importanti risultati storici che, a loro volta, hanno spinto la conoscenza in diversi settori. Inoltre, come visto, questo articolo ci ha permesso di rivalutare alcuni concetti che troppo spesso vengono fatti passare come semplici regolette non mostrando la loro vera potenza e le implicazioni che hanno nella vita di tutti i giorni e per l’evoluzione stessa della scienza.

 

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Ma questa crema solare …. come dobbiamo sceglierla?

30 Giu

Sempre alla nostra sezione:

– Hai domande o dubbi?

va il merito, ma ovviamente tutto il merito va a voi che rendete questo blog vivo ed interessante, di aver richiamato da una nostra cara lettrice una nuova interessantissima domanda. Questa volta però, vi preannuncio che l’argomento scelto è molto complesso nella sua apparente semplicità, oltre ad essere assolutamente in linea con il periodo dell’anno. Come potete leggere, la domanda riguarda le creme solari e tutte le leggende che girano, non solo in rete, e che da sempre abbiamo ascoltato.

Come anticipato, non è semplice cercare di trovare la giusta strada nella giungla di informazioni disponibili. Se provate a confrontare dieci fonti, troverete dieci versioni diverse: le creme solari devono essere usate. No, non devo essere usate. Il sole è malato. Il sole provoca il cancro. No, sono le creme che creano il cancro alla pelle. Insomma, di tutto di più, e non pensate di rifuggire nella frase: “mi metto sotto l’ombrellone”, perché, come vedremo, anche questo lascia filtrare alcune componenti dei raggi solari e, sempre scimmiottando quello che trovate in rete, vi può venire il cancro. Allora sapete che c’è? Me ne sto chiuso dentro casa fino a settembre! Va bene così? No, sicuramente non prendi il sole (e quindi non ti viene il cancro), ma non ti si fissa la vitamina D e quindi potresti soffrire di rachitismo.

Insomma, come la mettete la mettete, sbagliate sempre. Cosa fare allora? Sicuramente, in linea con il nostro stile, quello che possiamo fare è “andare con ordine” e provare a verificare quali e quante di queste affermazioni corrispondono al vero. Solo in questo modo potremo capire quale crema solare scegliere, come applicarla e quali sono i rischi che possiamo correre con l’esposizione al Sole.

Prima di tutto, non dobbiamo considerare i raggi solari come un’unica cosa, ma è necessario distinguere la radiazione che ci arriva. Questa suddivisione è essenziale perché l’interazione della nostra pelle con i fotoni emessi dal sole non è sempre uguale, ma dipende dalla lunghezza d’onda. Bene, in tal senso, possiamo distinguere la parte dei raggi solari che ci interessa in tre grandi famiglie, in particolare, per i nostri scopi, ci concentreremo sulla parte ultravioletta dello spettro, che è quella di interesse in questo campo.

La parte cosiddetta ultravioletta è quella con lunghezza d’onda immediatamente inferiore alla parte visibile. Normalmente, questa parte dello spettro viene divisa in UVA, con lunghezza d’onda tra 400 e 315 nanometri, UVB, tra 315 e 280 nanometri e UVC, tra 280 e 100 nanometri. Quando parliamo di tintarella o di danni provocati dalla radiazione solare, dobbiamo riferirci alla parte UV ed in particolare a queste 3 famiglie.

Bene, la componente più pericolosa della radiazione solare è quella degli UVC cioè con lunghezza d’onda minore. Perché? Sono radiazioni utilizzate come germicidi, ad esempio nella potabilizzazione dell’acqua, a causa del loro potere nel modificare il DNA e l’RNA delle cellule. Per nostra fortuna, questa componente della radiazione è completamente bloccata dallo strato di ozono che circonda la Terra. Di questo, e soprattutto dello stato di salute dello strato di ozono, abbiamo parlato in un post specifico:

– Che fine ha fatto il buco dell’ozono?

Per la parte più pericolosa dello spettro, quella degli UVC, possiamo dunque tirare un respiro di sollievo. Vediamo le altre due componenti.

Gli UVA, a causa della lunghezza d’onda maggiore, penetrano più a fondo nella pelle, promuovendo il rilascio di melanina e dunque l’abbronzatura. Che significa? Molto semplice, quando prendiamo il sole, la nostra pelle reagisce cercando di proteggersi autonomamente appunto rilasciando melanina. Questa sostanza serve a far scurire gli strati più superficiali della pelle appunto come protezione dai raggi. Riguardo ala dannosità? Su questo punto, purtroppo, non si ha ancora chiarezza. Per prima cosa, dobbiamo dire che l’esposizione crea meno danni a tempi brevi rispetto, come vedremo, a quella agli UVB. Questa componente però è una delle maggiori sospettate per i danni a lungo termine, connessi anche con l’insorgere di tumori alla pelle, e provoca un invecchiamento veloce della pelle. Gli UVA sono molto conosciuti da coloro che frequentano i centri estetici per sottoporsi alle “lampade”. Questi sistemi infatti hanno sistemi di illuminazione concentrati negli UVA appunto per promuovere un’abbronzatura rapida.

Per quanto riguarda gli UVB invece, si tratta della radiazione più pericolosa nell’immediato. Questa componente dello spettro solare infatti, è responsabile della classica “scottatura”, in alcuni casi vera e propria ustione, provocata da un’esposizione prolungata al Sole. Anche se potenzialmente dannosa, la radiazione UVB è comunque importante per il nostro organismo perché promuove la sintesi della vitamina D. Come è noto, in assenza di questo fondamentale processo possono insorgere casi di rachitismo, soprattutto in soggetti non ancora adulti.

Bene, abbiamo capito come è divisa la radiazione ultravioletta del sole e abbiamo finalmente capito a cosa si riferiscono tutti questi nomi che siamo soliti ascoltare o leggere riguardo la tintarella.

Passiamo dunque a parlare di creme solari. Cosa dobbiamo cercare? Perché? Quali sono i prodotti più indicati?

Ripensando a quanto scritto, viene evidente pensare che una buona crema debba proteggerci dagli UVA e UVB poiché per gli UVC ci pensa lo strato di ozono. Primo pensiero sbagliato! Quando acquistiamo una crema solare, che, come vedremo, offre una certa protezione, questo valore si riferisce alla sola componente B della radiazione. Perché? Semplice, come visto, gli UVB sono responsabili delle scottature immediate. Se ci proteggiamo da questa componente salviamo la pelle garantendo la tintarella. Questo è assolutamente falso, soprattutto pensando ai danni a lungo termine dati da un’esposizione troppo prolungata agli UVA.

Solo negli ultimi anni, sono comparse sul mercato creme con protezioni ad alto spettro. Fate bene attenzione a questa caratteristica prima di acquistare un qualsiasi prodotto. Una buona crema deve avere un fattore di protezione per gli UVA non inferiore ad 1/3 di quello garantito per gli UVB.

Ora però, anche seguendo quanto affermato, parliamo appunto di queste protezioni. Fino a qualche anno fa, ricordo benissimo gli scaffali dei negozi strapieni di creme solari con fattori di protezione, SPF cioè fattore di protezione solare, che andavano da 0 a qualcosa come 100. Già allora mi chiedevo, ma che significa zero? A che cosa serve una crema con protezione 0 e, allo stesso modo, protezione 100 o, come qualcuno scriveva “protezione totale”, significa che è come mettersi all’ombra?

Capite già l’assurdità di queste definizioni create solo ed esclusivamente a scopo commerciale. Fortunatamente, da qualche anno, è stata creata una normativa apposita per questo tipo di cosmetici aiutando il consumatore a comprendere meglio il prodotto in questione. Oggi, per legge, esistono solo 4 intervalli di protezione che sono: basso, medio, alto e molto alto. Questi intervalli, in termini numerici, possono essere compresi utilizzando la seguente tabella:

 

Protezione SPF

Bassa 6 – 10

Media 15 – 20 – 25

Alta 30 – 50

Molto alta 50+

Notiamo subito che sono scomparse quelle orribili, e insensate, definizioni “protezione zero” e “protezione totale”. Ma, in soldoni, cosa significa un certo valore di protezione? Se prendo una crema con SPF 30 è il doppio più efficace di una con SPF 15? In che termini?

Detto molto semplicemente, il valore numerico del fattore di protezione indica il tempo necessario affinché si creino scottature rispetto ad una pelle non protetta. Detto in questo modo, una SPF 15 significa che la vostra pelle si brucerà in un tempo 15 volte maggiore rispetto a quello che impiegherebbe senza quella crema. Dunque, anche con una crema protettiva posso scottarmi? Assolutamente si. In termini di schermo alla radiazione, il potere schermante non è assolutamente proporzionale allo SPF ma, come visto, solo ai tempi necessari per l’insorgere di scottature.

A questo punto, abbiamo capito cosa significa quel numerello che corrisponde al fattore di protezione, ma come fanno le creme a schermare effettivamente dai raggi solari?

Per rispondere a questa domanda, dobbiamo in realtà dividere la protezione in due tipi: fisico e chimico. La protezione fisica avviene in modo pressoché meccanico aumentando il potere riflettente della pelle. Per questo scopo, nelle creme solari sono presenti composti come il biossido di titanio e l’ossido di zinco, sostanze opache che non fanno altro che far riflettere verso l’esterno la radiazione solare che incide sul nostro corpo.

Primo appunto, secondo alcuni l’ossido di zinco potrebbe essere cancerogeno! Ma come, mi metto la crema per proteggermi dai raggi solari ed evitare tumori alla pelle e la crema crea tumori alla pelle? In realtà, come al solito, su questo punto si è fatta molta confusione, tanto terrorismo e si è corsi, per convenienza, a conclusioni affrettate. Alcune ricerche hanno mostrato come tessuti cosparsi di molecole di ossido di zinco e sottoposti ad irraggiamento UV possano sviluppare radicali liberi che a loro volta reagiscono con le cellule modificandone il DNA. Questo processo può portare alla formazione di melanomi, per la pelle, e di altri tumori, per le altre cellule. Ora, si tratta di studi preliminari basati su valori di irraggiamento più alti rispetto a quelli che normalmente possono derivare da un’esposizione, anche prolungata, anche nelle ore centrali della giornata, al Sole. Detto molto semplicemente, questi studi necessitano di ulteriori ricerche per poter definire margini di errore e valori corretti. Gli stessi autori di queste analisi preliminari si sono raccomandati di non male interpretare il risultato dicendo che le creme solari provocano il cancro alla pelle. In altre parole, si corrono più rischi non proteggendosi dal sole piuttosto che proteggendosi con una crema contenente ossido di zinco. Tra le altre cose, questa molecola è molto nota tra le mamme che utilizzano prodotti all’ossido di zinco per alleviare le ustioni da pannolino nei loro bambini.

