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Un futuro … robotico

13 Mar

Nell’immaginario collettivo dettato dai film e racconti di fantascienza, il nostro futuro dovrebbe essere popolato da robot umanoidi dotati di intelligenza propria ed in grado di comunicare, interagire e, perche’ no, contrapporsi agli stessi esseri umani che li hanno creati. Da decenni questi scenari futuristici vengono richiamati e su tematiche del genere si sono inventate tantissime storie e racconti. Il nostro livello tecnologico, per quanto, punto di vista personale, debba sempre essere migliorato ed e’ sempre un passo indietro a quello che vorremmo fare, non e’ assolutamente scarso eppure questi tanto citati scenari non si sono ancora visti.

Nonostante questo, e anche se molti lo ignorano, la tecnologia robotica ha fatto enormi passi avanti negli ultimi anni e molte operazioni, sia di routine che di elevata complessita’, sono gia’ eseguite dagli uomini coadiuvati da sistemi elettromeccanici. Spesso, questa simbiosi tecnologica e’ necessaria e utile per migliorare la precisione di determinate operazioni, altre volte invece e’ una vera e propria necessita’ fondamentale per supplire all’impossibilita’ di un intervento diretto dell’uomo.

Proprio da questo ultimo scenario vorrei partire per commentare una notizia apparsa sui giornali qualche giorno fa. Provate ad immaginare uno scenario di questo tipo: siamo su un’astronave lontana migliaia di kilometri da Terra. Un membro del nostro equipaggio ha un problema di salute importante che impone un intervento chirurgico di urgenza. Per quanto gli altri membri dell’equipaggio possono essere addestrati a situazioni di questo tipo, non e’ assolutamente possibile immaginare che tutti siano in grado di fare tutto in modo eccellente. Cosa fare per salvare la vita dell’uomo? In casi come questo, potrebbe intervenire un robot in grado di compiere operazioni chirurgiche anche delicate perche’ programmato ed istruito per farle oppure perche’ telecontrollato da un esperto sulla Terra o su un’altra navicella nello spazio.

Pensate sia fantascienza?

Proviamo a sostituire qualche soggetto della nostra storia. La navicella lontana dalla Terra e’ la Stazione Spaziale Internazionale, i membri dell’equipaggio sono gli astronauti provenienti da diversi paesi e che devono restare in orbita anche per periodi relativamente lunghi. Come vengono gestiti casi come quello raccontato sulla ISS? Per il momento, non c’e’ stato mai bisogno di operare d’urgenza un membro della stazione spaziale ma, come potete capire, e’ necessario predisporre piani di emergenza anche per far fronte a problemi come questo. Dal punto di vista medico, gli astronauti della stazione hanno in dotazione strumentazione di monitoraggio e controllo che possono usare autonomamente o aiutandosi in coppie.

Sicuramente un robot appositamente creato per questi scopi potrebbe coadiuvare gli astronauti sia nelle operazioni di routine che in casi di emergenza.

Questo e’ il pensiero che i tecnici NASA hanno avuto quando, qualche anno fa, hanno mandato sulla Stazione Spaziale il Robonaut 2, un robot umanoide che ancora oggi e’ in orbita intorno alla Terra. Inizialmente, il robot e’ stato inviato per aiutare gli astronauti nelle operazioni piu’ difficili ma anche per sostituirli in quelle piu’ banali e ripetitive che sottraggono inutilmente tempo al lavoro del team.

Il Robonaut 2 all'interno della Stazione Spaziale Internazionale

Il Robonaut 2 all’interno della Stazione Spaziale Internazionale

La storia del progetto inizia gia’ dal 1997 quando venne sviluppato un primo prototipo di Robonaut. Questo sistema era pensato per aiutare gli astronauti o sostituirli durante le attivita’ extraveicolari piu’ pericolose. Inoltre, poteva essere montato su un piccolo carro a 6 ruote trasformandolo in un piccolo rover intelligente per l’esplorazione in superficie della Luna o di altri corpi celesti.

Il progetto, come potete immaginare, risulto’ valido e dal 2006 e’ iniziata una stretta collaborazione tra la NASA e la General Motors per la costruzione di un sistema piu’ affidabile e da testare in orbita, appunto il Robonaut 2. Una volta arrivato sulla stazione, il robot venne lasciato imballato per diversi mesi a causa dell’elevato carico di lavoro degli astronauti, fino a quando venne messo in funzione quando nella stazione era presente anche il nostro Paolo Nespoli.

