Oggi depongo il martello da geologa ed entro in punta di piedi nel mondo dei camici bianchi per affrontare un argomento delicato e fino all’altro ieri fantascientifico come il trapianto dell’utero. Buona lettura a tutti.
di Patrizia Esposito
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Non molto tempo fa mi è capitato di leggere un articolo, datato febbraio 2014, sul trapianto dell’utero in cui si pone l’accento sulla complessità e invasività dell’intervento, sulla non garanzia di una gravidanza a seguito e sulla questione etica legata alla tipologia di trapianto:
Il primo trapianto di utero umano è stato eseguito in Arabia Saudita nel 2000 su una donna di 26 anni con isterectomia pregressa. La donatrice aveva 46 anni. Purtroppo l’organo nuovo fu rimosso dopo 99 giorni a seguito di una trombosi vascolare. Il secondo trapianto è stato effettuato in Turchia nel 2011 su una donna di 21 anni, con espianto dell’organo da donatrice deceduta di 23 anni. In seguito la donna è stata sottoposta a fecondazione assistita con l’impianto di 7 embrioni crioconservati. Purtroppo la gravidanza non è giunta al termine. Entrambi gli interventi sono stati effettuati senza studi precedenti di supporto, a detta del professore Mats Brännström della Gothenburg University (Svezia) che a partire dal 2012, con il supporto degli studi sulla sperimentazione sugli animali, ha eseguito nove trapianti di utero.
Brännström ha annoverato l’utero tra gli organi non vitali e i tessuti compositi, come le mani e la faccia, che pur non essendo di vitale importanza possono condizionare psicologicamente la vita delle persone.
Ecco alcune delle cause dell’ infertilità uterina :
1)sindrome MRKH (cioè assenza di utero congenita)
2) isterectomia in seguito a carcinoma della cervice uterina o dell’endometrio
3)malformazione uterina
4)danni da chemioterapia
In Europa sono 160000 le donne che hanno problemi di infertilità uterina. La ricerca capitanata dal professor Brännström è partita dai risultati del trapianto di utero nei topi e soprattutto nei primati (tra questi ultimi e gli esseri umani ci sono analogie per quanto riguarda la fisiologia riproduttiva e l’immunologia) e ha analizzato vari aspetti: le modalità chirurgiche del doppio intervento di isterectomia sulle donatrici e di trapianto sulle riceventi, l’anastòmosi (il collegamento dei vasi e delle vene uterini), il rischio di ischemia e rigetto, l’immunosoppressione, la gravidanza e la questione etica. Le pazienti che fanno parte della sperimentazione svedese -che insieme ai loro partner e alle donatrici sono state seguite per 12 mesi da un team di chirurghi, ginecologi, anestesisti, trapiantologi e psicologi- hanno età compresa tra 26 e 31 anni, mentre le donatrici hanno un’età media di 46 anni e sono madri, sorella, zia o amica delle riceventi. Solo sette trapianti su nove sono andati a buon fine, infatti da due pazienti è stato necessario rimuovere l’organo nuovo a causa di trombosi e infezione resistente agli antibiotici, mentre una donatrice ha avuto problemi di infezione alla ferita.
Dopo qualche mese le trapiantate hanno avuto il ciclo mestruale. In seguito, su quattro delle pazienti trapiantate sono stati impiantati gli embrioni prelevati e crioconservati prima dell’intervento. La fecondazione assistita è necessaria perché l’utero trapiantato non viene collegato alle tube di Falloppio. Entro la fine di quest’anno e l’inizio del 2015 si attendono i primi bambini da uteri trapiantati! Quindi siamo ad un passo dall’esito positivo della sperimentazione che tornerà ad essere effettuata sugli animali qualora le gravidanze delle trapiantate dovessero andare male. Ad ogni modo, è prevista la rimozione dell’organo nuovo dopo una o due gravidanze, per evitare rischi futuri.
C’è chi pensa che il trapianto dell’utero possa essere un’alternativa alla maternità surrogata che in alcuni paesi non è legale e chi invece lo considera come l’ennesimo accanimento da parte di chi vuole avere un figlio a tutti i costi. Personalmente, per il rigore scientifico a cui sono abituata, posso comprendere lo scetticismo degli addetti ai lavori sulla riuscita della sperimentazione: ci sono perplessità infatti per quanto riguarda per esempio la difficoltà di collegare l’utero ai vasi e alle vene e per quanto riguarda la compatibilità delle terapie antirigetto con lo sviluppo sano del feto. In effetti, anche se la sperimentazione avrà esito positivo, le tecniche di trapianto dovranno essere chirurgicamente affinate. Come donna capisco il desiderio di avere un figlio biologico e mi sembra che il trapianto dell’utero sia una scelta più etica dell’utero in affitto, ma questa è soltanto la mia (discutibile) opinione personale. Ad ogni modo, quello che era fantascienza solo pochi anni fa adesso ha buone probabilità di diventare realtà: tanto di cappello a chi contribuisce al progresso della scienza medica.