Detto questo, abbiamo poi la protezione chimica. Come potete facilmente immaginare, in questo caso si tratta di una serie di molecole (oxibenzone, fenilbenzilimidazolo, acido sulfonico, butil metoxidibenzoilmetano, etilexil metoxicinnamato, ecc.) che hanno il compito di assorbire la radiazione solare e di cedere parte di questa energia sotto forma di calore. Perché possiamo trovare così tante molecole in una crema solare? Semplice, ognuna di queste è specifica per una piccola parte dello spettro di radiazione, sia UVA che UVB. Anche su queste singole molecole, ogni tanto qualcuno inventa storie nuove atte solo a fare terrorismo, molto spesso verso case farmaceutiche. Singolarmente, come nel caso dell’ossido di titanio, ci possono essere studi più o meno avanzati, più o meno veritieri, sulla pericolosità delle molecole. Anche qui però, molto spesso si tratta di effetti amplificati, ben oltre la normale assunzione attraverso la cute e, ripeto per l’ennesima volta, si rischia molto di più esponendosi al sole piuttosto che utilizzando creme solari.

Ennesima cavolata in voga fino a qualche anno fa e ora vietata: creme solari “water proof”, cioè creme resistenti completamente all’acqua. Ve le mettete una volta, fate quanti bagni volete e siete a posto. Ma secondo voi, è possibile qualcosa del genere? Pensate di spalmarvi una crema o di farvi un tatuaggio indelebile? Oggi, per legge, la dicitura water proof è illegale e ha lasciato spazio, al massimo, a “water resistant”, cioè resistente all’acqua. Una qualsiasi crema solare, a causa del bagno, del sudore, del contatto con il telo, tende a rimuoversi e, proprio per questo motivo, si consiglia di riapplicare la crema ogni 2-3 ore circa per garantire la massima protezione possibile.

Riassumendo, abbiamo capito che conviene, sempre ed in tutti i casi, utilizzare una crema solare protettiva, ma quale scegliere?

Molto brevemente, in questo caso, si deve valutare quello che è definito il proprio fenotipo. Come potete immaginare, si tratta di una serie di caratteristiche fisiche che determinano, in linea di principio, l’effetto dell’esposizione la Sole. Per poter determinare il proprio fenotipo, possiamo fare riferimento a questa tabella:

fenotipo

Ovviamente, per i valori più bassi (I e II) è consigliabile utilizzare una crema ad alto SPF, valore che può diminuire qualora fossimo meno soggetti a scottature ed ustioni.

Credo che a questo punto abbiamo un quadro molto più chiaro riguardo alla creme solari ed alla loro utilità. Ripeto, per l’ennesima volta, in ogni caso, proteggersi è sempre meglio che esporsi al sole senza nessuna protezione. Ultimo appunto, che vuole sfatare un mito molto diffuso, sotto l’ombrellone siamo comunque esposti alla radiazione solare. In primis, il tessuto di molti ombrelloni lascia passare buona parte dello spettro solare ma, soprattutto, la riflessione dei raggi solari, ad esempio ad opera della sabbia, raggiunge comunque un soggetto tranquillo e (falsamente) riparato sotto l’ombrellone. In genere, la riflessione dei raggi solari può incrementare, e anche molto, la quantità di radiazione a cui siamo esposti. Stando nell’acqua, ad esempio, abbiamo sia un’esposizione diretta ai raggi solari sia una indiretta dovuta ai raggi riflessi dalla superficie. Come potete immaginare questo amplifica molto l’esposizione.

Concludendo, utilizzate le creme solari ma, soprattutto, leggete bene le etichette prima di acquistare o, peggio ancora utilizzare, un qualsiasi prodotto. Ovviamente, qualsiasi prodotto diventa non efficace se unito alla nostra incoscienza. Se pensate di potervi spalmare una crema e stare come lucertole sotto il Sole dalle 10 del mattino al tramonto … forse questa spiegazione è stata inutile.

 

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Tutti i movimenti della Terra

27 Giu

Proprio ieri, una nostra cara lettrice ci ha fatto una domanda molto interessante nella sezione:

Hai domande o dubbi?

Come potete leggere, si chiede se esiste una correlazione tra i moti della Terra e l’insorgere di ere di glaciazione sul nostro pianeta. Rispondendo a questa domanda, mi sono reso conto come, molto spesso, e non è certamente il caso della nostra lettrice, le persone conoscano solo i moti principali di rotazione e rivoluzione. A questo punto, credo sia interessante capire meglio tutti i movimenti che il nostro pianeta compie nel tempo anche per avere un quadro più completo del moto dei pianeti nel Sistema Solare. Questa risposta, ovviamente, ci permetterà di rispondere, anche in questa sede, alla domanda iniziale che è stata posta.

Dunque, andiamo con ordine, come è noto la Terra si muove intorno al Sole su un’orbita ellittica in cui il Sole occupa uno dei due fuochi. Questo non sono io a dirlo, bensì questa frase rappresenta quella che è nota come I legge di Keplero. Non starò qui ad annoiarvi con tutte le leggi, ma ci basta sapere che Keplero fu il primo a descrivere cinematicamente il moto dei pianeti intorno ad un corpo più massivo. Cosa significa “cinematicamente”? Semplice, si tratta di una descrizione completa del moto senza prendere in considerazione il perché il moto avviene. Come sapete, l’orbita è ellittica perché è la legge di Gravitazione Universale a spiegare la tipologia e l’intensità delle forze che avvengono. Bene, detto molto semplicemente, Keplero ci spiega l’orbita e come il moto si evolverà nel tempo, Newton attraverso la sua legge di gravitazione ci dice il perché il fenomeno avviene in questo modo (spiegazione dinamica).

Detto questo, se nel nostro Sistema Solare ci fossero soltanto il Sole e la Terra, quest’ultima si limiterebbe a percorrere la sua orbita ellittica intorno al Sole, moto di rivoluzione, mentre gira contemporaneamente intorno al suo asse, moto di rotazione. Come sappiamo bene, il primo moto è responsabile dell’alternanza delle stagioni, mentre la rotazione è responsabile del ciclo giorno-notte.

Purtroppo, ed è un eufemismo, la Terra non è l’unico pianeta a ruotare intorno al Sole ma ce ne sono altri, vicini, lontani e più o meno massivi, oltre ovviamente alla Luna, che per quanto piccola è molto vicina alla Terra, che “disturbano” questo moto molto ordinato.

Perche questo? Semplice, come anticipato, e come noto, due masse poste ad una certa distanza, esercitano mutamente una forza di attrazione, detta appunto gravitazionale, direttamente proporzionale al prodotto delle masse dei corpi e inversamente proporzionale al quadrato della loro distanza. In altri termini, più i corpi sono massivi, maggiore è la loro attrazione. Più i corpi sono distanti, minore sarà la forza che tende ad avvicinarli. Ora, questo è vero ovviamente per il sistema Terra-Sole ma è altresì vero per ogni coppia di corpi nel nostro Sistema Solare. Se Terra e Sole si attraggono, lo stesso fanno la Terra con la Luna, Marte con Giove, Giove con il Sole, e via dicendo. Come è facile capire, la componente principale delle forze è quella offerta dal Sole sul pianeta, ma tutte queste altre “spintarelle” danno dei contributi minori che influenzano “in qualche modo” il moto di qualsiasi corpo. Bene, questo “in qualche modo” è proprio l’argomento che stiamo affrontando ora, cioè i moti minori, ad esempio, della Terra nel tempo.

Dunque, abbiamo già parlato dei notissimi moti di rotazione e di rivoluzione. Uno dei moti che invece è divenuto famoso grazie, o forse purtroppo, al 2012 è quello di precessione degli equinozi, di cui abbiamo già parlato in questo articolo:

Nexus 2012: bomba a orologeria

Come sapete, l’asse della Terra, cioè la linea immaginaria che congiunge i poli geografici ed intorno al quale avviene il moto di rotazione, è inclinato rispetto al piano dell’orbita. Nel tempo, questo asse non rimane fisso, ma descrive un doppio cono come mostrato in questa figura:

Moto di precessione degli equinozi e di nutazione

Moto di precessione degli equinozi e di nutazione

Il moto dell’asse è appunto detto di “precessione degli equinozi”. Si tratta di un moto a più lungo periodo dal momento che per compiere un intero giro occorrono circa 25800 anni. A cosa è dovuto il moto di precessione? In realtà, si tratta del risultato di un duplice effetto: l’attrazione gravitazionale da parte della Luna e il fatto che il nostro pianeta non è perfettamente sferico. Perché si chiama moto di precessione degli equinozi? Se prendiamo la linea degli equinozi, cioè quella linea immaginaria che congiunge i punti dell’orbita in cui avvengono i due equinozi, a causa di questo moto questa linea si sposterà in senso orario appunto facendo “precedere” anno dopo anno gli equinozi. Sempre a causa di questo moto, cambia la costellazione visibile il giorno degli equinozi e questo effetto ha portato alla speculazione delle “ere new age” e al famoso “inizio dell’era dell’acquario” di cui, sempre in ambito 2012, abbiamo già sentito parlare.

Sempre prendendo come riferimento la figura precedente, notiamo che c’è un altro moto visibile. Percorrendo il cono infatti, l’asse della Terra oscilla su e giù come in un moto sinusoidale. Questo è noto come moto di “nutazione”. Perché avviene questo moto? Oltre all’interazione della Luna, molto vicina alla Terra, anche il Sole gioca un ruolo importante in questo moto che proprio grazie alla variazione di posizione relativa del sistema Terra-Luna-Sole determina un moto di precessione non regolare nel tempo. In questo caso, il periodo della nutazione, cioè il tempo impiegato per per compiere un periodo di sinusoide, è di circa 18,6 anni.