Ecco un video delle prime fasi di collaudo del Robonaut-2:

Come detto, il Robonaut 2 e’ un robot umanoide dotato di due braccia a 5 dita per un peso complessivo di 150Kg, escluse le gambe non previste in questa versione. Il costo di produzione e’ stato di circa 2.5 milioni di dollari per produrre un vero e proprio gioiello di elettronica. Il robot e’ dotato di 350 sensori, una telecamera 3D ad alta definizione, il tutto comandato da 38 processori Power PC. Il complesso sistema di snodi consente di avere 42 gradi di movimento indipendenti.

Addestramento del Robonaut 2 con un manichino

Addestramento del Robonaut 2 con un manichino

La notizia di questi giorni e’ relativa allo speciale addestramento che il Robonaut 2 sta seguendo per diventare un vero e proprio medico di bordo pronto a far fronte, autonomamente o su controllo da Terra, ad ogni intervento medico richiesto, da quelli di routine a, eventualmente, vere e proprie operazioni. Questo addestramento e’ seguito passo passo sia da medici che da tecnici NASA esperti di telecontrollo, dal momento che tutto verra’ poi seguito da Terra verso la Stazione Spaziale. Stando a quanto riportato anche dalla NASA, il Robonaut sarebbe gia’ in grado di eseguire piccoli interventi di routine e di fare prelievi e punture ad esseri umani. Ovviamente, per il momento la sperimentazione e’ fatta su manichini anche se il robot ha mostrato una straordinaria capacita’ di apprendimento e, ovviamente, una precisione e ripetivita’, difficilmente raggiungibili da una mano umana.

Come vedete, forse gli scenari fantascientifici da cui siamo partiti non sono poi cosi’ lontani. In questo caso, l’utilizzo di tecnologia robotica e’ necessario proprio per supplire all’impossibilita’ di intervento diretto da parte dell’uomo e sicuramente potrebbe essere in grado in un futuro molto prossimo di far fronte a situazioni altrimenti non gestibili.

Prima di chiudere vorrei pero’ aprire un ulteriore parentesi robotica. Se pensate che l’utilizzo di un sistema elettromeccanico in medicina sia una novita’ assoluta o se credete che sistemi di questo tipo siano appannaggio soltanto della Stazione Spaziale o di centri di ricerca futuristici, state sbagliando di grosso.

Vi mostro una foto di un altro robot, assolutamente non umanoide, ma con funzioni molto interessanti:

Il sistema robotico Da Vinci

Il sistema robotico Da Vinci

Questo e’ il Robot Da Vinci, proprio in onore del nostro Leonardo, utilizzato in moltissime sale operatorie di tutto il mondo.

Da Vinci e’ prodotto dalla ditta americana Intuitive Surgical e gia’ nel 2000 e’ stato approvato per l’uso in sala operatoria dalla Food and Drugs Administration. Questo sistema e’ dotato di diversi bracci elettromeccanici che consentono una liberta’ di movimento molto maggiore, e assai piu’ precisa, di quella di un polso umano. Il sistema e’ teleguidato da un medico lontano dalla sala operatoria al cui interno ci sono solo infermieri che di volta in volta posizionano lo strumento giusto nelle pinze del robot. Stando a quanto dichiarato, questo robot consente ovviamente di avere una affidabilita’ di ripetizione e precisione molto maggiore di quelle di un normale medico riuscendo ad operare limitando fino ad 1/3 il normale sangiunamento degli interventi piu’ complicati.

Dal sito della Intuitive Surgical si legge che ad oggi sono stati venduti piu’ di 700 di questi robot e pensate che in Italia quasi 70 sale operatorie sono attrezzate con questo sistema. Il numero di operazioni effettuate con questo robot e’ dell’ordine delle decine di migliaia.

E’ tutto oro quello che luccica?

