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L’esperimento della goccia di pece

23 Lug

Pochi giorni fa, e’ stata annunciata la notizia che finalmente e’ stato possibile riprendere uno degli esperimenti scientifici piu’ lunghi, secondo alcuni anche piu’ noioso, della storia.

Di cosa si tratta?

L’esperimento in questione e’ quello della goccia di pece. Come sapete bene, la pece e’ quella sostanza di colore nero, ricavata dai bitumi e da legni resinosi. In condizioni normali, la pece si presenta come un solido, tanto che e’ possibile romperla utilizzando un martello.

Confronto tra fluidi ad alta e bassa viscosita'. Fonte: Wikipedia

Confronto tra fluidi ad alta e bassa viscosita’. Fonte: Wikipedia

Anche se apparentemente sembra un solido, la pece e’ un fluido, precisamente un fluido ad altissima viscosita’. Come sapete, la viscosita’ di un fluido indica la resistenza della sostanza allo scorrimento. L’animazione riportata aiuta a capire bene la differenza tra fluidi ad alta e bassa viscosita’ quando questi vengono attraversati da solidi.

Bene, cosa c’entra la pece con questo esperimento?

Come anticipato, la pece e’ in realta’ un fluido ad alta viscosita’. Detto questo, anche se con tempi molto lunghi, questa sostanza deve comportarsi come un fluido. Sulla base di questa considerazione, e’ possibile realizzare un esperimento per misurare la viscosita’ della sostanza facendola scendere all’interno di un imbuto.

Il primo che propose questo esperimento fu il professor Thomas Parnell dell’università del Queensland. Parnell prese un pezzo di pece, lo sciolse e lo fece colare all’interno di un cono di vetro. Questo venne fatto addirittura nel 1927.

Per poter iniziare l’esperimento, fu necessario far raffreddare la pece, operazione che duro’ circa 3 anni, fino al 1930. Solo a questo punto, la parte finale del cono venne rotta formando un imbuto. Dal momento che la pece e’ un fluido, si devono osservare delle gocce cadere dall’imbuto.

Facile, direte voi. E’ vero, ma per eseguire questo esperimento serve tanta tanta pazienza.

Non ci credete?

La prima goccia di pece, cadde dopo ben 9 anni! Lo stesso avvenne per le gocce successive. Ecco una tabella riassuntiva dell’esperimento:

Data Evento Durata(Mesi) Durata(Anni)
1927 Inizio dell’esperimento: la pece viene versata nell’imbuto sigillato
1930 Il fondo dell’imbuto viene aperto
Dicembre 1938 Caduta della prima goccia 96-107 8-8,9
Febbraio 1947 Caduta della seconda goccia 99 8,3
Aprile 1954 Caduta della terza goccia 86 7,2
Maggio 1962 Caduta della quarta goccia 97 8,1
Agosto 1970 Caduta della quinta goccia 99 8,3
Aprile 1979 Caduta della sesta goccia 104 8,7
Luglio 1988 Caduta della settima goccia 111 9,3
28 novembre 2000 Caduta dell’ottava goccia 148 12,3

Perche’ questo esperimento e’ stato ritirato fuori in questi giorni?

Come evidenziato dalla tabella, sono state effettivamente osservate le gocce di pece cadere nel bicchiere sottostante, ma fino ad oggi, nessuno era mai riuscito a filmare la goccia che cadeva. In occasione dell’ottava goccia nel 200o, la telecamera che era stata montata era guasta, per cui si perse questo importante momento.

Seguendo il link, potete vedere il filmato della fatidica goccia che cade:

Video goccia di pece

Dai tempi misurati nell’esperimento, si e’ ricavato che la pece ha una viscosita’ pari a 230 miliardi di volte quella dell’acqua!

Durante questi 83 anni, l’esperimento e’ sempre stato in funzione e, nei primi anni del 2000, quando ci si rese conto che le variazioni di temperatura potevano modificare la viscosita’ della pece, la campana che conteneva l’apparato e’ stata termalizzata in modo da mantenere costanti i parametri.

Nel 2005, in memoria del professor Parnell, venne assegnato all’esperimento della goccia di pece l’IG Nobel, parodia, ormai seguitissima, del piu’ cleebre premio Nobel.