Andando avanti, come accennato in precedenza, la presenza degli altri pianeti nel Sistema Solare apporta dei disturbi alla Terra, così come per gli altri pianeti, durante la sua orbita. Un altro moto da prendere in considerazione è la cosiddetta “precessione anomalistica”. Di cosa si tratta? Abbiamo detto che la Terra compie un’orbita ellittica intorno al Sole che occupa uno dei fuochi. In astronomia, si chiama “apside” il punto di massima o minima distanza del corpo che ruota da quello intorno al quale sta ruotando, nel nostro caso il Sole. Se ora immaginiamo di metterci nello spazio e di osservare nel tempo il moto della Terra, vedremo che la linea che congiunge gli apsidi non rimane ferma nel tempo ma a sua volta ruota. La figura seguente ci può aiutare meglio a visualizzare questo effetto:

Moto di precessione anomalistica

Moto di precessione anomalistica

Nel caso specifico di pianeti che ruotano intorno al Sole, questo moto è anche chiamato di “precessione del perielio”. Poiché il perielio rappresenta il punto di massimo avvicinamento di un corpo dal Sole, il perché di questo nome è evidente. A cosa è dovuta la precessioni anomalistica? Come anticipato, questo moto è proprio causato dalle interazioni gravitazionali, sempre presenti anche se con minore intensità rispetto a quelle del Sole, dovute agli altri pianeti. Nel caso della Terra, ed in particolare del nostro Sistema Solare, la componente principale che da luogo alla precessione degli apsidi è l’attrazione gravitazionale provocata da Giove.

Detto questo, per affrontare il prossimo moto millenario, torniamo a parlare di asse terrestre. Come visto studiando la precessione e la nutazione, l’asse terrestre descrive un cono nel tempo (precessione) oscillando (nutazione). A questo livello però, rispetto al piano dell’orbita, l’inclinazione dell’asse rimane costante nel tempo. Secondo voi, con tutte queste interazioni e questi effetti, l’inclinazione dell’asse potrebbe rimanere costante? Assolutamente no. Sempre a causa dell’interazione gravitazionale, Sole e Luna principalmente nel nostro caso, l’asse della Terra presenta una sorta di oscillazione variando da un massimo di 24.5 gradi ad un minimo di 22.1 gradi. Anche questo movimento avviene molto lentamente e ha un periodo di circa 41000 anni. Cosa comporta questo moto? Se ci pensiamo, proprio a causa dell’inclinazione dell’asse, durante il suo moto, uno degli emisferi della Terra sarà più vicino al Sole in un punto e più lontano nel punto opposto dell’orbita. Questo contribuisce notevolmente alle stagioni. L’emisfero più vicino avrà più ore di luce e meno di buio oltre ad avere un’inclinazione diversa per i raggi solari che lo colpiscono. Come è evidente, insieme alla distanza relativa della Terra dal Sole, la variazione dell’asse contribuisce in modo determinante all’alternanza estate-inverno. La variazione dell’angolo di inclinazione dell’asse può dunque, con periodi lunghi, influire sull’intensità delle stagioni.

Finito qui? Non ancora. Come detto e ridetto, la Terra si muove su un orbita ellittica intorno al Sole. Uno dei parametri matematici che si usa per descrivere un’ellisse è l’eccentricità, cioè una stima, detto molto semplicemente, dello schiacciamento dell’ellisse rispetto alla circonferenza. Che significa? Senza richiamare formule, e per non appesantire il discorso, immaginate di avere una circonferenza. Se adesso “stirate” la circonferenza prendendo due punti simmetrici ottenete un’ellisse. Bene, l’eccentricità rappresenta proprio una stima di quanto avete tirato la circonferenza. Ovviamente, eccentricità zero significa avere una circonferenza. Più è alta l’eccentricità, maggiore sarà l’allungamento dell’ellisse.

Tornando alla Terra, poiché l’orbita è un’ellisse, possiamo descrivere la sua forma utilizzando l’eccentricità. Questo valore però non è costante nel tempo, ma oscilla tra un massimo e un minimo che, per essere precisi, valgono 0,0018 e 0,06. Semplificando molto il discorso, nel tempo l’orbita della Terra oscilla tra qualcosa più o meno simile ad una circonferenza. Anche in questo caso, si tratta di moti millenari a lungo periodo ed infatti il moto di variazione dell’eccentricità (massimo-minimo-massimo) avviene in circa 92000 anni. Cosa comporta questo? Beh, se teniamo conto che il Sole occupa uno dei fuochi e questi coincidono nella circonferenza con il centro, ci rendiamo subito conto che a causa di questa variazione, la distanza Terra-Sole, e dunque l’irraggiamento, varia nel tempo seguendo questo movimento.

A questo punto, abbiamo analizzato tutti i movimenti principali che la Terra compie nel tempo. Per affrontare questo discorso, siamo partiti dalla domanda iniziale che riguardava l’ipotetica connessione tra periodi di glaciazione sulla Terra e i moti a lungo periodo. Come sappiamo, nel corso delle ere geologiche si sono susseguiti diversi periodi di glaciazione sul nostro pianeta, che hanno portato allo scioglimento dei ghiacci perenni e all’innalzamento del livello dei mari. Studiando i reperti e la quantità di CO2 negli strati di ghiaccio, si può notare una certa regolarità dei periodi di glaciazione, indicati anche nella pagina specifica di wikipedia:

Wiki, cronologia delle glaciazioni

Come è facile pensare, molto probabilmente ci sarà una correlazione tra i diversi movimenti della Terra e l’arrivo di periodi di glaciazione più o meno intensi, effetto noto come “Cicli di Milanković”. Perché dico “probabilmente”? Come visto nell’articolo, i movimenti in questione sono diversi e con periodi più o meno lunghi. In questo contesto, è difficile identificare con precisione il singolo contributo ma quello che si osserva è una sovrapposizione degli effetti che producono eventi più o meno intensi.

Se confrontiamo i moti appena studiati con l’alternanza delle glaciazioni, otteniamo un grafico di questo tipo:

Relazione tra i periodi dei movimenti della Terra e le glaciazioni conosciute

Relazione tra i periodi dei movimenti della Terra e le glaciazioni conosciute

Come si vede, è possibile identificare una certa regolarità negli eventi ma, quando sovrapponiamo effetti con periodi molto lunghi e diversi, otteniamo sistematicamente qualcosa con periodo ancora più lungo. Effetto dovuto proprio alle diverse configurazioni temporali che si possono ottenere. Ora, cercare di trovare un modello matematico che prenda nell’insieme tutti i moti e li correli con le variazioni climatiche non è cosa banale e, anche se sembra strano da pensare, gli eventi che abbiamo non rappresentano un campione significativo sul quale ragionare statisticamente. Detto questo, e per rispondere alla domanda iniziale, c’è una relazione tra i movimenti della Terra e le variazioni climatiche ma un modello preciso che tenga conto di ogni causa e la pesi in modo adeguato in relazione alle altre, non è ancora stato definito. Questo ovviamente non esclude in futuro di poter avere una teoria formalizzata basata anche su future osservazioni e sull’incremento della precisione di quello che già conosciamo.

 

Psicosi 2012. Le risposte della scienza”, un libro di divulgazione della scienza accessibile a tutti e scritto per tutti. Matteo Martini, Armando Curcio Editore.

Arrivata la spiegazione per il geyser di Fiumicino

23 Giu

Qualche tempo fa ci siamo occupati di uno strano fenomeno apparso a Fiumicino:

– Geyser di 5 metri a Fiumicino

Nuovo geyser a Fiumicino

Come ricorderete, dapprima in una strada confinante con l’aeroporto e poi in mare, erano apparsi due geyser che per diverso tempo hanno fatto fuoriuscire tonnellate di gas, principalmente anidride carbonica.

Come al solito, e come già detto, anche su questo fenomeno non erano mancate sviolinate catastrofiche legate all’inquinamento della zona o, peggio ancora, a particolari fenomeni improvvisi legati a malesseri del nostro pianeta e della zona in particolare.

Solo pochi giorni fa, un gruppo di ricercatori italiani del CNR, dell’università Roma Tre e dell’INGV sono riusciti a vederci chiaro e ad identificare l’origine di questi gas. In un articolo pubblicato sulla rivista “Journal of Volcanology and Geothermal Research”, il gruppo di ricerca ha pubblicato i suoi risultati basati su mesi di studi intensivi e analisi del terreno fino ad elevate profondità.

Per chi volesse, l’abstract dell’articolo in questione è disponibile sul sito stesso della rivista:

Abstract articolo spiegazione geyser Fiumicino

Come potete leggere, la spiegazione del fenomeno, per quanto possa apparire “strana” agli occhi dei non esperti, è del tutto naturale. Per prima cosa, studiando gli archivi storici, come accennato anche negli articoli precedenti, è emerso come fenomeni di questo tipo non sono affatto nuovi nella zona di Fiumicino e nei terreni limitrofi. Diverse volte infatti, sempre in occasione di operazioni di scavo per costruzioni edili o marine, in prossimità dei lavori erano emersi geyser e vulcanetti con fuoriuscita di gas e fango dal sottosuolo.

Come è ovvio pensare, la spiegazione del fenomeno è da ricercare nei depositi di gas contenuti ad alta pressione nel terreno. A seguito di analisi specifiche e tomografie del terreno, gli studi hanno evidenziato, nel caso del primo fenomeno osservato, che depositi di anidride carbonica sono presenti a circa 40-50 metri di profondità all’interno di uno strato di ghiaia spesso tra 5 e 10 m. La ghiaia comprende una falda acquifera compresa tra due strati di argilla, uno superiore ed uno inferiore, geologicamente molto diversi tra loro. Lo strato inferiore è molto permeabile e lascia filtrare i gas provenienti da profondità maggiori e generati dall’attività vulcanica propria dei Castelli Romani, e ancora oggi attiva. Lo strato superiore invece appare molto meno permeabile e funge da tappo per intrappolare i gas impedendo così la loro risalita in superficie.

A questo punto cosa succede?

Semplice, il gas è intrappolato dallo strato superiore fino a che una perturbazione esterna, come una trivella o uno scavo per costruzioni edili, non “smuove” il terreno e libera il gas. L’anidride carbonica in pressione a questo punto è libera di salite in superficie portando con se anche il fango che incontra durante il suo percorso. Ecco spiegato il meccanismo di formazione dei geyser della zona.