Per completezza, e come siamo abituati a procedere, vi mostro anche il rovescio della medaglia. Rimanendo nel caso Da Vinci, anche in Italia, si sono formati tra i medici due schieramenti: quelli favorevoli al suo uso e quelli fortemente contrari. Perche’ questo? Se parliamo dei vantaggi del sistema, sicuramente una mano robotica consente di effetturare operazioni di routine con una precisione assoluta, d’altro canto pero’, ci sono molti medici che mettono in discussione il rapporto investimento/beneficio di un sistema del genere. Come potete facilmente immaginare, l’investimento richiesto per l’acquisto del robot e’ molto elevato con grossi guadagni dell’azienda e, soprattutto, delle banche che offrono finanziamenti agli ospedali. Inizialmente, il Da Vinci e’ stato sviluppato per le operazioni piu’ complesse o in cui il medico non riuscirebbe a lavorare facilmente. Si tratta ovviamente di operazioni in laparoscopia che tradizionalmente potrebbero essere eseguite con un investimento molto inferiore. Inoltre, visto lo sforzo economico per l’acquisto, molti degli ospedali che dispongono del robot tendono ad utilizzarlo anche per gli interventi piu’ facili al fine di sfruttare a pieno l’investimento fatto. Altro aspetto non da poco, il Da Vinci e’, ovviamente, coperto da decine di brevetti che creano un monopolio per la ditta costruttrice. Questo non fa altro che bloccare eventuali piccole startup che potrebbero migliorare notevolmente un sistema che, come detto, risale al 2000. Come discusso all’inizio dell’articolo, anno per anno la tecnologia cresce notevolmente ed un apparato del genere, per quanto complesso, potrebbe sempre essere migliorato con l’aggiunta di nuovi sistemi. Come vedete, al solito, le discussioni sono piu’ di natura economica che di utilizzo. Nonostante questo, il Da Vinci e’ un ottimo esempio di chirurgia robotica gia’ disponibile alla societa’.

 

Psicosi 2012. Le risposte della scienza”, un libro di divulgazione della scienza accessibile a tutti e scritto per tutti. Matteo Martini, Armando Curcio Editore.

Parmitano e l’acqua nel casco

27 Ago

Come forse avrete letto dai giornali, il 16 Luglio scorso ci sono stati alcuni problemi durante la seconda “passeggiata spaziale” per il nostro astronauto Parmitano che si trova sulla Stazione Spaziale Internazionale. La notizia e’ passata un po’ in sordina, complice anche il periodo estivo, e anche sui giornali che ne hanno parlato, il discorso e’ stato un po’ fumoso e poco specifico.

Cosa e’ successo?

Facciamo un breve riassunto. Il 16 Luglio era prevista una seconda EVA, che sta per Attivita’ Extra-Veicolare (quella che normalmente chiamiamo passeggiata spaziale), di 6 ore per fare dei lavori straordinari all’esterno della ISS. I lavori prevedevano la preparazione della stazione per accogliere, entro la fine dell’anno, un nuovo modulo russo che dovrebbe essere connesso alla ISS.

Alla EVA hanno partecipato Parmitano e Chris Cassidy, astronauta americano di grande esperienza con alle spalle ben 7 passeggiate. Qualche decina di minuti dopo l’inizio dei lavori, il nostro astronauta ha avvisato il centro di controllo NASA di Houston, che stava seguendo tutte le manovre da terra, di sentire dell’acqua vicino al collo. Inizialmente, gli esperti NASA hanno pensato ad un’eccessiva sudorazione, causata anche dalla fatica e dallo stress. Dopo qualche altro minuto, Parmitano ha pero’ comunicato che l’acqua continuava ad aumentare e stava diventando un problema.

Ora, tenete conto che siamo in assenza di gravita’, condizione per cui l’acqua e’ si in forma liquida, perche’ all’interno della tuta pressurizzata, ma e’ tenuta insieme solo dalla tensione superficiale. In questa condizione, il liquido si presenta come delle gocce piu’ o meno grandi che fluttuano all’interno del casco dell’astronauta.

La presenza di acqua che continuava ad aumentare, cominciava ad entrare nel naso e negli occhi di Parmitano, rendendo la respirazione difficile e la visibilita’ compromessa. Questa situazione ha fatto scattare l’allarme al centro controllo di Houston che ovviamente ha ordinato subito il rientro all’interno della ISS, dopo circa 90 minuti dall’inizio delle operazioni.

Parmitano ha raccontato questi momenti di paura, ma non ha mai perso la calma e la mente lucida. Come potete immaginare, gli astronauti sono addestrati per poter gestire situazioni anche difficili senza perdere il controllo. In caso contrario, un eccessivo allarmismo potrebbe causare conseguenze molto gravi.

Parmitano aiutato da Cassidy e seguendo il cavo che lo teneva legato alla ISS e’ riuscito a rientrare all’interno in pochi minuti dove c’erano ad accoglierlo gli altri occupanti della ISS che hanno pressurizzato la zona di ingresso e lo hanno aiutato a togliere il casco. Come riportato dal comunicato NASA, l’astronauta stava bene anche se molto stanco, e aveva all’interno del casco circa mezzo litro di acqua.