Nell’immaginario collettivo dettato dai film e racconti di fantascienza, il nostro futuro dovrebbe essere popolato da robot umanoidi dotati di intelligenza propria ed in grado di comunicare, interagire e, perche’ no, contrapporsi agli stessi esseri umani che li hanno creati. Da decenni questi scenari futuristici vengono richiamati e su tematiche del genere si sono inventate tantissime storie e racconti. Il nostro livello tecnologico, per quanto, punto di vista personale, debba sempre essere migliorato ed e’ sempre un passo indietro a quello che vorremmo fare, non e’ assolutamente scarso eppure questi tanto citati scenari non si sono ancora visti.
Nonostante questo, e anche se molti lo ignorano, la tecnologia robotica ha fatto enormi passi avanti negli ultimi anni e molte operazioni, sia di routine che di elevata complessita’, sono gia’ eseguite dagli uomini coadiuvati da sistemi elettromeccanici. Spesso, questa simbiosi tecnologica e’ necessaria e utile per migliorare la precisione di determinate operazioni, altre volte invece e’ una vera e propria necessita’ fondamentale per supplire all’impossibilita’ di un intervento diretto dell’uomo.
Proprio da questo ultimo scenario vorrei partire per commentare una notizia apparsa sui giornali qualche giorno fa. Provate ad immaginare uno scenario di questo tipo: siamo su un’astronave lontana migliaia di kilometri da Terra. Un membro del nostro equipaggio ha un problema di salute importante che impone un intervento chirurgico di urgenza. Per quanto gli altri membri dell’equipaggio possono essere addestrati a situazioni di questo tipo, non e’ assolutamente possibile immaginare che tutti siano in grado di fare tutto in modo eccellente. Cosa fare per salvare la vita dell’uomo? In casi come questo, potrebbe intervenire un robot in grado di compiere operazioni chirurgiche anche delicate perche’ programmato ed istruito per farle oppure perche’ telecontrollato da un esperto sulla Terra o su un’altra navicella nello spazio.
Pensate sia fantascienza?
Proviamo a sostituire qualche soggetto della nostra storia. La navicella lontana dalla Terra e’ la Stazione Spaziale Internazionale, i membri dell’equipaggio sono gli astronauti provenienti da diversi paesi e che devono restare in orbita anche per periodi relativamente lunghi. Come vengono gestiti casi come quello raccontato sulla ISS? Per il momento, non c’e’ stato mai bisogno di operare d’urgenza un membro della stazione spaziale ma, come potete capire, e’ necessario predisporre piani di emergenza anche per far fronte a problemi come questo. Dal punto di vista medico, gli astronauti della stazione hanno in dotazione strumentazione di monitoraggio e controllo che possono usare autonomamente o aiutandosi in coppie.
Sicuramente un robot appositamente creato per questi scopi potrebbe coadiuvare gli astronauti sia nelle operazioni di routine che in casi di emergenza.
Questo e’ il pensiero che i tecnici NASA hanno avuto quando, qualche anno fa, hanno mandato sulla Stazione Spaziale il Robonaut 2, un robot umanoide che ancora oggi e’ in orbita intorno alla Terra. Inizialmente, il robot e’ stato inviato per aiutare gli astronauti nelle operazioni piu’ difficili ma anche per sostituirli in quelle piu’ banali e ripetitive che sottraggono inutilmente tempo al lavoro del team.
Il Robonaut 2 all’interno della Stazione Spaziale Internazionale
La storia del progetto inizia gia’ dal 1997 quando venne sviluppato un primo prototipo di Robonaut. Questo sistema era pensato per aiutare gli astronauti o sostituirli durante le attivita’ extraveicolari piu’ pericolose. Inoltre, poteva essere montato su un piccolo carro a 6 ruote trasformandolo in un piccolo rover intelligente per l’esplorazione in superficie della Luna o di altri corpi celesti.
Il progetto, come potete immaginare, risulto’ valido e dal 2006 e’ iniziata una stretta collaborazione tra la NASA e la General Motors per la costruzione di un sistema piu’ affidabile e da testare in orbita, appunto il Robonaut 2. Una volta arrivato sulla stazione, il robot venne lasciato imballato per diversi mesi a causa dell’elevato carico di lavoro degli astronauti, fino a quando venne messo in funzione quando nella stazione era presente anche il nostro Paolo Nespoli.
Ecco un video delle prime fasi di collaudo del Robonaut-2:
Come detto, il Robonaut 2 e’ un robot umanoide dotato di due braccia a 5 dita per un peso complessivo di 150Kg, escluse le gambe non previste in questa versione. Il costo di produzione e’ stato di circa 2.5 milioni di dollari per produrre un vero e proprio gioiello di elettronica. Il robot e’ dotato di 350 sensori, una telecamera 3D ad alta definizione, il tutto comandato da 38 processori Power PC. Il complesso sistema di snodi consente di avere 42 gradi di movimento indipendenti.