Cosa c’è di anomalo in tutto questo? Assolutamente nulla. Questa spiegazione, supportata da dati e analisi scientifiche, mostra anche il perché di eventi simili in passato e non esclude ovviamente nuovi fenomeni per il futuro. Ovviamente, vista la quantità di gas contenuto nel sottosuolo sarà sempre necessario valutare a priori lo scavo da realizzare e porre rimedio qualora si liberassero grossi volumi in superficie. Pericolo ovviamente amplificato qualora le emissioni avvenissero in prossimità della zona abitata, vista anche la tossicità dei gas in questione.

 

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Triangolo delle Bermuda, risolto il “mistero”?

14 Mar

Un nostro caro lettore mi ha contatto privatamente per chiedere lumi circa una teoria in grado di spiegare gli incidenti avvenuti nel cosiddetto “Triangolo delle Bermuda”. Vi premetto subito che non si tratta di una di quelle teorie pseudoscientifiche che compaiono nei vari siti spazzatura di cui di sovente dobbiamo occuparci, ma di una teoria assolutamente scientifica e molto interessante.

Mappa del Triangolo delle Bermuda

Mappa del Triangolo delle Bermuda

Dal momento che non ne abbiamo mai parlato, credo sia necessario, prima di passare alla possibile spiegazione, dire qualcosa in piu’ di questo misterioso e molto citato fazzoletto di mare. Come sapete, il triangolo delle Bermuda e’ una zona di mare molto estesa, circa 1100000 Km^2, che si trova nell’Atlantico Settentrionale a largo delle coste di Porto Rico.

Cosa ha di famoso questo punto dell’oceano?

Non vi diro’ certo qualcosa di nuovo raccontando di come, negli anni, il Triangolo delle Bermude e’ divenuto famoso a causa della sparizione improvvisa di molte navi e aerei che, improvvisamente, mentre sorvolavano o si trovavano a passare sulla zona, sono misteriosamente scomparsi senza lasciare alcuna traccia. Di storie e racconti di questo tipo, tutti ne abbiamo sentito parlare, creando un’aura di mistero intorno a questo tratto di mare.

Le spiegazioni date per giustificare in qualche modo queste sparizioni sono davvero molto diversificate e, ovviamente, non possono mancare le ipotesi fantascientifiche. Per fare qualche esempio, si parla di area di volo per gli extraterrestri che non gradirebbero la presenza di esseri umani, di costruzioni risalenti ad Atlantide sul fondo dell’oceano ed in grado di creare forze sconosciute e invisibili, di fenomeno fisico naturale non compreso in grado di attirare qualsiasi cosa passi sopra la zona, di anomalie dello spazio tempo che creerebbero tunnel quantistici in grado di collegare diverse parti dell’universo e cosi’ via con una lunga serie di ipotesi piu’ o meno assurde che di volta in volta vengono riproposte da giornali, siti e, soprattutto, trasmissioni televisive che andrebbero lasciate in onda solo sovrapponendo, come si faceva una volta per i telefilm americani, le risate delle persone quando vengono mandati servizi del genere.

Ora pero’, prima di parlare di ipotesi concrete di spiegazione, credo sia utile fare il punto della situazione su questa storia per capire fino in fondo l’entita’ e il numero di questi incidenti.

Cercando in rete, trovate molto facilmente la lista degli incidenti misteriosi che sono avvenuti nel Triangolo nel corso degli anni. Quello che pero’ molti dimenticano di dire e’ che questa lista non e’ stata redatta da nessun organo ufficiale per il controllo dei mari. Cosa significa? Il mito del Triangolo delle Bermuda inizia intorno al 1950 con un articolo in cui si parlava della prima volta di misteriose sparizioni in questa zona di mare. Il boom mediatico arrivo’ poi nel 1974 con l’uscita di quello che diventera’ poi un bestseller della letteratura pseudo-scientifica, il libro “Bermuda, il triangolo maledetto”, scritto da Charles Berlitz. Per chi non lo conoscesse, Berlitz e’ proprio il fondatore della famosa scuola di lingue diffusa in tutto il mondo ed e’ autore di diversi libri sul tema della archeologia misteriosa e del complottismo piu’ spinto. Bene, l’uscita del libro di Berlitz segna l’inizio del vero e proprio mito del Triangolo delle Bermuda, libro che ha dato poi inizio a tutta una sequela di opere piu’ o meno romanzate che sono arrivate fino ai giorni nostri.

Cosa dire sul libro di Berlitz? Semplice, quella che doveva essere un’inchiesta storica con il resoconto dettagliato di tutti gli incidenti registrarti nel corso degli anni, si e’ rivelata un’enorme montatura gonfiata veramente a dismisura. Come dimostrato per la prima volta da Lawrence Kusche con il suo libro “The Bermuda Triangle Mystery: Solved” del 1975, molti degli episodi riportati nel libro di Berlitz sono inventati, gonfiati o riguardano incidenti non avvenuti nel triangolo. In particolare, Kusche che era un aviatore e istruttore di volo, parti’ con le sue ricerche dalla scomparsa di un volo commerciale ripreso da Berlitz come caso inspiegabile. Come spesso sentiamo dire, tutti gli incidenti accaduti nel Triangolo sono avvenuti in condizioni meteo perfette e senza lasciare traccia. Bene, i dati mostrati da Kusche dimostrano invece il contrario, potendo imputare la maggior parte degli incidenti, tra quelli realmente avvenuti nel Triangolo, alle avverse condizioni meteo e alle tempeste tropicali che di certo non mancano in quella zona.

Cosa significa questo?

Come potete capire, l’alone di mistero che da sempre circonda questo tratto di mare e’ solo frutto di una montatura, principalmente letteraria, avvenuta nel corso degli anni. Facendo una scrematura molto profonda, di tutti gli incidenti che trovate nei racconti, solo 3 o 4 non trovano una spiegazione immediata perche’ veramente avvenuti nella zona, in condizioni di meteo ottime ma, ovviamente, potrebbero essere dovuti a guasti improvvisi.

E’ possibile questo?

Assolutamente si. Per darvi un’idea, dalle statistiche elaborate sia dalla guardia costiera americana che dalla societa’ Lloyd’s di Londra, il numero di incidenti registrati nella zona e’ perfettamente in linea con le statistiche mondiali rapportando i numeri all’alto traffico aereo e navale che avviene nella zona. Ecco il link della USGC americana che ne parla:

USGC, Bermuda

mentre, per quanto riguarda i Lloyd’s, dal momento che questa e’ la compagnia che si occupa proprio del calcolo dei rischi assicurativi, se ci fosse un reale e misterioso pericolo nella zona, secondo voi continuerebbe a far assicurare i mezzi che transitano nel Triangolo?

Altra considerazione, anche se gli incidenti sono dovuti a guasti o avverse condizioni meteo, e’ vero che in moltissimi casi non sono stati rinvenuti i resti dei mezzi incidentati?

Questo e’ assolutamente vero, ma anche qui possiamo dare una spiegazione razionale senza doverci nascondere. Il fondale del Triangolo delle Bermuda e’ caratterizzato dalla presenza di fosse oceaniche molto profonde ed e’ interessato da correnti molto forti. La combinazione di questi due fattori fa si che, in caso di incidente, il mezzo possa essere risucchiato a fondo molto velocemente, e magari trasportato altrove, nel giro di pochissimi minuti.

Detto questo, esiste un mistero sul Triangolo delle Bermuda? Da quanto detto, possiamo escludere questa ipotesi dal momento che il tutto e’ frutto di una montatura prettamente letteraria basata su argomentazioni esagerate, falsificate e, ovviamente, atte solo a creare un business per chi le mette in piedi. Prima pero’ di chiudere, vorrei fare qualche altra considerazione. Come detto, ci sono ancora 3 o 4 incidenti la cui spiegazione non e’ nota e che possono essere imputati ad improvvisi guasti dei mezzi interessati.

E se non fossero guasti dovuti al mezzo?

Perche’ dico questo?

Semplice, non limitandoci al caso del Triangolo, nel corso della storia si sono verificati incidenti in mare apparentemente non spiegabili e che hanno fatto scomparire improvvisamente mezzi dai radar non lasciando assolutamente traccia. Una possibile spiegazione di questi incidenti, che e’ poi l’argomento della domanda iniziale da cui siamo partiti, potrebbe essere imputata ai cosiddetti “idrati di metano”. Fate attenzione, ora stiamo passando dallo smascherare storie fantascientifiche ad ipotesi scientifiche.

Cosa sono gli idrati di metano?

Si tratta di una struttura cristallina solida formata da acqua ghiacciata e metano. Per poter formare strutture di questo tipo e’ necessaria una combinazione di basse temperature e pressioni molto elevate. Queste condizioni sono ovviamente possibili sui profondi fondali oceanici dove l’acqua scende facilmente ad una temperatura prossima allo zero e la colonna di liquido sovrastante produce un’elevata pressione. Strutture di questo tipo sono molto frequenti a profondita’ tra i 500 e i 4000 metri e possono estendersi anche su superfici molto vaste.

Ora, immaginate la seguente situazione: qualcosa, ad esempio una scossa sismica, rompe lo strato di ghiaccio e metano. In queste condizioni, una grossa bolla di gas puo’ fuoriuscire e risalire verso la superficie. Se una nave si trova a passare sopra il punto in cui la bolla esce verso l’atmosfera, cosa succede? Semplice, le navi galleggiano grazie alla spinta di Archimede, dipendente dalla densita’ dell’acqua, che bilancia il peso stesso della nave. Poiche’ il metano ha una densita’ minore dell’acqua, nel momento della fuoriuscita, il peso della nave non sarebbe piu’ bilanciato e il mezzo verrebbe risucchiato verso il basso. E’ possibile questo? Assolutamente si e proprio nel corso degli ultimi anni, esempi di questo tipo sono stati anche documentati. Dal momento che, come anticipato, il Triangolo delle Bermuda presenta fondali molto profondi, correnti fredde e giacimenti di combustibili fossili, e’ assolutamente lecito pensare che la zona possa essere interessata da fenomeni di questo tipo. Ovviamente, in caso di un incidente del genere, la sparizione sarebbe improvvisa e senza lasciare traccia alcuna del mezzo.