Ragionando ora, sapendo che tutto e’ andato bene, sembra veramente assurdo rischiare di morire affogati nello spazio. Proprio questo e’ stato infatti il rischio corso da Parmitano. I molti giornali che hanno riportato la notizia, non hanno pero’ risposto ad una domanda, se vogliamo, scontata, da dove proveniva quell’acqua?

Come prima ipotesi, i tecnici NASA hanno pensato che provenisse dal cosiddetto “drink pack”, cioe’ un serbatoio di acqua potabile munito di cannuccia nel casco e che serve per idratare gli astronauti durante le EVA. Questa ipotesi e’ stata pero’ smentita dallo stesso Parmitano che, nelle prime fasi dell’incidente, ha assaggiato un goccia di questo liquido, comunicando che non si trattava di acqua potabile.

Dunque?

Per poter rispondere alla domanda, e’ necessario vedere come e’ fatta una tuta spaziale moderna. Questo e’ uno schema illustrato delle varie parti:

Tuta spaziale usata durante le EVA

Tuta spaziale usata durante le EVA

Ovviamente, la tuta e’ munita di tantissimi strumenti sia scientifici che di diagnostica per controllare lo stato dell’astronauta. In tal senso, troviamo un dosimetro, una telecamera, una valvola di regolazione della temperatura interna, la radio, il controllo dell’ossigeno, un sistema elettrocardiografico per controllare le funzioni cardiache dell’astronauta, ecc. Con un totale di circa 10 strati diversi.

Come vedete, il serbatoio di acqua potabile e’ posizionato vicino al casco. Questa ipotesi e’ pero’ stata smentita da Parmitano durante le prime fasi dell’incidente. Nella tuta e’ presente anche un “pannolone” super assorbente detto MAG. Non c’e’ ovviamente nulla di strano nella presenza di questo accessorio se pensiamo che, come nel caso dell’incidente, la EVA prevista era di ben 6 ore all’esterno della ISS. Ovviamente, e’ da escludere anche che il liquido presente nel casco fosse urina, dal momento che il sistema di drenaggio e’ in grado di assorbire volumi molto maggiori di quelli normalmente espulsi da un astronauta.

Fate pero’ attenzione ad un particolare, nell’immagine della tuta vedete che e’ presente una calzamaglia refrigerante. Questo sistema e’ presente per mantenere una temperatura confortevole all’interno. Come sapete, l’escursione passando da una zona verso il Sole ad una in ombra puo’ normalmente superare i 100 gradi, mentre la temperatura all’interno deve rimanere confortevole per l’astronauta. Poiche’ nello spazio, essenzialmente nel vuoto, lo scambio di calore non puo’ avvenire con convezione, un sistema di tubicini fa scorrere l’acqua intorno al corpo estraendo calore. Il liquido refrigerante viene poi convogliato al Primary Life Support System situato sulla vita, che altro non e’ che uno scambiatore di calore.

La zona del casco da cui Parmitano ha sentito inizialmente il liquido.

La zona del casco da cui Parmitano ha sentito inizialmente il liquido.

Come riportato sia da Parmitano che dalla NASA, il liquido presente nella tuta dell’astronauta proveniva proprio dal sistema refrigerante. Purtroppo, ancora oggi, non e’ nota la posizione esatta della perdita. Ovviamente, la tuta in questione non viene piu’ utilizzata. Nell’immagine di fianco, trovate anche una foto della zona del casco da cui Parmitano ha sentito per la prima volta fluire liquido. L’immagine e’ stata postata su twitter da un altro astronauta presente nella ISS, Douglas H. Wheelock.

Fortunatamente, l’incidente non ha avuto conseguenze per il nostro astronauta. Una situazione di questo tipo non si era mai verificata durante un EVA, per cui sono stati aggiornati anche i rischi possibili durante le passeggiate spaziali. Credo che il modo migliore per concludere questo articolo, sia riportare fedelmente le parole dello stesso Parmitano scritte subito dopo il suo incidente:

Lo Spazio è una frontiera, dura e inospitale, in cui noi siamo ancora degli esploratori e non dei coloni. La bravura dei nostri ingegneri, e la tecnologia che abbiamo a disposizione, fa sembrare semplici cose che non lo sono, e a volte forse lo dimentichiamo.

Meglio non dimenticare.

 

Psicosi 2012. Le risposte della scienza”, un libro di divulgazione della scienza accessibile a tutti e scritto per tutti. Matteo Martini, Armando Curcio Editore.