Addestramento del Robonaut 2 con un manichino
La notizia di questi giorni e’ relativa allo speciale addestramento che il Robonaut 2 sta seguendo per diventare un vero e proprio medico di bordo pronto a far fronte, autonomamente o su controllo da Terra, ad ogni intervento medico richiesto, da quelli di routine a, eventualmente, vere e proprie operazioni. Questo addestramento e’ seguito passo passo sia da medici che da tecnici NASA esperti di telecontrollo, dal momento che tutto verra’ poi seguito da Terra verso la Stazione Spaziale. Stando a quanto riportato anche dalla NASA, il Robonaut sarebbe gia’ in grado di eseguire piccoli interventi di routine e di fare prelievi e punture ad esseri umani. Ovviamente, per il momento la sperimentazione e’ fatta su manichini anche se il robot ha mostrato una straordinaria capacita’ di apprendimento e, ovviamente, una precisione e ripetivita’, difficilmente raggiungibili da una mano umana.
Come vedete, forse gli scenari fantascientifici da cui siamo partiti non sono poi cosi’ lontani. In questo caso, l’utilizzo di tecnologia robotica e’ necessario proprio per supplire all’impossibilita’ di intervento diretto da parte dell’uomo e sicuramente potrebbe essere in grado in un futuro molto prossimo di far fronte a situazioni altrimenti non gestibili.
Prima di chiudere vorrei pero’ aprire un ulteriore parentesi robotica. Se pensate che l’utilizzo di un sistema elettromeccanico in medicina sia una novita’ assoluta o se credete che sistemi di questo tipo siano appannaggio soltanto della Stazione Spaziale o di centri di ricerca futuristici, state sbagliando di grosso.
Vi mostro una foto di un altro robot, assolutamente non umanoide, ma con funzioni molto interessanti:
Il sistema robotico Da Vinci
Questo e’ il Robot Da Vinci, proprio in onore del nostro Leonardo, utilizzato in moltissime sale operatorie di tutto il mondo.
Da Vinci e’ prodotto dalla ditta americana Intuitive Surgical e gia’ nel 2000 e’ stato approvato per l’uso in sala operatoria dalla Food and Drugs Administration. Questo sistema e’ dotato di diversi bracci elettromeccanici che consentono una liberta’ di movimento molto maggiore, e assai piu’ precisa, di quella di un polso umano. Il sistema e’ teleguidato da un medico lontano dalla sala operatoria al cui interno ci sono solo infermieri che di volta in volta posizionano lo strumento giusto nelle pinze del robot. Stando a quanto dichiarato, questo robot consente ovviamente di avere una affidabilita’ di ripetizione e precisione molto maggiore di quelle di un normale medico riuscendo ad operare limitando fino ad 1/3 il normale sangiunamento degli interventi piu’ complicati.
Dal sito della Intuitive Surgical si legge che ad oggi sono stati venduti piu’ di 700 di questi robot e pensate che in Italia quasi 70 sale operatorie sono attrezzate con questo sistema. Il numero di operazioni effettuate con questo robot e’ dell’ordine delle decine di migliaia.
E’ tutto oro quello che luccica?
Per completezza, e come siamo abituati a procedere, vi mostro anche il rovescio della medaglia. Rimanendo nel caso Da Vinci, anche in Italia, si sono formati tra i medici due schieramenti: quelli favorevoli al suo uso e quelli fortemente contrari. Perche’ questo? Se parliamo dei vantaggi del sistema, sicuramente una mano robotica consente di effetturare operazioni di routine con una precisione assoluta, d’altro canto pero’, ci sono molti medici che mettono in discussione il rapporto investimento/beneficio di un sistema del genere. Come potete facilmente immaginare, l’investimento richiesto per l’acquisto del robot e’ molto elevato con grossi guadagni dell’azienda e, soprattutto, delle banche che offrono finanziamenti agli ospedali. Inizialmente, il Da Vinci e’ stato sviluppato per le operazioni piu’ complesse o in cui il medico non riuscirebbe a lavorare facilmente. Si tratta ovviamente di operazioni in laparoscopia che tradizionalmente potrebbero essere eseguite con un investimento molto inferiore. Inoltre, visto lo sforzo economico per l’acquisto, molti degli ospedali che dispongono del robot tendono ad utilizzarlo anche per gli interventi piu’ facili al fine di sfruttare a pieno l’investimento fatto. Altro aspetto non da poco, il Da Vinci e’, ovviamente, coperto da decine di brevetti che creano un monopolio per la ditta costruttrice. Questo non fa altro che bloccare eventuali piccole startup che potrebbero migliorare notevolmente un sistema che, come detto, risale al 2000. Come discusso all’inizio dell’articolo, anno per anno la tecnologia cresce notevolmente ed un apparato del genere, per quanto complesso, potrebbe sempre essere migliorato con l’aggiunta di nuovi sistemi. Come vedete, al solito, le discussioni sono piu’ di natura economica che di utilizzo. Nonostante questo, il Da Vinci e’ un ottimo esempio di chirurgia robotica gia’ disponibile alla societa’.
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