Dal mio punto di vista, e’ assolutamente lecito pensare che, forse, alcuni degli incidenti rimasti senza spiegazione, il cui numero ripeto e’ perfettamente compatibile con le statistiche di ogni altra zona, potrebbero essere stati causati dalla rottura di strati di idrati di metano.

Eventi di questo tipo potrebbero anche spiegare, non solo per il Triangolo, incidenti aerei avvenuti a bassa quota sopra gli oceani. La bolla di metano uscita in atmosfera infatti, potrebbe rimanere densa e arrivare agli ugelli ad alta temperatura degli aerei. In questo caso, si svilupperebbe immediatamente un incendio che interesserebbe l’intero apparecchio facendolo precipitare.

Se credete che la spiegazione sia esagerata, pensate che da un metro cubo di idrati di metano ad alta pressione si formano, a pressione e temperatura normali, ben 168 metri cubi di gas e solo 0,87 metri cubi di acqua.

Attenzione, 168 metri cubi di gas da un solo metro cubo di idrati dal fondo dell’oceano. Perche’ allora non sfruttare questa enorme risorsa per estrarre gas? Questa idea e’ ovviamente venuta anche alle maggiori compagnie di estrazione e al momento ci sono diversi gruppi di ricerca, soprattutto americani e giapponesi, che stanno studiando il modo migliore, se possibile, di mettere le mani su questa enorme risorsa. Dalle stime fatte, la quantita’ di gas contenuta negli idrati sarebbe molto maggiore di quella contenuta in tutti i giacimenti tradizionali conosciuti al mondo. Al momento pero’, l’estrazione di questo gas sarebbe ancora troppo rischiosa e con efficienza troppo bassa. Come sapete, il metano e’ uno dei piu’ pericolosi gas serra, con effetti 30 volte maggiori di quelli dell’anidride carbonica. Una fuoriuscita incontrollata di questo gas provocherebbe effetti disastrosi per la nostra atmosfera. Inoltre, sulla base della spiegazione degli idrati per gli incidenti in mare, un’operazione di questo tipo sarebbe molto rischiosa per le piattaforme e le navi che si troverebbero in prossimita’ del punto di raccolta.

Concludendo, per quanto riguarda il Triangolo delle Bermuda, abbiamo visto come il mito creato nel corso degli anni sulla pericolosita’ della zona sia solo una montatura ad hoc. Molti degli incidenti considerati misteriosi sono in realta’ perfettamente spiegabili o avvenuti in zone diverse. Ci sono ancora un numero esiguo di casi non spiegabili in modo certo ma che comunque rientrano nelle statistiche calcolate su scala mondiale. Non pensando al semplice guasto, alcuni di questi avvenimenti potrebbero essere stati causati dalla liberazione di metano da idrati sul fondale. Queste strutture solide, conosciute e presenti sui freddi fondali di alcuni oceani, racchiudono enormi quantita’ di metano che puo’ essere liberato da fratture naturali o indotte dello strato solido. La quantita’ di metano liberata in questi casi e’ notevole al punto che diversi studi sono in corso per cercare di sfruttare questa risorsa.

Psicosi 2012. Le risposte della scienza”, un libro di divulgazione della scienza accessibile a tutti e scritto per tutti. Matteo Martini, Armando Curcio Editore.

Cos’e’ successo in Sardegna?

26 Nov

Qualche giorno fa, mi contatta la nostra cara amica e sostenitrice del blog Patrizia. Mi chiede l’autorizzazione per poter scrivere un articolo su quanto avvenuto in Sardegna per Psicosi 2012. Premetto subito che Patrizia oltre ad essere una geologa, vive proprio in Sardegna e quindi ha vissuto, fortunatamente senza problemi nella sua zona, quanto avvenuto solo pochi giorni fa.

Dopo 594 articoli scritti di mio pugno, vi propongo questo articolo scritto da Patrizia e sul quale il sottoscritto non ha assolutamente messo mano. Secondo me, l’articolo e’ scritto benissimo e sposa in pieno la filosofia e lo stile di Psicosi 2012. Spero che anche la vostra opinione sia favorevole e, per qualsiasi commento, Patrizia e’ sempre disponibile, come fatto fino ad oggi, al dialogo e ad una sana discussione costruttiva.

 

Da Patrizia: Cos’e’ successo in Sardegna?  

 

Il 18 novembre scorso la Sardegna è stata devastata dal ciclone Cleopatra. Una bolla di aria fredda si è staccata da una perturbazione atlantica e, passando sopra il Mediterraneo eccezionalmente caldo, si è caricata oltremodo dando origine ad un ciclone dalla forma a V, cioè con due fronti che si sono abbattuti sull’isola, rispettivamente su Ogliastra e Gallura l’uno, su Oristanese e Medio Campidano l’altro.  Quello che nel linguaggio mediatico viene indicato come “bomba d’acqua” è, in meteorologia, un evento da cumulonembo, cioè una nube che può raggiungere i 12000 metri di altezza e avere la base a 300 metri dal suolo e che può scaricare enormi volumi di acqua in decine di minuti o anche in diverse ore. Cleopatra era un sistema lungo trecento km, formato da una serie di queste nubi, alcune delle quali hanno superato i 12000 metri di altezza, per cui aveva una potenza intrinseca che è stata però esaltata dalla particolare morfologia del territorio sardo. Vale a dire che la perturbazione ha trovato nelle montagne degli ostacoli fisici che l’hanno “costretta” a scaricare l’acqua. Riportiamo di seguito i dati pluviometrici di alcune località colpite che, a nostro avviso, sono maggiormente rappresentative dell’entità del fenomeno.

Fig.1: Curve delle precipitazioni cumulate

Fig.1: Curve delle precipitazioni cumulate

Osserviamo, innanzitutto, che sulla costa (Golfo Aranci) le piogge sono state meno intense rispetto alle zone di montagna (Mamone) o a ridosso delle stesse (Padru), dove i quantitativi di precipitazioni cumulate nello stesso intervallo temporale- all’incirca 16 ore- sono nettamente superiori. In particolare il tratto di curva che improvvisamente subisce un’impennata corrisponde all’evento da cumulonembo. I dati sono forniti dalla rete pluviometrica del Servizio Idrografico Regionale.

Per evidenziare ancora di più la quantità delle precipitazioni del 18 novembre si possono osservare in figura 2 i dati forniti dal Dipartimento Idrometeoclimatico Regionale.  Nella figura 3 sono riportati i comuni dei quali vengono forniti i dati sulle precipitazioni.

Fig.2: Precipitazioni del 18 novembre

Fig.2: Precipitazioni del 18 novembre

Nella maggior parte dei casi è caduta in meno di 24 ore una quantità di pioggia pari alla metà della pioggia annuale, evidenziando ancora una volta la tendenza alla irregolarità nella distribuzione delle precipitazioni, che si concentrano in periodi di tempo limitati.

Fig.3: Comuni della Sardegna

Fig.3: Comuni della Sardegna

Cos’è successo invece ad Olbia?

Dai dati riportati da L’Unione Sarda del 20 novembre, ad Olbia il 18 novembre sono caduti “soltanto” 93 mm di pioggia. E allora perché c’è stato il disastro?

Olbia si trova su una pianura alluvionale, vale a dire un territorio “costruito” nel corso del tempo geologico dai materiali trasportati e depositati dai corsi d’acqua. Molti alvei sono stati riempiti per essere inseriti nel tessuto urbano come strade. Durante un evento da cumulonembo, le strade urbane si trasformano nella parte superiore dell’alveo, cioè si trasformano in vie preferenziali per i flussi d’acqua, per decine di minuti o per qualche ora. In realtà si tratta di acqua mista a fango e detriti di ogni genere, quindi una vera e propria onda di piena. Olbia, quindi, è stata investita dall’onda di piena proveniente da Monte Pinu e dintorni che ha provocato l’esondazione di due metri dei suoi canali. Indubbiamente i danni sono stati amplificati da uno scorretto sviluppo edilizio, non supportato da un adeguato piano di gestione del territorio. Si palleggiano la patata bollente del mancato e/o inadeguato allertamento il capo della Protezione civile e i sindaci dei vari comuni colpiti. L’allarme è stato dato come “elevato” (in una scala di tre tipi di allarme: ordinario, moderato, elevato) ma nessuno ha capito l’entità dell’evento. Il sindaco di Olbia, per esempio, ha dichiarato che, nonostante l’allarme, non si poteva prevedere l’esondazione dei canali. Senza voler polemizzare, una dichiarazione di questo tipo non sta né in cielo né in terra, visto che Olbia è soggetta a frequenti allagamenti! I media hanno sostenuto la tesi dell’eccezionalità dell’evento. In realtà fenomeni come Cleopatra sono storicamente conosciuti: basti ricordare l’alluvione del 1951 quando in Sardegna si registrarono 1500 mm di pioggia in tre giorni.

Ma come si possono prevedere questi fenomeni e prevenirne i danni?

Il professore Ortolani, ordinario di Geologia presso l’Università Federico II di Napoli, sostiene che, per mettere in salvo la vita dei cittadini, occorre un sistema di allarme idrogeologico immediato.

Vale a dire un sistema di pluviometri che registrino la pioggia ogni 2-3 minuti in maniera tale da individuare sul nascere l’evento bomba d’acqua (questo è possibile esaminando la curva pluviometrica che, come abbiamo visto, subisce un’impennata all’inizio del fenomeno). Inoltre, conoscendo la morfologia del territorio urbanizzato e non urbanizzato, si possono individuare le vie preferenziali dei flussi d’acqua e detriti provenienti dalle precipitazioni lungo i versanti. Quando si ha la certezza che si tratta di una bomba d’acqua, cioè dopo qualche minuto dall’inizio del fenomeno, si fa scattare l’allarme meteo immediato e si mette in atto il piano di protezione civile pregresso, che può prevedere per esempio l’evacuazione delle abitazioni lungo le fasce fluviali che saranno interessante dalla piena, oppure l’evacuazione delle strade e dei piani seminterrati, a seconda dell’entità del fenomeno.