Perche’ la ricerca: scienza e tecnologia

4 Gen

Molte volte, parlando di scienza e di ricerca scientifica, mi viene fatta una domanda apparentemente banale, ma che in realta’ nasconde un vero e proprio mondo: Perche’ fare ricerca?

Ovviamente in questo caso non parlo del senso letterale della domanda. E’ noto a tutti che la ricerca scientifica ci permette di aumentare la nostra conoscenza del mondo, dei meccanimi della natura e ci consente di dare un piccolo contributo al dilemma: da dove veniamo e dove andiamo?

In questo post e nel successivo, vorrei cercare di parlare proprio del senso piu’ pratico di questa domanda. Al giorno d’oggi, con la crisi che imperversa, molti si chiedono che senso abbia “sperperare” soldi nella ricerca scientifica invece di utilizzarli per fini piu’ pratici e tangibili per la societa’.

In questo primo post vorrei parlare delle motivazioni scientifiche e tenologiche della ricerca scientifica, mentre nel prossimo post mi vorrei concentrare sugli aspetti piu’ prettamente economici.

Premesso questo, cerchiamo di capire quali sono le implicazioni e le migliorie scientifiche apportate dall’attivita’ di ricerca.

Molti di voi sapranno gia’ che diverse tecniche di diagnostica medica, come la radiografia, la TAC, la PET, provengono e sono state pensate nell’ambito della ricerca scientifica ed in particolare per la costruzione di rivelatori per le particelle. Questi sono discorsi abbastanza noti e per principio non vi faro’ la solita storiella con date e introduzione negli ospedali di queste tecniche.

Parliamo invece di cose meno note, ma forse ben piu’ importanti.

A costo di sembrare banale, vorrei proprio iniziare da LHC al CERN di Ginevra e dalla ricerca nella fisica delle alte energie. In questo caso, stiamo parlando del piu’ grande acceleratore in questo settore e ovviamente anche del piu’ costoso. Con i suoi 6 miliardi di euro, solo per l’acceleratore senza conteggiare gli esperimenti, parliamo di cifre che farebbero saltare sulla sedia molti non addetti ai lavori.

Che vantaggi abbiamo ottenuto a fronte di una spesa cosi grande?

Next: il primo server WWW del CERN

Next: il primo server WWW del CERN

Partiamo dalle cose conosciute. Solo per darvi un esempio, il “world wide web” e’ nato proprio al CERN di Ginevra, dove e’ stato sviluppato per creare un modo semplice e veloce per lo scambio di dati tra gli scienziati. Ad essere sinceri, un prototipo del WWW era gia’ stato sviluppato per ambiti militari, ma l’ottimizzazione e la resa “civile” di questo mezzo si deve a due ricercartori proprio del CERN:

CERN, were the web was born

Restando sempre in ambito tecnlogico, anche l’introduzione del touchscreen e’ stata sviluppata al CERN e sempre nell’ambito della preparazione di rivelatori di particelle. A distanza di quasi 20 anni, questi sistemi sono ormai di uso collettivo e vengono utilizzati in molti degli elettrodomestici e dei gadget a cui siamo abituati.

Uno dei primi sistemi touch introdotti al CERN

Uno dei primi sistemi touch introdotti al CERN

Pensandoci bene, tutto questo e’ normale. Rendiamoci conto che costruire un acceleratore o un esperimento sempre piu’ preciso, impone delle sfide tecnologiche senza precedenti. Laser, sistemi di controllo ad alta frequenza, magneti, rivelatori sono solo alcuni esempi dei sistemi che ogni volta e’ necessario migliorare e studiare per poter costruire una nuova macchina acceleratrice.

Anche in ambito informatico, la ricerca in fisica delle alte energie impone dei miglioramenti che rappresentano delle vere e proprie sfide tecnologiche. Un esperimento di questo tipo, produce un’enorme quantita’ di dati che devono essere processati e analizzati in tempi brevissimi. Sotto questo punto di vista, la tecnologia di connessione ad altissima velocita’, le realizzazione di sistemi di contenimento dei dati sempre piu’ capienti e lo sviluppo di macchine in grado di fare sempre piu’ operazioni contemporaneamente, sono solo alcuni degli aspetti su cui la ricerca scientifica per prima si trova a lavorare.