A parte gli scherzi, si tratta di un esperimento utile per evidenziare proprieta’ dei fluidi ad alta viscosita’. Certo, oggi come oggi, le misure sono state fatte, ma l’esperimento e’ ancora in corso perche’ rappresenta ormai un simbolo sia dell’universita’ del Queensland sia una memoria storica della fisica.

Se avete tempo libero, ma ne serve molto, potete ache seguire in diretta l’esperimento, collegandovi a questo link:

Diretta Pece

Dal punto di vista chimico-fisico, i fluidi alta viscosita’ sono assolutamnete interessanti e dalle proprieta’ a dir poco strabilianti. Anche il vetro, classificato come sostanza amorfa, puo’ essere definito un fluido ad alta viscosita’. Proprio per questo motivo, alcune vetrate delle chiese piu’ antiche, mostrano delle forme allargate verso il basso, caratteristica dovuta proprio al lento movimento del fluido.

Certamente, oggi come oggi non stiamo parlando di un esperimento in grado di stravolgere la fisica, ma di un’esperienza importante dal punto di vista storico e sicuramente curiosa per noi abituati alla comunicazione e ai risultati immediati. Punto a favore, e’ certamente il costo zero dell’esperimento che richiede solo un po’ di aria condizionata per termostatare il piccolo apparato.

 

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Se la morte fosse uno stato reversibile?

20 Mag

In un commento lasciato nella sezione:

Hai domande o dubbi?

un nostro nuovo lettore ha chiesto maggiori informazioni sulle esperienze di pre-morte, di cui abbiamo parlato in questo post:

Le esperienze di pre-morte

ma anche degli studi in corso per tornare indietro dallo stato di morte.

Se per la prima domanda avevamo gia’ discusso l’argomento in un post, la seconda richiesta e’ invece inedita.

Cosa significa tornare indietro dalla morte?

Riflettiamo un attimo su questa cosa. Quando moriamo? Vediamo, in modo che forse a qualcuno sembrera’ innaturale, il nostro corpo come una macchina. Ci sono tanti organi, ognuno con funzioni diverse, ma che funzionano attraverso la circolazione sanguigna. Questo flusso di sangue e’ prima di tutto spinto da una pompa che e’ il cuore. Ad ogni battito, il sangue va in circolo raggiungendo i diversi organi e alimentando in questo modo le cellule che li compongono.

Bene, quando moriamo cosa succede? In un modo o nell’altro, il nostro cuore smette di battere, cioe’ si interrompe l’alimentazione che faceva andare la macchina-uomo.

In questa concezione, possiamo vedere la morte come un istante, cioe’ quel preciso attimo in cui il cuore smette di battere. Prima di concludere, riflettiamo ancora su quanto detto. Noi non siamo solo il cuore. In termini automobilistici, questa e’ la pompa che manda in circolo la benzina, ma il motore qual e’? Tra tutti gli organi, sicuramente il cervello ha un ruolo molto importante e dunque concentriamoci su questo. Le cellule cerebrali, nel momento in cui il cuore si ferma, non ricevono piu’ sangue. Visto in questo modo, nell’istante in cui il cuore si ferma, inizia la morte delle cellule del nostro corpo che inizieranno un processo di decomposizione. Ovviamente, le cellule non muoiono nel preciso istante in cui il sangue smette di fluire, ma saranno ancora “vive” per un periodo piu’ o meno lungo.

Se utilizziamo questa chiave di lettura, la morte non e’ piu’ un singolo istante, bensi’ un processo che parte quando il cuore smette di battere e si conclude con la decomposizione cellulare.

Se ora, fossimo in grado di intervenire in questo lasso di tempo per risolere la causa che ha portato all’arresto cardiaco, potremmo pensare di tornare indietro dallo stato di morte.

Questo ragionamento e’ proprio quello alla base del pensiero del Dr. Sam Parnia, medico statunitense, capo del reparto di terapia intensiva dello Stony Brook University Hospital di New York. Sfidando il pensiero medico piu’ comune, Parnia ha condotto importanti studi sul processo di morte, cercando proprio di far tornare indietro i pazienti normalmente considerati deceduti.

Ora attenzione, su questi studi si possono leggere moltissime cose inesatte in rete, accompagnate dalla solita e immancabile speculazione. In particolare, non manca chi punta il dito contro la scienza e la medicina, sostenendo che gli esseri umani si vorrebbero sostituire a Dio nel decidere quando e come morire. Questo e’ completamente falso.