Per concludere, vorremmo riportare una notizia emblematica: prima che Cleopatra arrivasse, all’ingresso di Terralba, uno dei paesi più colpiti dal ciclone, c’erano cartelli con su scritto NO AI VINCOLI IDROGEOLOGICI. Il rispetto del territorio veniva visto come un ostacolo allo sviluppo economico legato all’edilizia! Chissà se i morti di questa volta faranno riflettere un po’ di più sui nostri abusi all’ambiente.

 

Psicosi 2012. Le risposte della scienza”, un libro di divulgazione della scienza accessibile a tutti e scritto per tutti. Matteo Martini, Armando Curcio Editore.

Neologismi catastrofisti

22 Nov

Leggendo i giornali c’e’ sempre qualcosa di nuovo da imparare. Come sapete bene, ogni tanto i giornalisti si lasciano prendere un po’ la mano, gonfiando le notizie o, anche, cercando di rendere ad effetto notizie che altrimenti passerebbero in secondo piano.

Di queste cose, diverse volte abbiamo parlato in questo blog. Alcune volte, ci siamo trovati a dover proprio smentire notizie apparse sui giornali nazionale perche’ frutto di incomprensioni o, e questo e’ un problema piu’ frequente di quanto si immagini, per la mancanza di controllo delle fonti da cui le notizie vengono prese.

Questa volta vorrei parlare di pioggia. Lungi da me speculare su quanto accaduto in Sardegna dove la forza della natura ha causato morti e notevoli danni, ma proprio quanto accaduto sull’isola rappresenta l’ultimo esempio di un cattivo costume per la ricerca di titoli ad affetto.

Negli ultimi anni, sempre piu’ spesso sentiamo parlare di forti piogge. Ora, il piu’ delle volte, anche di fronte a gravi problemi per le popolazioni, i giornali tendono a far apparire fenomeni stagionali comuni come eventi rari e inaspettati. Piogge torenziali, soprattutto in periodo autunnale o primaverile ci sono sempre state e sempre ci saranno. Nonostante questo, sempre piu’ spesso sentiamo parlare di “bombe d’acqua”, cioe’ violenti acquazzoni che interessano varie parti dell’Italia e di cui non avevamo mai sentito parlare.

Cosa sarebbero queste bombe d’acqua?

Se proviamo a consultare libri o siti specializzati, non troviamo una definizione di bombe d’acqua. Questo non ci deve sorprendere perche’, come anticipato, le bombe d’acqua in realta’ non esistono.

Ora, potrei far saltare dalla sedia molte persone preoccupate di quanto e’ accaduto in Sardegna o di altri fenomeni meno recenti. La mia considerazione e’ prettamente linguistica e metereologica. Fino a qualche anno fa, nessuno aveva mai sentito parlare di pioggia in questo senso, eppure, nell’ultimo periodo, sembrerebbe quasi che siano comparse queste bombe d’acqua come un fenomeno nuovo casuato da chissa’ quali diavolerie scientifiche o  da modificazioni climatiche naturali o indotte.

Onde evitare fraintendimenti, mi spiego meglio.

Le cosiddette “bombe d’acqua”, altro non sono che i violenti acquazzoni di cui abbiamo sempre sentito parlare. Perche’ allora si usa questo termine? L’origine, e come potrebbe essere diversamente, e’ giornalistica. Questo termine compare la prima volta in un articolo della Nazione di Firenze dopo il violento temporale del 2012. Ecco a voi l’articolo in questione:

La Nazione Firenze

Il termine e’ frutto di una cattiva traduzione dall’inglese dell’espressione “Cloud Burst”. Letteralmente suonerebbe come “Esplosione di Nuvola”. Con Cloud Burst, come potete leggere su wikipedia:

Cloud Burst

si indica un violento temporale con una durata limitata nel tempo ma con una quantita’ di precipitazioni in grado di provocare innondazioni. In molti di questi casi, si possono formare piu’ temporali in breve tempo che provocano appunto la grande quantia’ di precipitazione in uno spazio ristretto. Bene, il termine “bomba d’acqua” e’ dunque mutuato dall’inglese.

Ora pero’, provando a ragionare, si tratta di un termine qualitativo appicicato ad una scienza quantitativa come le meteorologia. Cosa significa tanta pioggia in poco tempo? Tanta quanta? Poco tempo quanto? Capite che, cosi’ come viene dato, questo termine non ha alcun significato se non quello soggettivo.

Operativamente, anche a seguito del diffondersi del termine, si e’ cercato di dare una definizione numerica al termine bomba d’acqua definendo in questo modo precipitazioni in grado di scaricare quantita’ maggiori di 30 mm di pioggia nell’arco di un’ora. Non si tratta di una definizione nel senso stretto del termine dal momento che autori diversi possono utilizzare numeri diversi. C’e’ chi parla di 50 mm in un’ora, chi di 20, chi parla di precipitazioni nell’arco di due ore, ecc.

Detto questo, capite bene come il termine sia in realta’ una forzatura di quello che, fino a pochi anni fa, eravamo soliti chiamare aquazzone ed inoltre non presenta una definizione univoca.

Prima di chiudere, ragioniamo ancora su un particolare: alla luce di quanto osserviamo, sembrerebbe che gli acquazzoni, o le bombe d’acqua, siano aumentati notevolmente negli ultimi anni. E’ una sensazione o l’aumento e’ tangibile? Su alcuni siti trovate numeri veramente sparati a caso. Su piu’ di una fonte ho trovato che prima si poteva parlare di una bomba d’acqua ogni 10 anni mentre ora questo fenomeno si presenta, nel solo territorio italiano, fino a 3-4 volte all’anno. Questo non e’ assolutamente vero.

Negli ultmi anni, il numero di acquazzoni e’ sensibilmente aumentato e questo e’ dovuto all’effetto serra e all’aumento della temperatura media dei mari. Perche’? Quando parliamo di aumento di temperatura delle acqua, al solito, ci si riferisce ad incrementi inferiori al grado, ma che possono avere effetti importanti sulle dinamiche atmosferiche. Durante la formazione delle nuvole temporalesche, la maggior differenza di temperatura tra terra e quota provoca un aumento dell’energia e delle precipitazioni potenziali del fronte. Proprio l’aumento di temperatura dei mari causa una maggior quantita’ di precipitazioni che, nella definizione data prima, provoca un aumento del numero di acquazzoni.

Concludendo, il termine bomba d’acqua non e’ una definizione metereologica ne tantomeno una quantita’ di piogge univocamente accettatata. Come visto, l’origine del termine e’ da ricercarsi nei giornali sempre troppo impegnati a trovare neologismi o parole ad effetto per attrarre maggiormente l’interesse dei lettori. Le bombe d’acqua di cui tanto si parla in questi ultimi tempi, altro non sono che gli acquazzoni violenti di cui abbiamo sempre sentito parlare. Come visto, il numero di fenomeni temporaleschi violenti e’ in sensibile aumento non a causa di strane attivita’ fatte dall’uomo sull’atmosfera ma a causa dell’effetto serra che provoca un aumento minimo della temperatura dei mari.

 

Psicosi 2012. Le risposte della scienza”, un libro di divulgazione della scienza accessibile a tutti e scritto per tutti. Matteo Martini, Armando Curcio Editore.

Obbligatorio dire due parole su GOCE

11 Nov

Era il 15 settembre, ben due mesi fa, quando il sottoscritto, che a forza di documentarsi su siti complottisti ha acquisito doni di preveggenza, gia’ parlava di GOCE e della fine annunciata della missione.

In questo articolo:

GOCE: quando il satelliste finisce la benzina

abbiamo gia’ parlato della missione, della sua importanza scientifica ma, soprattutto, del suo rientro a Terra. Come potete leggere, gia’ al tempo si diceva che la cosa avrebbe rappresentato un rischio, ma con probabilita’ bassissima. Ripeto, trovate tutti i dettagli leggendo l’articolo precedente.

Poi cosa e’ successo?

Semplice, e’ finita la benzina e sulla rete si sono scatenati gli animi catastrofisti di tutti: siti, blog, forum ma, purtroppo, anche giornali, protezione civile, ecc. Nelle ultime ore, la scena mediatica e’ stata completamente catturata dalla caduta di questo satellite con una gara a chi la spara piu’ grossa sul punto di impatto, sull’ora o sui possibili rischi dell’operazione.

In tutto questo poi, ci si e’ messa anche la polemica, alquanto sterile, tra protezione civile, ASI e ESA che non si riscono a mettere d’accordo su cu dice cosa.

Lasciamo perdere questi discorsi e parliamo di cose serie.

Non spendero’ piu’ di qualche parola su questo evento, dal momento che e’ stata gia’ sviscerato a sufficienza.

Unico particolare degno di nota, al momento GOCE e’ ancora in funzione e non ha cominciato a cadere verso la Terra. Perche’ dico questo? Lasciando da parte i mezzi di informazione assolutamente poco credibili in ambito scientifico o in situazioni di questo tipo, l’unico modo per reperire informazioni reali e’ consultare il sito dell’ESA, in cui potete trovare una pagina aggiornata in real time stabilendo comunicazioni direttamente con il satellite.

Trovate la pagina a questo indirizzo:

ESA, GOCE info

Le informazioni contenute vengono trasmesse da una base in Antartide che stabilisce connessioni con GOCE ogni qual volta il satellite passa sulla zona.

Leggete cosa scrivono il 10 novembre alle 23.50, cioe’ meno di un’ora fa:

Contact with GOCE was made once again from the Troll station in Antarctica at 23:42 CET. The central computer temperature is at 80ºC and the battery is at 84ºC. At an altitude of less than 120 km, the spacecraft is – against expectations – still functional.

Capito? Il satellite non e’ ancora in fase di caduta. Detto questo, e’ inutile stare li ad arrovelarsi e tentare di indovinare dove cadra’ GOCE. Fino a quando non iniziera’ la caduta, e’ come provare ad indovinare i numeri del lotto!

Concludendo, i rischi di caduta su zone abitate sono estremamente bassi. Se pensate di restare a casa perche’ avete paura che qualche pezzo possa arrivarvi in testa, allora chiudetevi per sempre nelle vostre mura senza uscire. Praticamente, la probabilita’ e’ simile a quella di essere colpiti da una tegola che si stacca da un tetto. Piuttosto che credere a storielle inventate dai giornali, documentatevi sui siti giusti e seguite in tempo reale la fine di questa gloriosa e importante missione.