Saltando i discorsi della diagnostica per immagini di cui tutti parlano, molte delle soluzioni per la cura di tumori vengono proprio dai settori della fisica delle alte energia. Basta pensare alle nuove cure adroterapiche in cui vengono utilizzati fasci di particelle accelerati in piccoli sistemi per colpire e distruggere tumori senza intaccare tessuti sani. Secondo voi, dove sono nate queste tecniche? Negli acceleratori vengono accelerate particelle sempre piu’ velocemente pensando sistemi sempre piu’ tecnologici. La ricerca in questi settori e’ l’unico campo che puo’ permettere di sviluppare sistemi via via piu’ precisi e che possono consentire di colpire agglomerati di cellule tumorali di dimensioni sempre minori.

Detto questo, vorrei cambiare settore per non rimanere solo nel campo della fisica delle alte energie.

In Francia si sta per realizzare il primo reattore a fusione per scopi di ricerca scientifica. Questo progetto, chiamato ITER, e’ ovviamente una collaborazione internazionale che si prefigge di studiare la possibile realizzazione di centrali necleari a fusione in luogo di quelle a fissione. Parlare di centrali nucleari e’ un discorso sempre molto delicato. Non voglio parlare in questa sede di pericolosita’ o meno di centrali nucleari, ma il passaggio della fissione alla fusione permetterebbe di eliminare molti degli svantaggi delle normali centrali: scorie, fusione totale, ecc. Capite dunque che un investimento di questo tipo, parliamo anche in questo caso di 10 miliardi di euro investiti, potrebbe portare un’innovazione nel campo della produzione energetica senza eguali. Se non investiamo in queste ricerche, non potremmo mai sperare di cambiare i metodi di produzione dell’energia, bene primario nella nostra attuale societa’.

La sonda Curiosity della NASA

La sonda Curiosity della NASA

Passando da un discorso all’altro, in realta’ solo per cercare di fare un quadro variegato della situazione, pensiamo ad un altro settore sempre molto discusso, quello delle missioni spaziali. Se c’e’ la crisi, che senso ha mandare Curiosity su Marte? Perche’ continuiamo ad esplorare l’universo?

Anche in questo caso, saltero’ le cose ovvie cioe’ il fatto che questo genere di missioni ci consente di capire come il nostro universo e’ nato e come si e’ sviluppato, ma parlero’ di innovazione tecnologica. Una missione spaziale richiede l’utilizzo di sistemi elettronici che operano in ambienti molto difficili e su cui, una volta in orbita, non potete certo pensare di mettere mano in caso di guasto. L’affidabilita’ di molte soluzioni tecnologiche attuali, viene proprio da studi condotti per le missioni spaziali. Esperimenti di questo tipo comportano ovviamente la ricerca di soluzioni sempre piu’ avanzate, ad esempio, per i sistemi di alimentazione. L’introduzione di batterie a lunghissima durata viene proprio da studi condotti dalle agenzie spaziali per le proprie missioni. Anche la tecnologia di trasmissione di dati a distanza, ha visto un salto senza precedenti proprio grazie a questo tipo di ricerca. Pensate semplicemente al fatto che Curiosity ogni istante invia dati sulla Terra per essere analizzati. Se ci ragionate capite bene come queste missioni comportino lo sviluppo di sistemi di trasferimento dei dati sempre piu’ affidabili e precise per lunghissime distanze. Ovviamente tutti questi sviluppi hanno ricadute molto rapide nella vita di tutti i giorni ed in settori completamente diversi da quelli della ricerca scientifica.

Concludendo, spero di aver dato un quadro, che non sara’ mai completo e totale, di alcune delle innovazioni portate nella vita di tutti i giorni dalla ricerca scientifica. Come abbiamo visto, affrontare e risolvere sfide tecnologiche nuove e sempre piu’ impegnativa consente di trovare soluzioni che poi troveranno applicazione in campi completamente diversi e da cui tutti noi potremmo trarre beneficio.

Ovviamente, ci tengo a sottolineare che la conoscenza apportata dai diversi ambiti di ricerca non e’ assolutamente un bene quantificabile. Se vogliamo, questo potrebbe essere il discorso piu’ criticabile in tempi di crisi, ma assolutamente e’ la miglioria della nostra consapevolezza che ci offre uno stimolo sempre nuovo e crea sempre piu’ domande che risposte.

Post successivo sul discorso economico: Perche’ la ricerca: economia

Psicosi 2012. Le risposte della scienza”, un libro di divulgazione della scienza accessibile a tutti e scritto per tutti. Matteo Martini, Armando Curcio Editore.