Ragioniamo un attimo su questi concetti. Nei reparti di terapia intensiva di tutto il mondo, si ricorre a particolari tecniche che consentono di mantenere in vita un paziente mediante circolazione extracorporea o respirazione indotta da macchinari. Anche in questi casi, quello che si fa e’ bloccare lo stato di morte, aiutando il paziente con l’ausilio di macchinari esterni al corpo.

Il dottor Parnia si e’ proprio specializzato in queste tecniche. Per farvi qualche esempio, molto usata in questi casi e’ la cosiddetta “rianimazione cardiopolmonare”, o CPR. Questa tecnica prevede l’ausilio di un macchinario per ossigenare il sangue del corpo e salvaguardare le cellule cerebrali in attesa che il problema del pazienta venga risolto e che possa riprendere la normale respirazione autonoma. Analoga funzione e’ quella dell’ECMO, cioe’ l’ossigenazione extracorporea mediante membrana, oltre ovviamente a tecniche criogeniche utilizzate per raffreddare il corpo e mantenere vitali le cellule.

Alla luce di quanto detto, queste tecniche sono del tutto normali. L’importante contributo del Dr. Parnia non e’ nella scoperta di queste tecniche, ripeto gia’ utilizzate in medicina, bensi’ in uno studio attento e specifico di come questi macchinari possano essere utilizzati al meglio per interrompere il processo di morte.

Forse parlare di interrompere il processo di morte, potrebbe far storcere il naso a qualcuno, ma, nell’ottica di un meccanismo che porta alla morte del paziente, quello che facciamo e’ limitarci ad intervenire nel momento giusto.

Detto questo, qual e’ questo momento giusto?

Dagli studi condotti negli USA, si e’ evidenziato come le cellule cerebrali possano restare in vita anche fino ad 8 ore dopo che il cuore ha smesso di battere. In questo senso, abbiamo un discreto lasso di tempo per intervenire sul paziente e cercare di ripristinare le normali funzioni vitali. Queste tecniche non devono assolutamente sconvolgere. Perche’, se ci facciamo un taglio profondo, andiamo in ospedale a mettere i punti piuttosto che morire dissanguati? Anche se un po’ azzardato, il discorso e’ lo stesso. In questo caso, il funzionamento del cuore e’ visto come un qualcosa di ripristinabile e su cui si puo’ agire per un discreto intervallo di tempo.

Personalmente, trovo gli studi di Parnia molto interessanti e degni di nota, soprattutto dal punto di vista scientifico. Ripeto nuovamente, quello che viene fatto e’ solo uno studio attento di tecniche di principio gia’ utilizzate. Lo scopo delle ricerche e’ migliorare queste procedure, ma soprattutto studiare tempi e soluzioni dei diversi casi.

Gli studi di Parnia stanno dando risultati? Assolutamente si. Per farvi un’idea, la media di pazienti rianimanti negli ospedali degli Stati Uniti e’ intorno al 16%. Allo Stony Brook University Hospital, si arriva a sfiorare il 33%.

Da quanto detto, non si deve assolutamente considerare Parnia uno stregone, ma solo uno scienziato impegnato in un campo di confine tra la vita e la morte.

Ovviamente, queste tecniche non sono sempre utilizzabili. Come detto fino a questo punto, affiche’ ci sia qualche possibilita’, si deve avere una morte improvvisa, in cui le cellule del nostro corpo da un istante all’altro si ritrovano senza sangue perche’ il cuore ha smesso di battere. Questo non e’, ad esempio, il caso delle malattie degenerative in cui il corpo muore gia’ lentamente quanto il cuore del soggetto e’ ancora in vita.

Concludendo, nell’ottica di vedere la morte come un processo che parte con l’arresto cardiaco e si conclude con il daneggiamento irreversibile delle cellule dell’organismo, il Dr. Parnia e’ impegnato nello studio delle tecniche per intervenire in questo lasso di tempo. In molti casi e’ infatti possibile rallentare la decomposizione cellulare ed intervenire per risolvere la causa scatenante dell’arresto cardiaco. Sicuramente si tratta di studi degni di nota e che speriamo portino altri risultati in un futuro piu’ o meno prossimo.

 

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