Ultimissima cosa, in queste ore sta per ricadere a Terra qualcosa di veramente grosso e aspettato ma di cui i giornali non parlano. Sta infatti per rientrare una Soyuz dalla Stazione Spaziale Internazionale con a bordo il nostro astronauta Luca Parmitano. Sarebbe meglio parlare di questo piu’ che di satelliti.

 

Psicosi 2012. Le risposte della scienza”, un libro di divulgazione della scienza accessibile a tutti e scritto per tutti. Matteo Martini, Armando Curcio Editore.

Metano su Marte: c’e’, non c’e’, c’era?

26 Set

Nella sezione:

Hai domande o dubbi

e’ stato richiesto un argomento molto interessante e attuale. Come potete vedere, si chiede un aggiornamento sulle ultime misure fatte da Curiosity, il rover che sta eplorando Marte, alla luce della notizia, tanto pubblicizzata, della concentrazione minore rispetto alle aspettative di metano. Come anticipato, si tratta di un argomento molto interessante e scientificamente importante. Purtroppo, anche questa volta, molti giornali e siti si sono lanciati in notizie eclatanti, senza pero’ spiegare in dettaglio qual e’ il significato di questo risultato, ma soprattutto cosa ci si aspetta per il futuro.

Per chi volesse maggiori informazioni sulla missione e sulle scoperte fatte, abbiamo parlato di Curiosity in questi post:

Curiosity: scoperta sensazionale?

– Curiosity e gli UFO

– Curiosity e gli UFO: dopo le foto, il video. 

Ecco la scoperta di Curiosity

Detto questo, e’ interessante ripercorrere la storia del metano su Marte, ragionando soprattutto su che cosa questa misura significihi.

Cerchiamo di ragionare insieme. Come sapete, a parte per il discorso ufo e avvistamenti vari che lascia il tempo che trova, uno degli obiettivi dell’esporazione spaziale e’, tra i tanti altri, quello di capire se c’e’ vita sugli altri pianeti del Sistema Solare o anche se in passato ci sono state le condizioni affinche’ una qualche forma di vita si sia sviluppata.

Fin qui ci siamo. Ogni qual volta si parla di condizioni adatte alla vita, qual e’ il primo parametro che viene citato? Ovviamente la presenza di acqua. Il motivo di questo e’ scontato per tutti e non c’e’ bisogno di replicarlo. Molte missioni osservative di Marte hanno dimostrato come in passato ci fosse molta acqua sul pianeta rosso. Addirittura sono stati ossservati i segni tipici lasciati da fiumi, laghi e mari, come solchi, ammassi di fanghi essiccati, letti di fiumi ormai asciutti, ecc. Inoltre, sulle calotte di Marte e’ presente ghiaccio. Queste distese hanno anche una variabilita’ stagionale cosi’ come avviene sulla Terra. Anche oggi ci sono evidenze di acqua in forma liquida, anche se in misura estremamente minore in superificie.

Bene, dunque su Marte c’e’ acqua. Questo significa che c’e’ vita? Assolutamente no. Per dirlo in termini matematici, la presenza di acqua sul pianeta e’ una condizione necessaria per sviluppare determinate forme di vita. Questa condizione non e’ pero’ sufficiente, cioe’ se c’e’ vita c’e’ acqua, ma non e’ vero il viceversa.

A questo punto, non avendo visto nessun marziano salutarci attraverso le telecamere dei rover, dobbiamo cercare qualche altro parametro. In questo caso, quello che possiamo vedere e’ se c’e’ metano in atmosfera.

Perche’ e’ importante la presenza di metano?

Prendiamo come esempio la Terra, dove non credo di dover dimostrare che c’e’ vita. L’atmosfera terrestre e’ molto ricca di metano. Da dove viene? Circa il 90% del metano che troviamo nella nostra atmosfera viene da forme vitali. Che significa? Una frazione viene dalla decomposizione di specie che rilasciano questo gas, mentre gran parte viene prodotto direttamente dal metabolismo di alcuni animali. Come sicuramente saprete, monitorare il metano nella nostra atmosfera e’ molto importante per via dell’effetto serra portato da questo gas. Uno dei contributi maggiori al metano viene dalla digestione delle mucche.

Detto questo, capite bene come la presenza di metano in atmosfera puo’ essere in qualche modo legato alla presenza di vita su un pianeta.

Fin qui ci siamo, ma torneremo su questi discorsi a breve per continuare a portare avanti il nostro ragionamento.

Prima di Curiosity, c’erano delle misure della quantita’ di metano nell’atmosfera di Marte? Certamente si, misure, anche se tra loro abbastanza discordi, venivano da osservazioni con telescopi da Terra e da satelliti in orbita intorno al pianeta rosso. Tra queste, vi erano alcune misurazioni che mostravano dati abbastanza entusiasmanti.

Senza troppi giri di parole, vi mosro un’immagine in falsi colori ottenuta partendo dai dati della sonda Mars Express nel 2004:

 

Metano nell'atmosfera di Marte. Fonte: Mars Explorer

Metano nell’atmosfera di Marte. Fonte: Mars Explorer

Cosa rappresenta? Le diverse colorazioni indicano la concentrazione piu’ o meno alta di metano nell’atmosfera di Marte. Come vedete, seguendo la scala in basso, ci sono dei punti che appaiono molto rossi, cioe’ con concentrazioni anche fino a 30 parti per miliardo (ppb) di metano.

Dunque? Su Marte c’e’ o c’era acqua, su Marte c’e’ metano quindi su Marte c’e’ vita!

Questo ragionamento potrebbe esssere azzardato e scientificamente non corretto. Come detto prima, sempre in termini matematici, avere acqua e’ una condizione necessaria, avere metano e’ una condizione necessaria, avere acqua e metano e’ una condizione necessaria, ma nessuna delle due, neanche simultaneamente, e’ una condizione sifficiente.

Non poter gridare alla scoperta del secolo, non significa non fare ricerca. L’evidenza di questi rilasci in atmosfera meritano di essere studiati in dettaglio per vedere se effettvamente sono sinonimo di vita oppure no.

Detto questo, cosa facciamo? Mandiamo Curiosity a vedere direttamente sulla superficie di Marte. Tra i tanti strumenti, il rover ha a disposizione spettrometri pensati proprio per misurare le concentrazioni di gas in atmosfera.

Cosa troviamo?

Come annunciato in questi giorni, Curiosity non ha trovato le concentrazioni sperata di metano. I valori misurati, ponderati su diverese analisi fatte in periodi diversi dell’anno marziano, hanno mostrato valori massimi intorno a 2 parti per miliardo, cioe’ molto meno di quello che si pensava e che e’ stato mostrato nei dati di Mars Express.

A questo punto, un po’ con l’amaro in bocca, cosa dobbiamo dire?

Molte fonti chiudono il discorso dicendo che non c’e’ vita su Marte, mentre altre si appellano al fatto che ci sono errori nella misura o che la vita c’era in passato.

Per ragionare su queste affermazioni e’ necessario riprendere il discorso metano in atmosfera.

Abbiamo detto che sulla Terra abbiamo una concentrazione di circa 1700 ppb di metano. I dati di Mars explorer mostravano picchi da 10-20 ppb. Confrontate tra loro i due numeri. Come vedete, sono profondamente diversi tra loro. Questo non deve portarvi fuori strada. Come detto prima, sulla Terra ci sono, ad esempio, le mucche, su Marte vi aspettate di trovare al massimo qualche batterio.

E’ vero pero’ che Curiosity sta osservando una frazione molto ristretta della superficie marziana, il cratere Gale. Per quanto esteso, questo campione non e’ rappresentativo di tutto il pianeta. Questa e’ una riflessione ragionevole. Notiamo pero’ che se ci fossero forme di vita batteriche, queste si dovrebbero sparpagliare per tutto il pianeta, non solo in determinati punti specifici. Tra l’altro, il cratere Gale e’ stato scelto per le sue proprieta’, per la presenza in passato di corsi d’acqua, insomma se c’e’ vita, dovrebbe essere anche in questo punto.

Torniamo pero’ ai dati di Mars Explorer. Su questa mappa abbiamo visto dei rilasci molto localizzati di metano, non certo un’atmosfera uniforme. Bene, proprio questa particolarita’, ci porta a pensare che il rilascio potrebbe essere causato da altro, non necessariamente da forme di vita.

Come anticipato, sulla Terra il contributo maggiore al metano in atmosfera viene, in qualche modo, da forme di vita. Queste pero’ non sono le uniche sorgenti di questo gas. Esistono processi geologici in grado di produrre metano e scaricarlo in atmosfera. Si tratta, nel nostro caso, di contributi minori rispetto a quelli delle forme di vita, ma comunque presenti e conosciuti. Se su Marte non c’e’ vita, ci potrebbero pero’ essere fenomeni analoghi, e questo spiegherebbe anche la minor concentrazione di metano in atmosfera. Altra ipotesi possibile e’ che su Marte sia presente “olivina”, un minerale che a contatto con l’acqua produce un altro minerale detto “serpentina”. In questo processo viene emesso metano. Abbiamo prove di questo? Certo, l’olivina e’ molto abbondante su Marte sia in superificie che nel sottosuolo. Perche’ pero’ in punti localizzati? Semplice, perche’ in quei punti ci potrebbero essere ancora serbatoi di acqua che sono andati in contatto con il minerale rilasciando metano.

Altra ipotesi che si sta facendo strada in queste ore e’ che oggi non ci sia vita su Marte, ma che magari ci fosse stata in passato.

Possibile questo? Come abbiamo visto, il metano prodotto in qualche modo arriva in atmosfera. Poi? Se il metano rimanesse stabile per sempre, allora sulla Terra, per fare un esempio, la sua concentrazione in atmosfera dovrebbe aumentare linearmente grazie ai continui apporti dagli esseri viventi. In realta’, il metano ha un tempo di vita abbastanza lungo, ma a causa della radiazione proveniente dal sole, viene scisso formando altri gas. La vita media di una molecola di metano in atmosfera e’ intorno a 300-400 anni.

Attenzione, allora e’ possibile che in passato ci sia stata la vita su Marte ed ora non c’e’ piu’ e anche il metano prodotto e’ scomparso. Questo non e’ del tutto vero dal momento che un organismo vivente produce metano ma anche un organismo in decomposizione produce metano. Inoltre, organismi decomposti nel sottosuolo, formano giacimenti di olii che non sono stai assolutamente osservati su Marte, pensate anche solo alla formazione di petrolio.

Detto questo, Curiosity non ha trovato la quantita’ di metano che ci si aspettava. I valori precedenti osservati, come visto rilasci localizzati, possono essere dovuti a fenomeni di natura geologica, che nulla hanno a che fare con la vita.

E’ altresi’ vero che Curiosity ha fatto le sue misure su una superficie ridotta di Marte e inoltre che si e’ limitata a raccogliere campioni a sua portata, cioe’ fino ad 1 metro di altezza da Terra.

Fatte queste considerazioni, la matassa non e’ ancora sbrogliata del tutto. Fatte salve le misure degli anni precedenti e queste di Curiosity, ci deve essere un processo non biologico che ha prodotto metano in atmosfera. Mi sento quasi di escludere del tutto che i rilasci osservati siano di natura biologica, ma questa e’ una mia considerazione personale.

Come studiare il problema?

Semplice, sono gia’ in fase di studio nuove missioni per Marte. La missione Exomars prevede nel 2016 la messa in orbita intorno al pianeta rosso di un satelite per misurazioni dei gas e nel 2018 due nuovi rover in superficie. Questa missione e’ gestita sia dalla NASA che dalla nostra ESA. Oltre a questo, il contributo italiano a questa missione e’ davvero notevole sia dal punto di vista della ricerca che di componentistica realizzata dalle nostre aziende.

Missioni di questo tipo potrebbero aiutarci a capire meglio l’origine del metano e dare una risposta definitiva sulla presenza o meno di vita su Marte.

Ultimissima considerazione, dire non c’e’ metano e’ equivalente a dire non c’e’ vita? Assolutamente no. Anche qui sulla Terra conosciamo diverse forme batteriche che non producono questo gas nel loro metabolismo. Questo ci fa capire nuovamente che questa non e’ una condicio sine qua non. Anche avere tantissimo metano non significa necessariamente avere vita. Pensate, ad sempio, a Titano, satellite di Saturno. Qui l’atmosfera e’ pregna di metano, ci sono laghi di metano, precipitazioni di metano, eppure, a nessuno verrebbe in mente di cercare la vita su Titano.

Come vedete, il discorso e’ sempre aperto, e, al momento, non possiamo certo escludere o dare per certa una qualche forma di vita su Marte. Le ricerche future potranno aiutarci a meglio comprendere questi aspetti o magari anche solo a capire se in passato si possano essere sviluppate forme di vita su qualche pianeta del Sistema Solare.

 

Psicosi 2012. Le risposte della scienza”, un libro di divulgazione della scienza accessibile a tutti e scritto per tutti. Matteo Martini, Armando Curcio Editore.

I “tappi” del Mar Morto

24 Set

In questo articolo, vorrei tornare a parlare di sinkhole, ma in una veste diversa rispetto a quanto fatto negli articoli precedenti. Per chi li avesse persi, abbiamo parlato di questo fenomeno in questi post:

Enorme cratere si apre in Cina

Enormi voragini si aprono in Florida

Numerosi Sinkhole a Samara

Come visto, con sinkhole si intendono quelle enormi voragini, o doline, che si possono creare a causa di un cedimento del terreno. Negli articoli precedenti abbiamo gia’ discusso le diverse aree del pianeta in cui questo fenomeno e’ piu’ presente, mostrando anche, a volta per cause naturali, altre per colpa dell’uomo, come negli ultimi anni questo fenomeno ha provocato anche diversi danni, ed in alcuni casi anche vittime, in alcune zone.

Come anticipato, questa volta, vorrei parlare di sinkhole in una chiave diversa, cioe’ concentrandoci nel caso del Mar Morto. Come sapete bene, questo specchio d’acqua e’ assolutamente unico nella sua specie. Prima di tutto, si trova nella depressione piu’ profonda della Terra. Inoltre, essendo dotato solo di immissari minori senza emissari, e grazie anche alla forte evaporazione dovuta alle temperature, il Mar Morto detiene il record di salinita’.

Proprio a causa dell’elevata percentuale di sale nelle acque, la vita nel Mar Morto e’ praticamente impossibile, fatta eccezione per alcune specie di batteri. La percentuale di sale disciota nelle acque non e’ costante ma aumenta all’aumentare della profondita’. Questo e’ del tutto comprensibile ragionando sul fatto che le acque proveniente dai fiumi in ingresso, principalmente il Giordano, rimane in superficie perche’ meno densa di quella salata al di sotto. Detto in altri termini, possiamo distinguere degli strati orizzontali caratterizzzati da proprieta’ chimiche molto diverse.

Scendendo a 40 metri, la concentrazione di sale nelle acque e’ di circa 300 grammi per Kg di acqua. Questo valore e’ circa 8 volte maggiore di quello che si ha tipicamente nell’Oceano Atlantico. Come anticipato prima, scendendo a 100 metri di pronfondita’, si arriva anche a 330 grammi di sale per Kg di acqua.

Effetto della salinita' sul galleggiamento

Effetto della salinita’ sul galleggiamento

Per darvi un’idea di questi valori, pensate che galleggiare sulle acque del Mar Morto e’ estremamente facile per chiunque. Nuotare e’ invece estremamente faticoso perche’ una parte troppo estesa di corpo si troverebbe al di fuori dell’acqua.

Bene, cosa c’entrano i sinkhole con il Mar Morto?

Da ricerche condotte negli ultimi anni, si e’ evidenziato come il Mar Morto stia scomparendo molto rapidamente. Le sponde del lago si stanno ritirando alla velocita’ di circa 1 metro all’anno, un valore elevatissimo se confrontato con quello naturalmente atteso.

Man mano che il Mar Morto si ritira, sulla parte di terreno lasciata libera si formano in continuazione sinkhole, come quello mostrato in questa foto:

Sinkhole vicino alla riva del Mar Morto

Sinkhole vicino alla riva del Mar Morto

Si tratta di depressioni a forma di scodella che si creano nel terreno asciutto e con profondita’ variabile fino anche a 10 metri. Quello che piu’ impressiona e’ il numero di queste depressioni. Ad oggi, si stima che ci siano circa 3000 doline intorno al Mar Morto. Per darvi un’idea della portata del fenomeno, fino a qualche anno fa, se ne contavano solo circa 40.

A parte l’effetto del sapere di una ritirata cosi’ veloce e della formazione di doline a questo ritmo, la natura e l’origine di questi sinkhole e’ facilmente spiegabile. Come detto, la caratteristica principale delle acque del Mar Morto e’ l’elevatissima concentrazione di sale. Avete mai provato a mettere in continuazione sale dentro un bicchiere d’acqua? Cosa succede? Inizialmente il sale si scioglie. Dopo una certa quantita’, l’acqua non e’ piu’ in grado di sciogliere il sale perche’ ne e’ satura. In termini chimici, avete raggiunto la costante del prodotto di solubilita’, cioe’ la quantita’ di sale che l’acqua e’ in grado di sciogliere. Valori diversi sono trovabili per ciascun sale in un solvente.

Nel caso del Mar Morto, a causa dell’elevata concentrazione, negli strati piu’ bassi si forma un accumulo di sale. Quando le acque si ritirano, queste lasciano grosse quantita’ di sale nel terreno, anche sotto la superficie libera. In queste condizioni, un riversamento di acqua dolce, proveniente da una qualsiasi fonte, come ad esempio la pioggia, scioglie il sale sotto il terreno creando una vuoto sotto la superficie. A questo punto, non avendo piu’ un sostegno nella parte inferiore, il terreno collassa formando appunto questi sinkhole.

Come vedete, il fenomeno e’ facilmente spiegabile, pensando proprio al prosciugamento del Mar Morto.

Nonostante questo chiarisca il fenomeno della formazione delle doline, e’ interessante chiedersi a cosa sia dovuto un prosciugamento cosi’ rapido. Come spesso avviene in questo genere di fenomeni, la causa e’ da ricercarsi nell’attivita’ umana.

Come anticipato, il Mar Morto e’ dotato solo di immissari di scarsa portata che apportano acqua dolce. Negli ultimi anni, notevoli quantita’ di queste acque sono state deviate per irrigare i campi. Trattandosi di una zona molto desertica, questo e’ l’unico modo di sostenere l’agricoltura. Si stima che a causa di questa pratica, circa il 15% del volume delle acque sia stato deviato rispetto al percorso naturale. Oltre all’agricoltura, alcune aziende del posto, soprattutto nate per la produzione di carbonato di potassio, hanno seguito la stessa pratica per avere una fonte d’acqua indispensabile per alimentare il processo industriale.

Risultato di questa pratica e’ che il bilancio complessivo di acque del Mar Morto, dato dalla differenza tra immissioni ed evaporazione, e’ divenuto negativo. Conseguenza di questo e’ ovviamente un prosciugamento graduale del Mar Morto.

Esiste una soluzione al problema?

Ovviamente, molte soluzioni sono sotto studio per cercare di fermare, o anche arginare, la diminuzione della superficie. A tal proposito, una proposta molto interessante vorrebe la creazione di un corridoio per collegare il Mar Morto al Mar Rosso e apportare acqua al primo. Il solco in questione e’ gia’ stato ribattezzato “condotto della pace”. Questa soluzione non piace pero’ ne agli ambientalisti ne tantomeno agli esperti di politiche internazionali. La spiegazione di queste opinioni e’ davvero molto semplice. In primo luogo, si rischia di compromettere irrimediabilmente un ecosistema molto delicato come quello del Mar Morto mediante immissione di acqua con caratteristiche profondamente diverse. Dal punto di vista politico invece, la situazione, tipica di tutta l’area mediorientale, e’ ovviamente legata ai rapporti non proprio rosei dei paesi interessati. Come sapete, le sponde del Mar Morto toccato Israele, Giordania e Cisgiordania. Paesi con equilibri davvero molto delicati e tra cui difficilmente si raggiungerebbe un accordo per la realizzazione del condotto di collegamento.

 

Psicosi 2012. Le risposte della scienza”, un libro di divulgazione della scienza accessibile a tutti e scritto per tutti. Matteo Martini, Armando Curcio Editore.